Premessa
In questi giorni l’Unione Camere Penali Italiane (UCPI) ha sostenuto due tesi affascinanti.
Una è stata formulata durante la prima giornata dell’inaugurazione dell’anno giudiziario dell’Unione Camere Penali Italiane. In quell’occasione mi pare che sia stato illustrato il seguente ragionamento: poiché “le istituzioni giudiziarie non sono l’Associazione nazionale magistrati”, la scelta della magistratura milanese di non partecipare all’inaugurazione sarebbe stata inopportuna.
Si sostiene, in sintesi, come sia necessario che il singolo magistrato distingua tra la sua posizione di associato ad ANM e quella di titolare di un pubblico ufficio. Secondo questa impostazione, dunque, anche laddove l’UCPI avesse ecceduto nei toni e nei contenuti delle proprie critiche, queste ultime sarebbero state rivolte solo ai vertici dell’ANM o all’Associazione, ambedue soggetti distinti dalle autorità giudiziarie invitate all’inaugurazione.
La seconda tesi è stata invece enucleata in un precedente comunicato dell’UCPI, intitolato “La magistratura volta le spalle anche all’avvocatura”. In quella sede l’Unione ha evidenziato “Prendiamo atto che, al contrario, non si accettano da parte della magistratura le critiche che UCPI ha motivatamente avanzato in ordine a singole iniziative della magistratura associata, il che dimostra che rifiutando il dialogo ci si vuole sottrarre al confronto, che può essere stato anche aspro, ma non è mai trasceso nella delegittimazione della funzione, così come peraltro dimostrano i nostri reiterati interventi a tutela dell’indipendenza della magistratura di fronte agli indebiti attacchi della politica”.
Si sostiene, in sintesi, che l’UCPI abbia sempre mantenuto nel confronto con ANM toni che rispondono al principio di continenza (magari “aspri”, ma mai tali da giungere alla “delegittimazione della funzione giudiziaria”). Anche in questo caso la conclusione a cui giunge l’Unione è quella di ritenere assolutamente ingiustificata l’assenza dei magistrati milanesi all’inaugurazione.
Procedendo con ordine, verificherò anzitutto se la prima tesi abbia una sua reale consistenza, per poi passare all’esame della seconda.
Uno
L’analisi non può prescindere dalla disamina dei dati fattuali, rappresentati proprio dalle note della Giunta UCPI che si sono susseguite in questi ultimi mesi. Di esse riporterò solo i passaggi utili ai fini della ricostruzione della posizione assunta dall’Unione nei confronti della magistratura. Ciò che mi sembra rilevante appurare in prima battuta è se le contestazioni mosse fossero rivolte ai soli vertici dell’ANM, all’Associazione o a tutta la magistratura.
1)Nota del 25 gennaio 2025, intitolata “Lo strappo istituzionale della magistratura”:
“Fino all’ultimo abbiamo sperato che non accadesse ed invece i magistrati, guidati dalla loro associazione nazionale, si sono alzati e sono usciti, girando le spalle durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario…. Proprio girando le spalle, nel tempo, la magistratura ha consumato se stessa, mancando di rispetto prima di tutto alla propria alta funzione di garanzia dello Stato di diritto…. Lo fa ora opponendosi con queste improprie modalità ad una riforma che mira, nell’interesse del cittadino, a rafforzare il giudice e ad aumentare l’autonomia interna di tutti i magistrati liberandoli dal controllo delle correnti. I cittadini, tuttavia, hanno compreso che l’opposizione alla separazione delle carriere rappresenta una difesa dell’attuale sistema e una campagna di tipo corporativo, mirata a ostacolare l’inevitabile necessaria innovazione di una giustizia auto referenziale che, così com’è, non risponde né ai principi di un processo equo né alle reali esigenze di una democrazia moderna.”
I passaggi evidenziati in neretto testimoniano come le critiche sollevate dall’Unione fossero rivolte all’intera magistratura e non solo ai vertici di ANM o all’Associazione.
