Antefatto
Il 29 aprile dello scorso anno Terzultima Fermata pubblicava il mio primo articolo, “Storie della difesa d’ufficio: gli “oneri aggiuntivi” imposti al difensore che chiede la liquidazione del compenso e delle spese per l’esercizio della sua funzione e il danno erariale che ne segue” (consultabile a questo link), ove narravo delle vicissitudini incontrate, in qualità di difensore di ufficio, all’indomani di un’opposizione esperita avverso un decreto di liquidazione, risultata vittoriosa, mi vedevo destinatario di ricorso per cassazione da parte del Ministero della Giustizia notificatomi l’ultimo giorno utile, in relazione al quale mi costituivo (in proprio) con controricorso.
Davo atto inoltre di come il 26 aprile 2024 fosse pervenuta dalla cancelleria della seconda sezione civile della Suprema Corte una proposta di definizione ex art. 380-bis, c.p.c., per essere il ricorso del Ministero della Giustizia manifestamente infondato, con la conseguente possibilità per il Dicastero di rimanere silente per 40 giorni e far così dichiarare l’improcedibilità del ricorso per rinuncia, ovvero chiedere la decisione, ma rischiare in ipotesi della decisione della Corte in conformità alla proposta del Consigliere delegato, una condanna ai sensi dell’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c.
Sviluppi
In data 11.06.2024 la Cassazione civile, Sezione Seconda – nel dar atto della rinuncia implicita del Dicastero determinata dalla mancata richiesta di decisione nel termine sopra citato – dichiarava l’estinzione del giudizio di legittimità, condannandolo alle spese processuali del grado in mio favore, liquidate in € 2.000,00#, oltre accessori di legge (all.1).
Notificato il decreto decisorio ai sensi dell’art. 14, comma 1, D.L. n. 669/1996 ed invitato il Ministero della Giustizia al pagamento dei predetti emolumenti anche oltre il termine “dilatorio” di 120 giorni dalla notifica, ma senza successo, mi trovavo costretto ad agire per ottemperanza avanti al TAR Lazio, anticipando a titolo di contributo unificato fisso, l’importo non trascurabile di € 300,00#.
A seguito della notifica e del deposito del ricorso – nel quale il Ministero si costituiva con memoria “di mero stile” e dove l’Avvocatura erariale depositava documenti del tutto inconferenti – il Dicastero provvedeva al pagamento del dovuto, con conseguente mia istanza di declaratoria di cessazione della materia del contendere, ferma restando richiesta di condanna del resistente alle spese processuali in virtù del principio di “soccombenza virtuale”.
Epilogo
Celebrata l’udienza camerale del 5.02.2025, in data odierna ricevo dal TAR Lazio la comunicazione di avvenuta pubblicazione della sentenza n. 3146/2025 (all. 2) con cui viene dichiarata la cessata materia del contendere e condannato il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in € 1.000,00#, oltre accessori di legge (tra i quali va annoverato anche il contributo unificato versato: (ex plurimis: Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 19 luglio 2024, n. 6550; Cass. Civ., Sez. I, sentenza 10.07.2019, n. 18529).
Morale della favola
Il difensore di ufficio ha tutti gli strumenti per far valere i propri diritti in ogni deputata sede di giustizia.
Non posso, tuttavia, che ribadire le conclusioni già vergate nel mio articolo del 29.04.2024: l’onere imposto al difensore di ufficio di tentare il recupero del credito (art. 116, T.U. Spese di Giustizia) risulta antieconomico, dovendo lo Stato provvedere a corrispondere al professionista, in ipotesi di contenziosi nei quali risulta soccombente, cifre superiori anche a dieci volte quelle allo stesso spettanti in ragione della mera difesa penale dell’assistito.
Tanto varrebbe, quindi (come sostengo da anni, riforma nella materia in questione) che il legislatore equiparasse la procedura di liquidazione del difensore di ufficio del maggiorenne a quella del minorenne di cui all’art. 118, DPR 115/2002, salvo poi il regresso dell’Erario nei confronti dell’assistito, qualora non in possesso dei requisiti ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello stato.
