Affettività in carcere: l’inerzia del Ministero della Giustizia arriva in Senato (Redazione)

Dopo la sentenza della Consulta, la numero 10/2024, la Cassazione e la magistratura di sorveglianza hanno messo in evidenza come l’effettività del diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale richieda interventi organizzativi dell’amministrazione penitenziaria, in assenza dei quali l’affettività intramuraria resterà uno dei diritti sacrificati sine titulo all’interno delle strutture penitenziarie.

Sulla questione nella seduta dell’11 febbraio scorso è stata presentata, in Senato, una interrogazione al Ministro Nordio che chiede “quali misure a livello legislativo e di gestione degli istituti penitenziari il Ministro in indirizzo abbia adottato e intenda adottare affinché sia garantito il rispetto della sentenza n. 10 del 2024 della Corte costituzionale in materia di affettività in carcere”.

Attendiamo la risposta di via Arenula, intanto segnaliamo l’interrogazione:

Al Ministro della giustizia. – Premesso che:

la Corte costituzionale con la sentenza n. 10 del 2024 ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 18 della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie;

nonostante sia passato più di un anno dalla sentenza, tale vuoto normativo non è stato in alcun modo colmato, ledendo così il percorso rieducativo dei detenuti e sottraendo loro una porzione significativa di libera disponibilità del proprio corpo e del proprio esprimere affetto, come sostenuto dalla Corte costituzionale;

la stessa Consulta, inoltre, si era manifestata consapevole “dell’impatto che l’odierna sentenza è destinata a produrre sulla gestione degli istituti penitenziari, come anche dello sforzo organizzativo che sarà necessario per adeguare ad una nuova esigenza relazionale strutture già gravate da persistenti problemi di sovraffollamento”: anche in tale caso, il Ministero della giustizia non ha posto essere soluzioni volte a rispettare le indicazioni della Corte, frenando così i direttori delle carceri nell’applicazione della sentenza;

sul tema è intervenuta anche la Cassazione (sezione I, udienza 11 dicembre 2024, dep. 2 gennaio 2025, n. 8), che ha reso ammissibile il reclamo di un detenuto al quale è stato negato un colloquio con il coniuge in condizioni di intimità: la casa di reclusione di Asti, infatti, aveva negato la possibilità di un colloquio in intimità con la propria moglie, motivando sic et simpliciter in ragione del dato di fatto che “la struttura non lo consente”.

Successivamente il magistrato di sorveglianza di Torino aveva ritenuto inammissibile il reclamo dello stesso detenuto con una motivazione che, di fatto, sterilizzava la decisione della Consulta, sostenendo come la richiesta del detenuto non configurerebbe un vero e proprio diritto, ma una mera aspettativa, non tutelabile in via giurisdizionale;

di diverso avviso è stata la citata pronuncia della Cassazione, la quale ha sottolineato come “non può ritenersi che la richiesta di poter svolgere colloqui con la propria moglie in condizioni di intimità, avanzata dal detenuto ricorrente, costituisca una mera aspettativa, essendo stato affermato che tali colloqui costituiscono una legittima espressione del diritto all’affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari“, i quali possono essere negati solo per “ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina”, come stabilito nella sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2024;

la sentenza della Cassazione, di fatto, ha messo in evidenza come l’effettività del diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale richieda interventi organizzativi dell’amministrazione penitenziaria, in assenza dei quali l’affettività intramuraria resterà uno dei diritti sacrificati sine titulo all’interno delle strutture penitenziarie;

nei giorni scorsi, organi di stampa riportano come il giudice di sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi, abbia accolto i reclami di due detenuti a Terni, autorizzando quindi l’amministrazione penitenziaria a consentire loro, entro 60 giorni, di esprimere in concreto la propria affettività, anche disapplicando ogni eventuale disposizione amministrativa confliggente: non è ammissibile, tuttavia, che a causa dell’inerzia dell’Esecutivo, i direttori delle carceri, al fine di rispettare la sentenza n. 10 del 2024, siano costretti ad attuare misure in autonomia e senza il supporto del dicastero;

tale inerzia del Governo sul punto denota una grave mancanza e una concezione meramente punitiva e repressiva del sistema carcerario, del tutto avulso dal rispetto dei diritti e della dignità umana, ignorando, di fatto, le statuizioni della Corte costituzionale,

si chiede di sapere quali misure a livello legislativo e di gestione degli istituti penitenziari il Ministro in indirizzo abbia adottato e intenda adottare affinché sia garantito il rispetto della sentenza n. 10 del 2024 della Corte costituzionale in materia di affettività in carcere.

(4-01813)

Legislatura 19ª – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 271 del 11/02/2025