Premessa
Tra i tanti temi posti dalla vicenda dell’arresto e della successiva liberazione del ricercato libico Almasri, si agita sullo sfondo quello della cosiddetta ragione di Stato.
Lo stesso potrebbe dirsi per la recente liberazione della giornalista Cecilia Sala, catturata in Iran, dove pure era entrata con un regolare visto giornalistico, incarcerata pretestuosamente nella famigerata prigione di Evin, poi rilasciata e rientrata in Italia, come precisato in una nota di Palazzo Chigi, “grazie a un intenso lavoro sui canali diplomatici e di intelligence”.
Liberazione, quella della Sala, da molti accostata all’arresto ed alla liberazione del cittadino iraniano Mohammad Abedini-Najafabadi, che sarebbero stati disposti come una sorta di contropartita all’Iran per il via libera al rimpatrio della nostra connazionale. Nient’altro che voci, beninteso, puntigliosamente smentite da tutte le parti in causa.
Lo stesso potrebbe dirsi per il tragico epilogo, ben più risalente, della liberazione di Giuliana Sgrena, giornalista del quotidiano Il Manifesto, sequestrata in Iraq da terroristi islamici nel 2005. La sua liberazione costò la vita a Nicola Calipari, dirigente dei servizi segreti italiani: la vettura sulla quale stava accompagnando la Sgrena verso l’aeroporto di Baghdad si stava approssimando ad un posto di blocco statunitense allorché militari USA aprirono il fuoco; Calipari protesse col suo corpo la giornalista, salvandole eroicamente la vita ma perdendo la sua.
Si ipotizzò allora che il rilascio della Sgrena fosse avvenuto previo pagamento di un riscatto.
La ragion di Stato
Non esiste una sua definizione di diritto positivo.
Qui basterà dire che se ne iniziò a parlare nel Sedicesimo secolo e tra i primi che lo fecero non sorprende trovare Francesco Guicciardini e Niccolò Machiavelli.
Del primo si ricorda questa frase, tratta dal Dialogo del reggimento di Firenze: “quando io ho detto di ammazzare o tenere prigionieri e’ pisani, non ho forse parlato cristianamente, ma ho parlato secondo la ragione e l’uso degli stati“.
Quanto a Machiavelli, la ragion di Stato è uno dei concetti chiave della sua visione che escludeva dalla politica considerazioni etiche e morali, così da informarla esclusivamente alle logiche sue proprie di convenienza finalizzata al miglior interesse dello Stato.
Coessenziale alla ragion di Stato così intesa, particolarmente nella sua accezione moderna, è la nozione di stato di eccezione, teorizzata dal giurista tedesco Carl Schmitt e ripresa dal filosofo politico Giorgio Agamben.
In sintesi, lo stato di eccezione sarebbe una sorta di golden power che legittimerebbe gli Stati a sospendere le leggi e i diritti costituzionali in situazioni di crisi.
Sennonché – avverte Agamben – la tendenza degli Stati contemporanei è nel senso di accentuare questa loro prerogativa e servirsene in un numero crescente di condizioni (per lo più accomunate da asserite esigenze di sicurezza), col rischio di restringere in modo permanente i diritti umani e le libertà civili.
La storia della liberazione di Silvia Romano
Sulla base di quanto si è detto finora, può essere utile rievocare una vicenda del recente passato: la prigionia e la liberazione della cittadina italiana Silvia Romano.
…I fatti
Tra l’8 e il 9 maggio 2020 la nostra connazionale Silvia Romano fu liberata in territorio somalo, dopo essere stata rapita il 20 novembre 2018 in Kenya dove operava come educatrice per un progetto curato dalla ONLUS Africa Milele.
I più diffusi ed autorevoli mass media italiani – tra questi quotidiani come La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Sole 24 ore, Il Fatto Quotidiano, agenzie di stampa come Ansa, AGI, PressReader, periodici come L’Espresso, raccontarono che la liberazione sarebbe avvenuta in conseguenza del pagamento di un riscatto all’organizzazione jihadista terroristica somala Al Shabaab che avrebbe ricevuto in custodia la Romano dopo la fase iniziale della sua prigionia.
Addirittura, in un articolo pubblicato l’11 maggio 2020 sul quotidiano La Repubblica, il giornalista Pietro Del Re intervistò Ali Dehere, definendolo il portavoce di Al Shabaab.
Dehere ammise esplicitamente che il suo gruppo aveva tenuto prigioniera la Romano, considerata una preziosa merce di scambio, aveva incassato un riscatto in cambio della sua liberazione e si sarebbe servito di parte del denaro ricevuto per acquistare armi con cui alimentare la jihad.
Per contro – è doveroso ricordarlo – sia il ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio che il ministro della Salute Roberto Speranza affermarono di non essere a conoscenza del pagamento di alcun riscatto.
Sono di dominio pubblico altre due notizie rilevanti sulla vicenda della liberazione.
Questa era avvenuta grazie a un’operazione gestita dall’AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna, cioè l’articolazione dei nostri servizi segreti che opera all’estero) in collaborazione con i servizi somali e turchi (un comunicato in tal senso fu diramato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sul sito web istituzionale).
