La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 46826/2024 ha stabilito che il giudizio sulla concedibilità del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è subordinato esclusivamente alla valutazione dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., sicché resta precluso ogni altro criterio di valutazione, quale la natura del reato.
Nella fattispecie, in tema di falso ideologico commesso da privato in atto pubblico, la Suprema Corte ha censurato la decisione impugnata che aveva negato il beneficio solo perché, trattandosi di reato contro la fede pubblica, sussiste l’interesse della comunità a conoscere dell’esistenza di tale precedente.
Se è vero, infatti, che, come ha già più volte avuto modo di affermare la giurisprudenza di legittimità, il beneficio della non menzione della condanna di cui all’art. 175 cod. pen. è fondato sul principio della “emenda” e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato, sicché la sua concessione è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena, è altresì indiscusso che il giudice deve indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, Rv. 275813 — 01).
La valutazione del giudice, riguardo alla concedibilità del beneficio in parola, deve intervenire esclusivamente sulla base dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., tenendo conto della ratio di tale istituto diretto a favorire il ravvedimento del 2 condannato mediante l’eliminazione di conseguenze del reato suscettibili di compromettere o intralciare la sua possibilità di lavoro (Sez. 3, n. 24362 del 22/02/2023, Rv. 284669 – 01; conf.: n. 560 del 1995, Rv. 200029-01), specificamente, mediante l’eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato.
Non è pertanto necessariamente contraddittoria la decisione che – come nel caso di specie – neghi uno dei due benefici e conceda l’altro ovvero riconosca le circostanze attenuanti generiche negando il beneficio della non menzione, purché ovviamente dalla motivazione possano cogliersi le ragioni per le quali la persona sia stata ritenuta meritevole solo dell’uno e non dell’altro beneficio, ben potendo i rispettivi riconoscimenti ruotare intorno ai medesimi aspetti.
Nel caso di specie, la Corte di merito, pur avendo riconosciuto, in accoglimento del relativo motivo di appello, le circostanze attenuanti generiche considerando le motivazioni che avrebbero indotto l’imputato a redigere/utilizzare la dichiarazione falsa – in particolare la circostanza che lo stesso era comunque in possesso di regolare permesso di soggiorno e di regolare residenza nel Comune di Crema, ritenuta indicativa della non particolare gravità del fatto, in uno con lo stato di incensuratezza del ricorrente – ha poi negato la non menzione motivando il diniego sulla base unica ed esclusiva della natura del reato.
Assume sul punto la Corte territoriale che l’occasionalità della condotta non è di per sé sufficiente a concedere il beneficio avuto riguardo alla tipologia del reato.
Il solo fatto che si tratti, in astratto, di un reato contro la fede pubblica osterebbe, di per sé, al riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale perché in relazione a tale tipo di reato sussisterebbe sempre – secondo i giudici di secondo grado – un ragionevole interesse della comunità a conoscere, anche nei rapporti privati, l’esistenza di tale precedente.
Ebbene, balza evidente il vuoto argomentativo che supporta la decisione impugnata: la Corte di merito nel concedere le attenuanti generiche aveva individuato delle ragioni favorevoli all’imputato con le quali avrebbe dovuto confrontarsi nel negare il beneficio in parola e, soprattutto, non ha solo tralasciato tale aspetto ma ha per di più giustificato la sua valutazione negativa affidandola unicamente alla natura astratta del reato, senza affrontare cioè il tema sotteso al tipo di valutazione che l’istituto in parola richiede: quello dell’incidenza positiva del riconoscimento della non menzione in termine di possibilità di recupero sociale del condannato, sia pure da considerare alla luce degli indicatori di cui all’art. 133 cod. pen., tra i quali non è ricompresa la natura astratta del reato.
Affermando che, trattandosi di un reato contro la fede pubblica, sussisterebbe il preminente interesse della comunità a conoscere anche nei rapporti privati la esistenza di tale precedente, si finisce col frustrare a priori la possibilità di beneficiare della non menzione in ragione del solo titolo di reato, cosa che è in contrasto con la norma che non prevede limitazioni in tal senso; laddove la ratio sottesa al riconoscimento della non menzione non risiede nella pubblicità legata alla tipologia del reato al quale è riferita la condanna prevista a tutela dei terzi (Sez. 3, n. 23841 del 17/05/2022, Guisse Samba, non mass.), bensì nell’agevolazione al reinserimento sociale ad esclusivo beneficio del condannato; esigenza rispetto alla quale l’interesse dei terzi è stata già dal legislatore ritenuta, a monte, soccombente allorquando ricorrano determinate circostanze – enucleabili a lume dell’art. 133 cod. pen. – che militano in favore dell’imputato e del suo reinserimento sociale.
Il giudizio sulla concedibilità del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è subordinato esclusivamente alla valutazione delle circostanze di cui all’art. 133 cod. pen., sicché resta precluso ogni altro criterio di valutazione (Sez. 1, n. 560 del 22/11/1994, dep. 1995, Butera, Rv. 200029 – 01) e deve escludersi che la natura del reato, quali che fossero le ragioni addotte dalla difesa a supporto della richiesta, possa costituire una risposta adeguata ai fini del diniego del beneficio in parola, non afferendo né alla valutazione complessiva del fatto né alla personalità dell’imputato.
