Avvocato: mai fidarsi delle informazioni ricevute, per le vie brevi, dalla cancelleria (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 4933/2025 ha esaminato la seguente questione: la cancelleria fornisce all’avvocato, per le vie brevi, una informazione errata circa il rispetto del termine per il deposito della motivazione di una sentenza. Da ciò discende il passaggio in giudicato della sentenza e l’avvocato avanza istanza di restituzione nel termine per impugnare, ex art. 175 comma 4 c.p.p.

Sarà sufficiente la sua parola?

Fatto:

La Corte di appello di Trieste, con ordinanza in data 9 luglio 2024, ha dichiarato, ai sensi dell’art. 175 comma 4 cod. proc. pen., la competenza della Corte di cassazione a decidere sulla richiesta di restituzione nel termine per impugnare la citata sentenza della Corte di appello, trasmettendo alla Cassazione i relativi atti.

Nella richiesta, il difensore evidenzia di essersi personalmente recato in data 12 marzo 2024 presso la cancelleria della Corte di appello per avere notizie circa il deposito della motivazione della sentenza (il cui termine scadeva il precedente 11 marzo, avendo la Corte territoriale indicato in sessanta giorni il relativo termine) e di avere appreso che non era ancora intervenuto il deposito della motivazione.

Aveva dunque confidato circa il superamento del termine ex art. 544 cod. proc. pen. e, dunque, atteso la successiva notifica dell’intervenuto deposito, dal quale sarebbe decorso il termine di quarantacinque giorni per il ricorso in cassazione.

Il 9 maggio 2024, a seguito di richiesta via PEC per avere notizie della sentenza, apprendeva che la motivazione era stata depositata già il precedente 7 marzo.

Invoca quindi la restituzione in termini, atteso che l’errata indicazione ricevuta dalla cancelleria lo ha tratto in inganno circa il mancato decorso del termine per impugnare.

Decisione:

La cassazione, premette che si è già ritenuto che “integra fatto costituente forza maggiore, che può giustificare la restituzione nel termine per l’impugnazione, l’errata informazione ricevuta dalla cancelleria circa l’omesso tempestivo deposito della sentenza nei termini di rito, ma grava sull’istante l’onere di provare rigorosamente – mediante attestazione di cancelleria o altro atto o fatto certo – il verificarsi della circostanza ostativa al tempestivo esercizio della facoltà di impugnazione, che non può ritenersi assolto con l’allegazione, a sostegno del proprio assunto, di dichiarazioni provenienti da lui o da altri difensori interessati” (Sez. 2, n. 17708 del 31/01/2022, Morelli, Rv. 283059 – 01).

prosegue la Suprema Corte, si è precisato che “in tema di richiesta di restituzione dei termini ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen. per dedotta forza maggiore a proporre tempestiva impugnazione, spetta al difensore dare la prova non solo di aver richiesto a mezzo PEC copia della sentenza da impugnare, ma anche di aver posto in essere ogni possibile diligente iniziativa per sollecitarne il rilascio, financo recandosi presso la cancelleria, a meno di non dimostrare che detto accesso gli era stato impedito in modo inderogabile a causa dei provvedimenti emergenziali antipandemici” (così, Sez. 2, ord. n. 39211 del 24/09/2024, Pozzi, Rv. 287051 – 01; Sez. 5, n. 29340 del 19/04/2023, Suares, Rv. 284816 – 02)».

Nel caso in esame tale prova non è stata fornita, essendosi il difensore limitato a indicare, senza alcuna documentazione a sostegno, di essersi recato presso la cancelleria della Corte di appello e di essere stato fuorviato dalle errate rassicurazioni circa il non intervenuto tempestivo deposito della sentenza di appello.

Pertanto, difettando la prova suindicata, si impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso alla quale segue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Da questa vicenda si può trarre la morale che la parola dell’avvocato non ha alcun valore come, peraltro, quella del cancelliere.