2) Nota del 21 dicembre 2024, intitolata “L’uso politico dello strumento giudiziario da parte della magistratura non è mai cessato”:
“Le assoluzioni dei senatori Renzi e Salvini, arrivate nel giro di pochi giorni, ci confermano che nel nostro Paese l’uso politico dello strumento giudiziario da parte della magistratura, che ha avuto tratti eversivi, non è mai cessato. Le recenti assoluzioni testimoniano tuttavia che la magistratura è composta in larga maggioranza da magistrati che non seguono queste logiche ma ne sono in qualche modo vittime, posto che esiste una magistratura che fa carriera e gestisce il potere, e una magistratura che subisce la delegittimazione e la mancanza di fiducia che deriva dall’uso strumentale del potere giudiziario.”
Anche in questo caso l’accusa è rivolta all’intera magistratura, sebbene l’Unione tenti di indorare la pillola precisando come la maggioranza dei magistrati non siano politicizzati e non facciano un uso strumentale del loro potere. La tesi che pretende di distinguere i magistrati politicizzati da quelli non politicizzati in ragione della circostanza che questi formulino nei confronti di un politico un’ipotesi accusatoria (nel caso dei PM) o una pronunzia assolutoria (nel caso dei Giudici) è invero epistemologicamente erronea. Si potrebbe infatti sostenere con egual forza argomentativa che ad essere politicizzati siano i magistrati che hanno pronunziato l’assoluzione. In assenza di elementi probatori che le corroborino, ambedue le asserzioni sono prive di un fondamento razionale. Esse sono pertanto logicamente invalide e si risolvono dunque in una forma di delegittimazione del potere giudiziario.
Sebbene sia parimenti un argomento privo di forza probante, ad colorandum non pare poi futile osservare come dei tre colleghi PM del caso Salvini nessuno risulti iscritto ad una corrente (che io sappia).
È invece interessante notare come tutti e tre siano stati destinatari di reiterate minacce da parte di singoli cittadini nel settembre del 2024.
Il dato assume rilevanza perché nella richiamata nota della giunta dell’UCPI del 04.02.2025 l’Unione afferma “così come peraltro dimostrano i nostri reiterati interventi a tutela dell’indipendenza della magistratura di fronte agli indebiti attacchi della politica”.
Se questa è la natura ed il contenuto degli interventi dell’UCPI in favore della magistratura, forse sarebbe auspicabile che si astenesse dal riproporli.
3) Nota 24 dicembre 2024, intitolata “ANM, tra teoremi e amnesie”
“Proprio perché i processi si dovrebbero fare per accertare “fatti”, come afferma ANM, abbiamo ritenuto di commentare le due assoluzioni di Renzi e di Salvini come esempi di processi fondati su altrettanti “teoremi” volti a sindacare il piano delle scelte politiche piuttosto che i fatti… Sono troppo noti, ed oramai consegnati alla storia ed alla cronaca del Paese, gli episodi connotati da una evidente carica politica posti in essere dalla magistratura, sia all’esterno che all’interno dell’azione giudiziaria.”
Non credo che questa nota necessiti di commenti.
4) Nota del 11 dicembre 2023, intitolata “L’intromissione della magistratura nelle funzioni proprie del Parlamento: la lettera del Presidente Petrelli”:
“La missiva, sottoscritta da tutti i ventisei Presidenti delle Corti Appello, con la quale si richiede la formulazione di una norma transitoria per la nuova riforma della prescrizione rappresenta una chiara e indebita intromissione da parte della magistratura nelle funzioni proprie del Parlamento. I penalisti italiani si rivolgono alla politica perché non ceda i propri spazi e si faccia carico delle proprie responsabilità senza subire indebite interferenze. La lettera del Presidente Petrelli alle istituzioni della Politica.”
In questo caso, al pari che nel primo, il riferimento alla magistratura mi pare assai evidente. Tuttavia, pur volendo concedere che la critica fosse rivolta ai singoli Presidenti delle Corti Appello, non vi è dubbio che non ci si riferisca ai vertici dell’ANM, ma ai capi degli uffici giudiziari (cioè, ai singoli magistrati nella loro veste di titolari di un pubblico ufficio).
