Responsabilità dell’avvocato per negligente svolgimento di attività professionale: la valutazione di merito non è sindacabile in sede di legittimità (Vincenzo Giglio)

Cassazione civile, Sez. 3^, ordinanza n. 28903/2024, dell’11 novembre 2024 (Rv. 672565-01), (allegata alla fine del post in versione anonimizzata) ha chiarito che, nel giudizio di responsabilità dell’avvocato per negligente svolgimento dell’attività professionale verso il cliente, la valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale, avendo ad oggetto il nesso di causalità tra l’attività omessa e il possibile esito favorevole che sarebbe potuto derivare al cliente, attiene al merito di quel giudizio e, come tale, non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che tale valutazione si fondi su un presupposto manifestamente e totalmente errato di modo che la questione posta al giudice del merito sia di puro diritto, poiché l’errore di sussunzione è deducibile con il ricorso per cassazione.

Il collegio di legittimità ha ricordato anzitutto che, in tema di responsabilità professionale dell’avvocato, è consolidato l’orientamento secondo il quale la valutazione sull’esistenza di una colpa professionale deve essere compiuta, con un giudizio ex ante, sulla base di una valutazione prognostica della possibile utilità dell’iniziativa intrapresa o omessa, non potendo comunque l’avvocato garantirne l’esito favorevole (viene di frequente richiamata, al riguardo, l’antica e ormai superata distinzione tra obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato). Questo principio è stato affermato per lo più in relazione alla responsabilità omissiva, cioè quando si deve valutare la conseguenza dannosa, per il cliente, derivante da un’attività processuale che poteva essere compiuta e non è stata compiuta (v., tra le altre, la sentenza 24 ottobre 2017, n. 25112, e le recenti ordinanze 19 gennaio 2024, n. 2109, e 6 settembre 2024, n. 24007).

Tale giudizio si svolge, seguendo le regole causali in materia di responsabilità civile, secondo il principio del più probabile che non, in base al quale può ritenersi, in assenza di fattori alternativi, che l’omissione da parte del difensore abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno.

Si è detto, in particolare, che in questa materia occorre «distinguere fra l’omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l’evento dannoso, dall’omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio.

In entrambi casi possono ricorrere gli estremi per la responsabilità civile, ma nella prima ipotesi l’evento dannoso si è effettivamente verificato, quale conseguenza dell’omissione; nell’altra, il danno (che, se patrimoniale, sarebbe da lucro cessante) deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato» (così la citata sentenza n. 25112 del 2017, testualmente ripresa dalla successiva ordinanza 30 aprile 2018, n. 10320).

Verificato che il caso oggetto del ricorso rientra nella seconda tipologia, il collegio ha rilevato che attorno alla questione giuridica sottesa potrebbe sussistere – anche se solo in apparenza – un contrasto all’interno della giurisprudenza di legittimità.

Giova ricordare che l’ormai non più recente sentenza 13 febbraio 2014, n. 55, affermò che «nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale che è stata malamente intrapresa o proseguita è una valutazione in diritto, fondata su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico. Ma nel giudizio di cassazione tale valutazione, ancorché in diritto, assume i connotati di un giudizio di merito, il che esclude che questa Corte possa essere chiamata a controllarne l’esattezza in termini giuridici».

Rispetto a questa sentenza si è posta, in motivato e consapevole dissenso, la suindicata ordinanza n. 10320 del 2018, la quale ha viceversa affermato che la valutazione compiuta dal giudice di merito in ordine al possibile effetto favorevole, per l’assistito, dell’attività omessa dall’avvocato, possa essere sindacata qualora in essa si ravvisi un errore di sussunzione; ciò perché in quel caso «l’accertamento demandato al Tribunale riguardava una questione di puro diritto».

Si discuteva in quel giudizio – è bene ricordarlo per incidens – soltanto del se il coniuge, al quale era stato fissato, in sede di separazione, l’obbligo di versamento di un assegno all’altro coniuge, potesse o meno far valere le ragioni per sottrarsi al proprio obbligo di pagamento (rimasto inevaso) con lo strumento dell’opposizione all’esecuzione (art. 615 cod. proc. civ.) o con quello del ricorso per la modifica delle condizioni della separazione (art. 710 cod. proc. civ.). L’ordinanza n. 10320 del 2018, ritenendo che lo strumento giuridico correttamente utilizzabile fosse solo il secondo, ha cassato la sentenza che aveva, viceversa, ritenuto esperibile il primo e per tale ragione aveva escluso la responsabilità professionale dell’avvocato che, nel proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza che aveva deciso il giudizio di opposizione all’esecuzione, era incorso nel vizio di improcedibilità del ricorso; sanzione processuale ritenuta irrilevante ai fini della responsabilità professionale, perché quel ricorso non avrebbe avuto probabilità di accoglimento (conclusione che la S.C. ha ritenuto giuridicamente errata).

La giurisprudenza più recente ha dato continuità, in modo che può definirsi compatto, all’opzione interpretativa di cui alla sentenza n. 3355 del 2014 (v. in tal senso le ordinanze 14 novembre 2022, n. 33466, 25 luglio 2023, e 27 luglio 2024, n. 21045).

Ritiene peraltro il collegio che non sia ravvisabile, in materia, un contrasto. Ed infatti, va ribadito l’orientamento maggioritario in base al quale la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito è una valutazione che attiene al merito di quel giudizio e, come tale, non è sindacabile in sede di legittimità, essenzialmente perché è un giudizio che ha ad oggetto il nesso di causalità tra l’attività omessa e il possibile esito favorevole che sarebbe potuto derivare al cliente.

Non si può tuttavia escludere – dando continuità anche all’insegnamento contenuto nell’ordinanza n. 10320 del 2018 – che, quando la valutazione giuridica compiuta dal giudice di merito nello svolgimento del giudizio c.d. controfattuale si fonda su un presupposto manifestamente e totalmente errato, simile errore non potrà essere ignorato.

In altri termini, come l’ordinanza n. 10320 del 2018 ha affermato, se la questione posta al giudice di merito è di puro diritto, l’errore di sussunzione potrà e dovrà essere considerato anche nel giudizio di cassazione, pur rimanendo la valutazione giuridica del giudice di merito tendenzialmente estranea al perimetro del giudizio di legittimità.

Ciò premesso, il caso odierno si potrebbe definire di scuola, nel senso che la valutazione prognostica da compiere non consisteva in un giudizio di puro diritto, bensì era un giudizio di fatto fondato su di una valutazione giuridica della vicenda processuale; si trattava, in altre parole, di un giudizio nel quale il giudice di merito, esercitando la propria tipica discrezionalità, era chiamato a prevedere quale avrebbe potuto essere l’effetto positivo per la cliente in ipotesi non ottenuto a causa dell’omissione della professionista.

Nella specie, la motivazione resa dalla Corte d’appello è solida e resiste alle proposte censure.

Ed invero, il primo motivo di ricorso si risolve nell’evidente tentativo di ottenere in questa sede un diverso e non consentito esame del merito, perché insiste nell’affermare che il ricorso redatto dall’avv. […] avrebbe potuto, se ammissibile, essere accolto, posto che non c’era alcun collegamento tra l’attività criminosa svolta dal partire dagli anni 2000 e l’acquisto, da parte della [ricorrente], dell’immobile confiscato, avvenuto negli anni Ottanta del secolo scorso. Punto sul quale il Tribunale e la Corte d’appello hanno esercitato il loro potere valutativo, pervenendo alla medesima conclusione.