Secondo Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 4945/2025, udienza del 22 gennaio 2025, l’attribuzione all’esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del PM, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell’art. 111, secondo comma, Cost., e dell’art. 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o, comunque, prevedibile per l’imputato e non abbia determinato, in concreto, una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438 – 01; Sez. 3, n. 9457 del 19/01/2024, Rv. 286026 – 01). Deve, dunque, ritenersi corretta l’avvenuta riqualificazione dell’imputazione di tentato furto aggravato nella più grave fattispecie di tentato furto in abitazione aggravato.
Nondimeno, nel caso in cui vi sia stata l’impugnazione del solo imputato, il giudice dell’appello non può riformare la sentenza di primo grado applicando un trattamento sanzionatorio più grave di quello disposto dal provvedimento impugnato. Infatti, l’art. 597, comma, cod. proc. pen. stabilisce che «quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità»; sicché nel caso in cui sia stata data al fatto una definizione giuridica più grave, la pena inflitta deve essere pari o inferiore a quella stabilita dal primo giudice in relazione ad esso.
È, inoltre, principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che il divieto di reformatio in peius non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, William Morales, Rv. 232066 – 01), riguardando, quindi, anche l’aumento conseguente al riconoscimento della continuazione (Sez. 2, n. 6043 del 16/12/2021, dep. 2022, Rv. 282628 – 02).
Conseguentemente è stato anche ritenuto che vi sia violazione di tale divieto anche nel caso in cui, in presenza di impugnazione da parte del solo imputato di una sentenza di condanna pronunciata per più reati unificati dal vincolo della continuazione, non si diminuisca l’entità della pena originariamente inflitta pur pronunciandosi l’assoluzione per un reato-satellite (Sez. 5, n. 31998 del 06/03/2018, Rv. 273570 – 01; Sez. 3, n. 17731 del 15/02/2018, Rv. 272779 – 01; Sez. 5, n. 50083 del 29/09/2017, Rv. 271626 – 01; Sez. 3, n. 17113 del 16/12/2014, dep. 2015, Rv. 263387 – 01; Sez. 3, n. 38084 del 23/06/2009, Rv. 244961 – 01)
Orbene, nel caso in esame il giudice di appello, pur in presenza dell’impugnazione del solo ricorrente, ha realizzato una modifica in peius del trattamento sanzionatorio stabilito dal primo giudice, il quale, da un lato, ha riqualificato il fatto contestato al capo 1) ai sensi degli artt. 56 e 624-bis cod. pen. e ha dichiarato in esso assorbito il reato di cui al capo 2); e, dall’altro lato, ha lasciato invariata la pena finale applicata nel giudizio di primo grado, che era comprensiva dell’aumento di pena per la continuazione tra il primo reato e quello di cui al capo 2).
E in questo modo ha finito per realizzare un aggravamento del trattamento che era stato stabilito in primo grado.