La vicenda del sequestro di Silvia Romano arrivò all’attenzione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma e il PM incaricato procedette sulla base della contestazione del reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo internazionale (art. 289-bis c.p.).
…Le funzioni dell’AISE e le garanzie funzionali riconosciute al suo personale
Si legge nel sito web istituzionale del SISR (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica) che “L’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) ha il compito di ricercare ed elaborare tutte le informazioni utili alla difesa dell’indipendenza, dell’integrità e della sicurezza della Repubblica dalle minacce provenienti dall’estero. In particolare, sono di competenza dell’AISE: le attività di informazione per la sicurezza che si svolgono al di fuori del territorio nazionale, a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia; l’individuazione e il contrasto al di fuori del territorio nazionale delle attività di spionaggio dirette contro l’Italia e le attività volte a danneggiare gli interessi nazionali; le attività di controproliferazione di materiali strategici. L’AISE risponde al Presidente del Consiglio dei ministri e informa, tempestivamente e con continuità, il Ministro della difesa, il Ministro degli affari esteri e il Ministro dell’interno per le materie di rispettiva competenza”.
Le competenze dell’AISE sono disciplinate dall’art. 6 della Legge 124/2007 che è stata riformata dalle successive Leggi 43/2015 e 198/2015.
Di particolare interesse sono anche gli articoli 17/20 della Legge 124 che regolano le cosiddette garanzie funzionali del personale dei servizi di informazione.
L’art. 17, in particolare, ha istituito una speciale causa di giustificazione che, aggiungendosi a quella ordinaria dell’adempimento del dovere prevista dall’art. 51 c.p., rende non punibile il personale dei servizi di informazione che tenga condotte previste dalla legge come reato.
La causa di giustificazione è sempre esclusa nei casi previsti dai commi 2/5 dall’art. 17 ed è ammessa, anche quando astrattamente possibile, solo se debitamente autorizzata e documentata, solo per condotte rientranti nei compiti di istituto le quali siano: indispensabili e proporzionate al conseguimento degli obiettivi dell’operazione non altrimenti perseguibili; frutto di una obiettiva e compiuta comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti; effettuate in modo tale da comportare il minor danno possibile per gli interessi lesi.
L’autorizzazione di cui si è detto (art. 18) spetta al Presidente del Consiglio dei ministri, deve essere motivata, è rilasciata sulla base di una circostanziata richiesta scritta del direttore del servizio di informazione per la sicurezza interessato, è modificabile o revocabile in qualunque momento.
Se le condotte di cui si parla sono oggetto di indagini preliminari, il direttore del servizio interessato oppone all’autorità giudiziaria la causa di giustificazione e, se questa è confermata entro il ristretto termine previsto dal Presidente del Consiglio, il giudice, a richiesta del PM o anche d’ufficio, pronuncia secondo i casi sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione nel merito.
Se la causa di giustificazione è eccepita dall’appartenente dei servizi nel momento in cui viene arrestato in flagranza di reato o in cui viene eseguita una misura cautelare, l’esecuzione del provvedimento viene sospesa e si attiva la medesima procedura descritta di verifica dell’effettiva esistenza della scriminante.
Si ricorda infine che, secondo quanto previsto dall’art. 17, comma 4, non possono essere autorizzate le condotte di reati per i quali non è opponibile il segreto di Stato ai sensi del successivo articolo 39, comma 11, e cioè i fatti di terrorismo o eversivi dell’ordine costituzionale e i fatti costituenti i delitti di cui agli artt. 285 (devastazione, saccheggio e strage), 416-bis (associazione a delinquere di stampo mafioso), 416-ter (scambio elettorale politico-mafioso) e 422 (strage) del codice penale.
Fanno eccezione, in virtù di un’espressa deroga prevista dall’art. 17, comma 4, e sono pertanto sempre autorizzabili, le ipotesi previste dagli artt. 270-bis, comma 2 (partecipazione ad un’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico) e 416-bis, comma 1 (partecipazione ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso) del Codice penale.
Si segnala inoltre che l’art. 8, comma 2 del Decreto legge 7/2015 convertito con modifiche dalla Legge 43/2015 ha reso autorizzabili fino al 31 gennaio 2018 anche le ipotesi previste dagli artt. 270, comma 2 (partecipazione ad associazioni sovversive), art. 270-ter (assistenza agli associati), 270-quater (arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale), art. 270.quater1 (organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo), 270-quinquies (addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale), 302 (istigazione a commettere un delitto contro la personalità interna o internazionale dello Stato), 306, comma 2 (partecipazione a banda armata) e 414, comma 4 (istigazione o apologia riguardante delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità).
… Le implicazioni giuridiche dell’eventuale pagamento di un riscatto
La condotta di chi paghi un riscatto ai sequestratori di una persona per ottenere la liberazione di quest’ultima sembra astrattamente potere essere inquadrata nella fattispecie di favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) che punisce “Chiunque fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648, 648-bis, 648-ter, aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato”.
