“Caso Almasri”: una storia con padri di ogni colore (Vincenzo Giglio)

Premessa

La gestione governativa del caso Almasri è al centro del dibattito politico di questi giorni.

Le opposizioni politiche stanno alzando sempre più i toni della protesta e dello sdegno verso quello che considerano un cedimento di Stato al ricatto di un torturatore ed assassino e dei suoi mandanti.

Lo sdegno si estende ad una dichiarazione in TV del conduttore Bruno Vespa che così riassume lui stesso: “Si è fatto un grande rumore perché a conclusione dei 5 minuti su Raiuno di giovedì sera ho detto che in tutti i Paesi del mondo governi di ogni colore fanno affari sporchissimi con persone poco raccomandabili in nome della sicurezza nazionale. È la scoperta dell’acqua calda” (a questo link per la consultazione).

Difficile dargli torto: se cedimento c’è stato, non è certo iniziato in questi giorni, come si proverà a dimostrare.

Il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia e il Decreto Minniti

Il 2 febbraio 2017 Italia e Libia firmarono il Memorandum di intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana (il documento è allegato alla fine del post).

Per il Governo italiano firmò Paolo Gentiloni, nella qualità di Presidente del Consiglio dei ministri.

Per il Governo di riconciliazione nazionale dello Stato di Libia firmò Fayez Mustafa Serraj, nella qualità di Presidente del Consiglio presidenziale.

Un paio di settimane dopo, precisamente il 18 febbraio 2017, entrò in vigore il d.l. n. 13/2017, intitolato “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”, di seguito convertito nella L. n. 46/2017.

Il d.l. in questione, meglio noto come Decreto Minniti dal nome del Ministro dell’Interno del Governo Gentiloni, On. Marco Minniti, si avvalse della collaborazione fattiva del dicastero della Giustizia, guidato dal Ministro Andrea Orlando e puntò su precise direttrici: potenziamento della risposta giudiziaria e amministrativa alle richieste di protezione internazionale; maggiore integrazione dei migranti ospitati nei centri di accoglienza e nello SPRAR, assicurata attraverso la loro iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente e nella possibilità di coinvolgerli in attività socialmente utili a favore della collettività locale ospitante; migliore identificazione dei punti di crisi nell’ambito delle strutture di accoglienza; trasformazione dei CIE (Centri di identificazione ed espulsione) in Centri di permanenza per i rimpatri ed aumento del tempo massimo di permanenza in tali strutture; procedure di rimpatrio più veloci tramite accordi di cooperazione con i Paesi di provenienza.

Il quadro politico in Italia al tempo del memorandum

Il Governo Gentiloni fu il terzo e ultimo della XVII legislatura.

Successe al Governo Renzi e rimase in carica dal 12 dicembre 2016 fino all’1° giugno 2018.

Il Partito Democratico (PD) fu la formazione politica egemone della maggioranza tanto da esprimere il premier e ben quattordici ministri, due viceministri e diciotto sottosegretari.

Erano emanazione del PD, tra gli altri, i Ministri dell’Interno, della Giustizia, della Difesa, dell’Economia.

Il quadro politico libico

Sul versante libico, Fayez Mustafa Serraj, già sostenitore del deposto leader libico Muammar Gheddafi, emerse come leader negli anni successivi alla sua caduta fino ad essere nominato capo del Governo di accordo nazionale (GNA). La sua leadership fu tuttavia fortemente osteggiata con sempre maggiore efficacia dal generale Khalifa Haftar, al punto da costringerlo alle dimissioni ad ottobre del 2020.

Il potere di Serraj si giovò dell’appoggio di varie milizie armate che gli consentirono il controllo di importanti centri libici quali Sabratha, Tripoli, Khoms, Sirte e Garian (a questo link per la verifica della fonte).

Di queste milizie faceva parte la Forza speciale di deterrenza (Forza Rada o, più semplicemente, RADA) guidata da Abdelraouf Kara e della quale faceva parte in posizione eminente Almasri Njeem.

Nel 2016 la RADA fu affiliata al GNA e di seguito il penitenziario di Mitiga, che sarebbe stato successivamente diretto da Almasri, fu riconosciuto come il principale istituto tripolitano di correzione e riabilitazione.

Come fu gestito il penitenziario e all’insegna di quali principi, lo spiega l’allegato al mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale (allegato a questo post).

Per ulteriori particolari sul profilo di Almasri, sul suo legame con Abdelraouf Kara e sul suo coinvolgimento nella parte libica degli accordi italo-libici in materia di contrasto all’immigrazione illegale, si rimanda ad un approfondimento di RaiNews.it (a questo link per la consultazione della fonte).

Gli allarmi e le denunce sugli effetti del Memorandum

Fin dai primi mesi dopo la sua approvazione vari organi di stampa denunciarono gli effetti devastanti del Memorandum sui diritti umani dei migranti libici rimpatriati.

Si consultino al riguardo F. Mannocchi, Migranti, gli accordi con la Libia: la pagina buia del 2017, in L’Espresso, 26 dicembre 2017, e M. Pasciuti, Torture sui migranti in Libia, Minniti non fa dietrofront sulle scelte italiane: “L’ONU ha visitato i campi grazie a noi”, in Il Fatto Quotidiano, 15 novembre 2017.

Allarmi di ugual genere sono stati lanciati in anni più vicini da note e autorevoli organizzazioni come Save the children (a questo link) e Medici senza frontiere (a questo link), in occasione dei rinnovi degli accordi italo-libici.

Conclusione

Si finisce come si è iniziato.

I rapporti italo-libici in materia di immigrazione non sono certo iniziati col Governo in carica né ad esso può essere affibbiata l’esclusiva delle modalità che li hanno caratterizzati e degli effetti che hanno prodotto.

È certo che accordi del genere, al di là delle roboanti dichiarazioni di intenti che sempre li hanno caratterizzato, provocano rilevanti lesioni ai diritti umani di un numero cospicuo di individui, nella maggior parte colpevoli soltanto di cercare una vita migliore.

Sullo sfondo viene sempre agitata la ragion di Stato che giustificherebbe questi danni collaterali in nome del bene più alto della comunità italiana, sotto specie di sicurezza.

La ragion di Stato è una nozione così vaga ed ambigua da poter accogliere ogni significato le si voglia dare e non ha quindi senso disquisirci intorno, potrà semmai giudicarla la storia.

Questo è quanto e non c’è altro da dire.