Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 4189/2025, udienza del 14 gennaio 2025, ha osservato che l’art. 391-ter cod. pen. è stato inserito nel Codice penale essendo risultata non praticabile, dal punto di vista sia tecnico sia economico, la soluzione alternativa e, in vero, dirimente, della cosiddetta “schermatura” degli istituti penitenziari.
Passando alla descrizione della nuova fattispecie, si deve osservare che l’art. 391-ter cod. pen. contiene due reati, uno previsto dal primo comma e l’altro previsto dal terzo comma, i quali sono puniti con la stessa pena della reclusione da uno a quattro anni.
Quanto al primo comma, esso prevede un reato comune («chiunque») che presenta la tipica struttura della norma a più fattispecie, atteso che vi si contemplano tre condotte tra loro alternative, precisamente, quelle di chi: 1) procura indebitamente a un detenuto un apparecchio telefonico o un altro dispositivo idoneo a effettuare comunicazioni; 2) consente a un detenuto l’uso indebito di tali strumenti; 3) introduce in un istituto penitenziario uno dei menzionati strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta. Mentre le prime due fattispecie sono a dolo generico, atteso che lo scopo dell’agente risulta indifferente ai fini dell’integrazione del reato, in quanto estraneo alla tipicità del fatto, la terza fattispecie sembrerebbe esigere il dolo specifico («al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta»). Requisito, questo, che in dottrina è stato ritenuto bilanciare l’anticipazione dell’offesa che discende dal fatto che la fattispecie non appare richiedere che il detenuto entri nell’effettiva disponibilità del dispositivo, essendo sufficiente che l’autore del reato lo introduca nell’istituto penitenziario. Il primo comma dell’art. 391-ter cod. pen. prevede la clausola di riserva «[f]uori dei casi previsti dall’art. 391 bis» cod. pen., il quale punisce l’«Agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti alle restrizioni di cui all’articolo 41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. Comunicazioni in elusione delle prescrizioni». La clausola comporta la sussidiarietà del reato di cui al primo comma dell’art. 391-ter cod. pen. rispetto al reato di cui all’art. 391-bis cod. pen., al quale il legislatore ha assegnato, perciò, la prevalenza.
Il secondo comma dell’art. 391-ter cod. pen. prevede un’aggravante speciale del reato di cui al primo comma dello stesso articolo, la quale, in quanto caratterizzata dalla qualifica soggettiva dell’agente (pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio, esercente la professione forense), comporta che lo stesso reato diventi proprio.
Passando al terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen., esso prevede un reato proprio, il cui soggetto attivo qualificato è il «detenuto», e presenta anch’esso la struttura della norma a più fattispecie, atteso che vi si contemplano due condotte tra loro alternative, precisamente, quelle del detenuto che indebitamente «riceve» o «utilizza» un apparecchio telefonico o un altro dispositivo idoneo a effettuare dall’art. 9, comma 1, del d.l. 21 ottobre 2020, n. 130 (il cosiddetto “Decreto sicurezza bis”), conv. con modif. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 173, a chiusura del Capo II, dedicato ai “Delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie”, del Titolo III, che contiene i “Delitti contro l’amministrazione della giustizia”.
Esso, in vigore dal 22/10/2020 (art. 16 del d.l. n. 130 del 2020), stabilisce che: «Fuori dei casi previsti dall’articolo 391-bis, chiunque indebitamente procura a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni o comunque consente a costui l’uso indebito dei predetti strumenti o introduce in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni [primo comma]. Si applica la pena della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense [secondo comma]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena prevista dal primo comma si applica anche al detenuto che indebitamente riceve o utilizza un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni [terzo comma]». Il bene giuridico tutelato dalla disposizione incriminatrice appare essere l’effettività della pena detentiva e della custodia cautelare in carcere, le cui finalità possono risultare frustrate dall’indebito accesso, da parte dei detenuti, a dispositivi idonei alla comunicazione dei quali gli stessi detenuti si potrebbero servire non solo per coltivare il proprio diritto all’affettività, comunicando con i propri cari, ma anche per continuare a gestire i propri affari illeciti. Sulla base di quanto emerge dai lavori preparatori, l’introduzione della nuova fattispecie delittuosa rispondeva all’esigenza di contrastare il fenomeno, che era divenuto ormai endemico, dell’introduzione in carcere di apparecchi cellulari, che l’Amministrazione penitenziaria non era in condizioni di contrastare efficacemente, reato sia integrato, non è necessario che il detenuto utilizzi il dispositivo per la funzione di esso di effettuare comunicazioni ma è sufficiente che l’agente qualificato ne sia in possesso per averlo ricevuto.
La Corte di cassazione ha chiarito che il delitto di ricezione di dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti di cui al terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen. è punito a titolo di dolo generico, come è reso evidente dalla formulazione testuale della norma, la quale non contiene alcun riferimento a particolari finalità che devono animare l’agente, con la conseguenza che, a integrare il dolo del reato, è sufficiente la coscienza e volontà della ricezione dell’apparecchio telefonico o di altro dispositivo idoneo a effettuare comunicazioni (Sez. 6, n. 34282 del 10/07/2024, A., non massimata).
Anche il terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen. si apre con una clausola di riserva, che ne delimita il perimetro applicativo, cioè la clausola «[s]alvo che il fatto costituisca più grave reato», la quale comporta la sussidiarietà del reato di cui al terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen. rispetto all’intera categoria dei reati più gravi, ai quali il legislatore ha assegnato, perciò, la prevalenza. Il presupposto di entrambi i reati di cui al primo e al terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen. è che l’accesso a dispositivi idonei alla comunicazione sia indebito. Clausola, questa, di antigiuridicità espressa speciale con la quale il legislatore appare fare riferimento a un accesso a dispositivi di comunicazione non autorizzato dall’Amministrazione penitenziaria sulla base delle leggi e dei regolamenti.
Con riguardo all’oggetto dei due reati, la Corte di cassazione ha escluso che esso possa essere costituito da una scheda SIM (Sez. 6, n. 42941 del 11/09/2024, Rv. in corso di attribuzione). Tornando al motivo di ricorso, alla luce di quanto si è esposto, si deve ritenere che, nel caso in cui il detenuto riceva l’apparecchio telefonico o un altro dispositivo idoneo alla comunicazione da parte di chi lo abbia abusivamente introdotto nell’istituto penitenziario senza un previo accordo con lo stesso detenuto, tale condotta di ricezione del dispositivo appare integrare il reato di ricettazione, per avere il detenuto ricevuto una cosa (il dispositivo) proveniente dal delitto di cui all’art. 391-ter, primo comma, cod. pen.
Tale reato di ricettazione, ove ritenuto in concreto più grave, per effetto della clausola di riserva «[s]alvo che il fatto costituisca più grave reato» con cui si apre il terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen. – clausola che il ricorrente mostra di non avere considerato – “prevale” su quello di cui al terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen.
Da quanto si è appena esposto discende perciò come la qualificazione giuridica del fatto attribuito al ricorrente come ricettazione non si possa ritenere palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo d’imputazione, nel quale è stato contestato all’imputato di avere ricevuto un apparecchio telefonico provento del delitto di cui all’art. 391-ter cod. pen.
