Prove fuori dibattimento e condanna: la necessità del riscontro esterno (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 3 con la sentenza numero 988/2025 è tornata ad occuparsi della questione dell’utilizzabilità delle prove dichiarative acquisite nella fase delle indagini e divenute irripetibili in dibattimento (per impossibilità sopravvenuta) e della loro rilevanza per arrivare alla condanna dell’imputato.

Nel caso di specie, il ricorrente si doleva che la condanna era basata sulle dichiarazioni della ex convivente, poi acquisite come prove nel processo perché la teste era diventata nel frattempo irreperibile in modo imprevedibile.

La Suprema Corte ha richiamato il principio di diritto che le dichiarazioni acquisite possono costituire la base determinante per la condanna se l’assenza di contraddittorio è controbilanciata da solide garanzie procedurali, individuabili nell’esistenza di elementi di riscontro.

Nel caso specifico la loro inutilizzabilità non avrebbe scalfito il giudizio di colpevolezza basato sull’identificazione dell’imputato effettuata dal sistema di videosorveglianza e da due funzionari di polizia giudiziaria.

Il tema è il cardine del giusto processo: il diritto dell’accusato di interrogare e far interrogare i testimoni a suo carico e il principio di matrice costituzionale di non dispersione delle prove.

Ripercorriamo brevemente l’evolversi della giurisprudenza della Suprema Corte, ricordando due sentenze.

Le dichiarazioni rese al di fuori del contraddittorio in sede di indagini preliminari da soggetto divenuto successivamente irreperibile ed acquisite ex art. 512 cod. proc. pen. hanno rilevanza probatoria a carattere secondario, con la conseguenza che non possono essere poste a fondamento della condanna in mancanza di altri elementi di prova, essendo necessario inquadrarle in un ambito più ampio nel quale non assumano rilievo decisivo o preponderante, cassazione sezione 6 sentenza numero 43899/2018.

Mentre la cassazione sezione 4 con la sentenza numero 13384/2024 ci permette di ricordare che l’evoluzione giurisprudenziale, nostrana e Cedu, dell’ultimo ventennio, in materia, è la decisione Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, D.F. Rv. 250199, la quale consacrò il principio secondo cui “Le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono, conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, in applicazione dell’art. 6 Conv. EDU , fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale“.

Oggetto di interpretazioni difformi, che avevano motivato la rimessione, era la nozione di “assoluta impossibilità” dell’esame dibattimentale, postulata dall’art. 512-bis cod. proc. pen. ai fini della lettura delle dichiarazioni predibattimentali rese da persona residente all’estero, essendo ai tempi controverso se tale condizione dovesse identificarsi nella impossibilità totale e definitiva di ottenere la presenza del dichiarante.

Nel percorso ricostruttivo seguito, le Sezioni Unite individuarono anzitutto le ragioni ispiratrici della disposizione che sono state ricondotte all’esigenza di armonizzare la disciplina delle letture col principio del contraddittorio di cui al novellato art. 111 Cost., l’esigenza di garantire, per quanto possibile, la dialettica delle parti nella fase acquisitiva della prova, l’esigenza di conformare l’ordinamento interno agli obblighi internazionali.

Alla luce del novellato art. 111 Cost., con le circoscritte e tassative eccezioni di cui al comma quinto (consenso dell’imputato, accertata impossibilità di natura oggettiva, provata condotta illecita in danno del dichiarante), la Corte ritenne che si imponesse un’interpretazione restrittiva dei presupposti applicativi dell’art. 512-bis cod. proc. pen., anch’esso contenente una previsione derogatoria rispetto al metodo dialettico di assunzione della prova; e che la lettura delle dichiarazioni predibattimentali, intanto potesse valutarsi legittima, in quanto il giudice avesse esplorato senza successo tutte le possibilità ed adoperato ogni strumento utile a disposizione al fine di consentire la dinamica “fisiologica” di escussione dei testi.

Nel descritto scenario, un deciso mutamento di prospettiva si deve alla pronuncia della Corte di Strasburgo, Grande Camera, 15 dicembre 2011, Al Khawaja e Tahery c/ Regno Unito, la quale stabilì che la violazione del principio di equità processuale espresso dall’art. 6, §§ 1 e 3, lett. d), CEDU va esclusa quando rilevino elementi sufficienti, ovvero solide garanzie procedurali, idonee a controbilanciare l’applicazione della regola della prova unica o determinante.

Introducendo un elemento di flessibilità che smussava il rigore del precedente orientamento, la Corte dei Diritti si pose nell’ottica dell’equità complessiva, dell’intero processo, disponendo che fossero apprezzati contestualmente tutti quei contrappesi idonei a compensare, nel loro insieme, l’oggettiva restrizione delle prerogative della difesa derivata dall’utilizzazione di una prova decisiva – perché capace di incidere sull’alternativa condanna/assoluzione — non verificata in contraddittorio.

