Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 2403/2025, udienza del 9 gennaio 2025, ha ribadito che l’equa riparazione per ingiusta detenzione non ha carattere risarcitorio, in quanto l’obbligo dello Stato non nasce da un’obbligazione per fatto illecito ma da solidarietà verso la vittima di un’indebita custodia cautelare; con la conseguenza che il suo contenuto, pertanto, non è la rifusione dei danni materiali, intesi come diminuzione patrimoniale o lucro cessante, ma – nel limite stabilito dall’art. 315, comma 2, cod. proc. pen. – la corresponsione di una somma che, tenuto conto della durata della custodia cautelare, valga a compensare l’interessato delle conseguenze personali di natura morale, patrimoniale, fisica e psichica, che la custodia cautelare abbia prodotto (Sez. U, n. 1 del 06/03/1992, Fusilli Rv. 191147; in senso analogo, Sez. U, n. 24287 del 09/05/2001, Caridi, RV. 218975).
In tale indirizzo si inserisce anche Cort Cost., 30/12/1997, n. 446, secondo la quale l’esborso cui lo Stato è tenuto si configura su un fondamento squisitamente solidaristico e non come risarcimento del danno, quale misura riparatoria per l’ingiustizia obiettiva della lesione.
Sul punto, va altresì richiamato il consolidato principio in forza del quale, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, il riferimento al criterio aritmetico – che risponde all’esigenza di garantire un trattamento tendenzialmente uniforme, nei diversi contesti territoriali – non esime peraltro il giudice dall’obbligo di valutare le specificità, positive o negative, di ciascun caso e, quindi, di integrare opportunamente tale criterio, innalzando ovvero riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione più equa possibile e rispondente alle differenti situazioni sottoposte al suo esame (Sez. 4, n. 32891 del 24/11/2020 (Ud. 10/11/2020 n. 10920) Rv. 280072, specificamente resa in fattispecie in cui la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza impugnata con la quale il giudice distrettuale aveva provveduto alla liquidazione dell’indennizzo utilizzando, quale unico parametro idoneo a compensare tutti gli effetti derivanti dall’ingiusta detenzione, il solo criterio aritmetico, senza un adeguato approfondimento motivazionale in merito alla perdita di chances lavorative, sebbene adeguatamente provata; in senso conforme, Sez. 3, n. 9486 del 16/02/2024, Rv. 286028). Specificamente, nella parte motiva di tale pronuncia, la S.C. ha rilevato che, in considerazione della struttura del procedimento di riconoscimento della riparazione e della sua sottoposizione al principio della domanda, sussiste «il dovere del giudice di prendere in esame tutte le allegazioni della parte in merito alle conseguenze della privazione della libertà personale e, dunque, di esaminare se si tratti di danni causalmente correlati alla detenzione e se sia stata fornita la prova, anche sulla base del fatto notorio o di presunzioni, di dette conseguenze».
Nel caso di specie, deve quindi rilevarsi che la Corte distrettuale ha fatto riferimento esclusivo al solo criterio aritmetico senza neanche valutare – ai fini della richiesta personalizzazione dell’indennizzo – gli atti allegati all’istanza, a propria volta facenti riferimento ai pregiudizi specifici derivanti (sul piano reddituale) dall’intervenuta risoluzione del rapporto lavorativo già intrattenuto dall’istante nonché a quelli conseguenti al c.d. strepitus fori.
Specificamente, in ordine al danno all’immagine derivante dal cosiddetto strepitus fori, occorre che la diffusione della notizia esorbiti dalle comuni modalità di informazione, connotandosi sia per la capacità di raggiungere un largo pubblico, sia per l’assertività della notizia nel senso della responsabilità penale dell’interessato, con la conseguenza che nelle realtà di piccole dimensioni è necessario che l’ingiusta detenzione abbia una durata tale da indurre nel pubblico il convincimento dell’effettivo coinvolgimento dell’interessato (Sez. 4, n. 2624 del 13/11/2018, dep. 2019, Rv. 275193), essendo necessario che le doglianze fatte valere in ordine alle conseguenze personali siano non solo allegate, ma circostanziate e corroborate da elementi che inducano a ritenere la fondatezza di un rapporto con la carcerazione subita (Sez. 3, n. 17408 del 30/03/2023, Rv. 284496).
Deve quindi rilevarsi che, nel caso di specie, la Corte territoriale si è limitata a operare un tautologico riferimento alla non riconoscibilità di danni ulteriori – essendo i pregiudizi allegati da ritenersi strettamente conseguenti alla detenzione applicata – senza operare il dovuto esame nel merito delle allegazioni attinenti alla richiesta di riconoscimento di una somma maggiorata rispetto a quella derivante dall’applicazione del mero criterio aritmetico.