Questa tipologia di reato rientra, di per sé sola considerata, tra quelle autorizzabili ai sensi degli artt. 17 e ss. della Legge 124.
La qualificazione giuridica cambierebbe ovviamente se l’eventuale attività del personale dei servizi si spingesse fino a “proteggere” in qualche modo la gestione del sequestro a fini terroristici allo scopo di non intralciare l’intento finale della liberazione dell’ostaggio. Sarebbe difficile in questo caso escludere l’ipotesi del concorso nel sequestro, il quale – è bene ricordarlo – è un delitto per il quale non è opponibile il segreto di Stato e non è autorizzabile e quindi scriminabile la condotta che lo integra o concorre ad integrarlo.
Si pone poi l’ulteriore questione dei limiti oggettivi all’autorizzabilità delle condotte di reato.
Come si è visto, occorre che queste siano state compiute nell’esercizio o a causa di compiti istituzionali dei servizi (i), siano indispensabili e proporzionate al conseguimento degli obiettivi dell’operazione non altrimenti perseguibili (ii), siano frutto di un’obiettiva e compiuta comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti (iii), siano effettuate in modo tale da comportare il minor danno possibile per gli interessi lesi (iv).
Si può dare per scontato che sia un dovere istituzionale dei servizi informativi quello di assicurare la salvaguardia della vita e dell’incolumità di cittadini italiani che si trovino in condizioni di rischio in Stati esteri.
Lo stesso può dirsi per la priorità da attribuirsi al bene vita rispetto a qualsiasi altro interesse con esso confliggente.
È verosimile ritenere che non si saprà mai invece, per ovvie ragioni di protezione delle nostre attività di intelligence all’estero e degli uomini cui queste sono affidate, se esistessero altri modi, alternativi al pagamento del riscatto, per giungere alla liberazione di Silvia Romano e se, in ipotesi, questi modi fossero percorribili senza mettere a repentaglio la sicurezza della vittima.
Si può solo ricordare a questo riguardo che i proventi finanziari dei sequestri di persona costituiscono una delle risorse più importanti delle organizzazioni terroriste che operano nell’area in cui è insediata Al Shabaab e che tali organizzazioni controllano capillarmente estese fasce territoriali, sono pesantemente armate, possono contare su reti personali diffuse.
Considerazioni di analogo tenore possono essere fatte riguardo al requisito del minor danno possibile per gli interessi lesi.
A credere all’intervista di Ali Dehere, parte del ricavato del riscatto sarebbe stato impiegato dalla sua organizzazione per l’acquisto di armi che avrebbero rafforzato le sue attività e la sua capacità di operare a livello terroristico.
Se così fosse, la protezione di una vita potrebbe comportare rischi per altre vite.
Di contro, tuttavia, si dovrebbe rilevare che Al Shabaab non risulta aver condotto finora aggressioni contro obiettivi italiani sicché il suo rafforzamento economico non dovrebbe essere inteso come una minaccia contro interessi nazionali.
Come sempre in questi casi, è quantomai complicato individuare il punto di migliore equilibrio tra esigenze contrastanti e valori in conflitto, per di più servendosi di opinioni fondate su open data laddove è lecito presumere che le informazioni in possesso dei servizi sono ben più estese e fondate.
…La trattativa, le trattative
Comunque si voglia intendere la vicenda che portò alla liberazione di Silvia Romano, e quale che sia la versione che si considera più attendibile, un fatto è certo.
Quella liberazione fu il frutto di un lavorio di intelligence in cui trovarono posto sinergie con altri servizi, conoscenza delle dinamiche del territorio in cui la Romano era tenuta in ostaggio, acquisizione di informazioni e a un certo punto, inevitabilmente, trattative e negoziati con chi la teneva prigioniera.
Trattativa, questa è la parola chiave.
Servì a salvare una vita, preziosa come ogni altra vita, e per ciò solo va apprezzata l’azione di tutti coloro che, a livello politico e di intelligence, la resero possibile.
Ci si limita ad osservare, prescindendo dalle pur esistenti differenze tra il regime giuridico riservato al personale dei servizi e quello proprio degli altri operatori della pubblica sicurezza, che in altri casi quella stessa parola assunse un significato massimamente negativo, implicando nel pensiero corrente una sorta di cedimento immorale e mai giustificabile delle istituzioni.
Così è avvenuto ed avviene per la cosiddetta trattativa Stato – mafia che pure fu avviata per fermare la stagione stragista di Cosa nostra.
Così è avvenuto per le rivolte nelle carceri in piena emergenza Coronavirus alle quali sono seguite una tardiva sensibilizzazione delle istituzioni competenti e la scarcerazione di soggetti giudicati pericolosi ma nondimeno anziani, malati e a elevato rischio di contagio.
Così sarà verosimilmente avvenuto altre volte senza che le cronache ne parlassero.
Dove si colloca in questi casi il miglior interesse generale? È legittimo agire in base alla ragion di Stato ed attivare lo stato di eccezione?
Queste le domande.
Le risposte possono essere le più varie ma, quali che siano, non gli si addice la presunzione di chi ha la verità sempre in tasca.