In linea di continuità con detta pronuncia si pose Corte EDU, Grande Camera, sentenza 15 dicembre 2015, Schatschaschwili c. Germania, che ne ribadisce i contenuti e la necessità che il giudice scrutini la compatibilità delle dichiarazioni rese da un testimone assente con le garanzie convenzionali.

All’esito della svolta europea, le pronunce rese dalla giurisprudenza di legittimità hanno proseguito nella lettura adeguatrice delle norme interne rispetto alla garanzia convenzionale. Sez. 2, n. 19864 del 17/04/2019, Mellone, Rv. 276531, ha puntualizzato la nozione di “garanzie procedurali” idonee a compensare il deficit di contraddittorio, che ha individuato anzitutto nell’accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e, sotto altro profilo, nella compatibilità di tali contenuti con i dati di contesto.

La stessa decisione chiarisce, in proposito, come la verifica dell’esistenza di “adeguate garanzie procedurali“, possa essere eventualmente anche alternativa alla verifica dell’esistenza di elementi di conferma esterna ai contenuti accusatori. Sez. 6, n. 50994 del 26/03/2019, D., Rv. 278195 ha evidenziato come la sentenza Corte EDU Al Khawaja e Tahery c/ Regno Unito sia stata realmente uno spartiacque.

Ed invero, se in precedenza era consentito – secondo la nozione europea di corroboration – un uso solo indiretto della fonte di prova non verificata, cioè un uso meramente confermativo di una prova raggiunta aliunde, a partire dalla detta pronuncia europea, mutata la regola di giudizio, la irripetibilità dell’atto dichiarativo dovuta ad un fatto impeditivo oggettivo ed assoluto non preclude l’utilizzabilità piena di quelle dichiarazioni rese in fase investigativa, ma a condizione che sussistano altri elementi corroborativi della loro attendibilità.

La portata del principio è stata successivamente precisata da Sez. 2, n. 15492 del 05/02/2020, Rv. 279148, nel senso che le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell’ art. 512 cod.proc.pen. possono costituire, conformemente all’interpretazione espressa dalla Grande Camera della Corte EDU con le sentenze 15 dicembre 2011, caso Al Khawaja e Tahery c/Regno Unito e caso Schatschaachwili c/Germania, la base “esclusiva e determinante” dell’accertamento di responsabilità, purché rese in presenza di “adeguate garanzie procedurali”, individuabili nell’accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto, tra i quali possono rientrare anche le dichiarazioni dei testi indiretti, che hanno percepito in ambiente extra-processuale le dichiarazioni accusatorie della fonte primaria, confermandone in dibattimento la portata.

In motivazione la Corte ha precisato che ciò che rafforza la credibilità della dichiarazione predibattirnentale non è il contenuto omologo e derivato della dichiarazione de relato, quanto la circostanza che il dichiarante assente abbia riferito ad altri i contenuti accusatori introdotti nel fascicolo del dibattimento attraverso l’art. 512 cod. proc. pen.) (Sez. 2, n.15492 del 05/02/2020, C., Rv. 279148 ; Sez. 4, n. 44902 del 12.10.2023, n.m..

Tale più recente giurisprudenza, prendendo atto delle sopravvenute sentenze della Corte di Strasburgo “supera” l’approdo ermeneutico delle Sezioni Unite n. 27918 del 2010 cit. segnando un rilevante intervento di interpretazione conformativa effettuato sull’art. 512 cod.proc.pen., teso ad adeguare le garanzie interne a quelle convenzionali, nella materia della capacità dimostrativa di dichiarazioni assunte in assenza di contraddittorio chiarendo che non ogni sentenza della Corte Edu genera l’obbligo di interpretazione adeguatrice, ma solo quelle che siano espressione di un diritto consolidato, che offra una ratio decidendi non frutto di una elaborazione episodica, ma di un percorso interpretativo sedimentato e condiviso, se non addirittura avvallato dall’intervento di una pronuncia di Grande camera.

La natura di diritto consolidato deve essere senz’altro riconosciuta alle pronunce di Grande Camera che hanno chiarito l’estensione delle garanzie previste dall’art. 6 della Convenzione, e segnatamente le sentenze Tahery Al Kawaja v. Regno Unito (Corte Edu, Grande Camera, 15 dicembre 2011) e Schatschaschwili v. Germania (Corte Edu, Grande Camera, 15 dicembre 2015); queste due sentenze hanno così superato il precedente orientamento della stessa Corte di Strasburgo che riteneva non compatibile con le garanzie convenzionali le condanne fondate su testimonianze cartolari che costituivano l’elemento “decisivo e determinante” dell’accertamento di responsabilità.

Posti tali principi, nel caso in esame, la Corte territoriale, ponendosi nel solco della più recente giurisprudenza di legittimità, in coerenza con le indicate linee ermeneutiche, ha individuato una serie di bilanciamenti procedurali che sostengono la valutazione in ordine alla credibilità dei contenuti accusatori delle dichiarazioni predibattimentali della teste, ex convivente, acquisite ex art. 512 cod.proc.pen., che trovano solidi riscontri esterni.