4) Nota del 04.02.2025, intitolata “La magistratura volta le spalle anche all’avvocatura”:
“Voltare le spalle, anche agli avvocati, respingendo immotivatamente il loro invito, appare, ancora una volta, la dimostrazione che la magistratura ritiene, del tutto impropriamente, di essere l’unico soggetto autorizzato a parlare di giustizia, pretendendo di continuare ad esercitare il proprio diritto di veto su tutto ciò che non le è gradito.”
Anche in questo caso il tenore letterale della nota non necessita di commenti. Essa si rivolge alla magistratura nella sua interezza e non certo ai vertici di ANM.
Cade così l’argomento portato avanti dall’UCPI e cioè che le “aspre” critiche da questa formulate siano rivolte ai leader dell’Associazione e non alla magistratura (e dunque ai singoli magistrati che la compongono).
Si potrebbe forse sostenere che le affermazioni dell’UCPI siano rivolte all’intera associazione?
Il tenore letterale delle note richiamate in verità non lo consente.
Ma anche volendo abbracciare questa tesi, le conclusioni a cui pretende di giungere l’UCPI non sarebbero sostenibili.
Credo che qualche esempio banale sia sufficiente a dimostrarlo.
Immaginiamo che io sia iscritto all’associazione X di Prati Fiscali.
Immaginiamo ancora che le Camere Civili del Tribunale ove presto servizio pubblichino un comunicato in cui affermano che quell’associazione è una fucina di illegalità (espressione volutamente generica).
Ovviamente in quanto associato mi sentirei direttamente toccato da quell’affermazione.
Le associazioni non sono entità astratte, ma sono composte da un insieme di persone. Da ciò discende che, se si inveisce contro un’associazione, in realtà si sta inveendo contro i singoli associati.
Immaginiamo infine che, successivamente, le Camere Civili mi invitino in qualità di Giudice del loro Tribunale ad intervenire come relatore ad un convegno da queste organizzato.
Potrei io scindere le due posizioni (quella di associato e quella di magistrato)? Potrei ritenere irrilevante l’offesa ricevuta in qualità di associato dato che l’invito è stato formulato in qualità di magistrato? È questa una condotta esigibile?
Proviamo con un altro esempio.
Immaginiamo che il Premier francese affermi che quel partito adotta metodi mafiosi.
Immaginiamo ancora che, successivamente, lo stesso Premier inviti un membro del Governo che appartiene a quel partito ad un incontro istituzionale.
Si potrebbe esigere la sua presenza? Con quale stato d’animo e serenità potrebbe egli partecipare a quel confronto?
Potrebbe mai un Capo dello Stato affermare pubblicamente che quello di un altro Paese nella vita privata è un alcolista e poi pretendere che questi accetti un invito istituzionale?
Le risposte mi paiono tutte scontate.
Ed allora come si può pretendere che il singolo magistrato, esposto ad una feroce aggressione in qualità di associato, possa distinguere tra quest’ultima e quella di titolare di un pubblico ufficio?
Non credo sia casuale che l’art.51, comma 1, n.3 cpc preveda l’astensione obbligatoria del giudice “se egli stesso ha grave inimicizia con una delle parti”.
Ovviamente la fattispecie non si attaglia a quella in esame, ma logica sulla quale essa si fonda sì.
Essa si estrinseca nel principio secondo il quale, quando i rapporti personali tra due soggetti sono compromessi, è altamente inopportuno che l’uomo rappresenti l’istituzione pubblica.
Due
E veniamo ora al secondo punto, che potrà essere trattato in maniera estremamente sintetica, avendo già riportato nelle pagine precedenti il contenuto delle varie note dell’UCPI.
Nell’ultima, come anticipato, l’Unione rileva “il che dimostra che rifiutando il dialogo ci si vuole sottrarre al confronto, che può essere stato anche aspro, ma non è mai trasceso nella delegittimazione della funzione”
Temo che l’ultima affermazione non corrisponda alla realtà.
Tacciare il proprio interlocutore di essere politicizzato, di utilizzare come strumento di lotta politica il proprio potere giudiziario, di opporsi impropriamente al Parlamento, di portare avanti una campagna corporativa e, infine, di essere il fautore di una “giustizia auto referenziale”, a mio modesto avviso significa esattamente delegittimare la funzione giudiziaria.
