Cassazione penale, Sez. 5^, ordinanza n. 2913/2025, udienza del 23 ottobre 2024, ha avuto ad oggetto la ricusazione di un magistrato della Suprema Corte.
In fatto
MS ha proposto dichiarazione di ricusazione del consigliere RM, componente del collegio della prima sezione penale della Suprema Corte, chiamato a deliberare sul conflitto di competenza sollevato dalla Corte di appello di Firenze nel procedimento pendente nei confronti di MS per i delitti aggravati di calunnia e diffamazione (in danno di Raffaele Cantone e Federico Cafiero De Raho).
Il proponente, dopo aver esposto le cadenze nel procedimento nel quale è stato sollevato il conflitto di competenza, ha indicato talune circostanze che inciderebbero sulla capacità di giudicare imparzialmente del consigliere ricusato.
In particolare:
a. nella motivazione della sentenza del 7 novembre 2011, con cui il Tribunale di Santa Maria a Capua Vetere presieduto dal dottor RM (estensore del provvedimento) ha assolto l’avv. CDA, sarebbe stato individuato come «responsabile del fatto reato» MS, tanto che dalla Corte di appello di Napoli è stata accolta la ricusazione della dott.ssa FA, membro dello stesso collegio, presentata innanzi al Tribunale si Santa Maria Capua Vetere – Sezione misure di prevenzione, e non si sarebbe provveduto sulla ricusazione del dott. RM poiché trasferito alla Corte suprema di cassazione;
b. dal medesimo procedimento di prevenzione emergeva un’ulteriore circostanza e in particolare la querela sporta dal dottor RM nei confronti del difensore di MS proprio per alcune espressioni utilizzate dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere; dall’atto di querela si trarrebbe che il dottor RM ha svolto le funzioni di giudice delegato nel procedimento di prevenzione nei confronti dell’odierno proponente, elemento pure da ricondurre all’art. 37 cod. proc. pen.;
c. il consigliere RM avrebbe espresso giudizi nei confronti di MS in relazione al presente procedimento, come risulterebbe in particolare dall’articolo pubblicato sul quotidiano “Il Mattino” il giorno 11 novembre 2014;
d. infine, intercorrerebbero rapporti tra il medesimo consigliere ricusato e RS, parte civile del procedimento connesso al presente, il quale il 10 novembre 2011 ha recensito sul periodico “L’Espresso” in maniera positiva il libro di cui è autore il primo.
Dunque, sussisterebbe l’ipotesi di cui all’art. 37, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., poiché il consigliere RM avrebbe manifestato la propria opinione sulla colpevolezza dell’imputato in sedi giudiziarie e non.
In diritto
La dichiarazione di ricusazione è inammissibile e l’inammissibilità deve essere dichiarata de plano (Sez. 4, n. 42024 del 06/07/2017; Sez. 1, n. 52569 del 28/10/2014; cfr. pure Sez. 6, n. 44713 del 08/10/2013).
Occorre, anzitutto, rilevare che per costante giurisprudenza «le norme che prevedono le cause di ricusazione sono norme eccezionali e, come tali, di stretta interpretazione, sia perché determinano limiti all’esercizio del potere giurisdizionale ed alla capacità del giudice, sia perché consentono un’ingerenza delle parti nella materia dell’ordinamento giudiziario, che attiene al rapporto di diritto pubblico fra Stato e giudice» (Sez. 5, n. 11980 del 07/12/2017 – dep. 2018; cfr. pure Sez. 5, n. 2263 del 04/11/2022 – dep. 2023, in motivazione: «la disciplina delle incompatibilità, infatti, è di stretta interpretazione e le cause relative sono tassative (Sez. 3, n. 1147 del 18/05/1993), e, in quanto determinanti una deroga al principio del giudice naturale (art. 25 Cost.), vanno necessariamente considerate di stretta interpretazione (Sez. 2, n. 27813 del 11/06/2013)»; Sez. 3, n. 42193 del 01/10/2003). E in effetti Corte cost. n. 224 del 2001 ha osservato che «il carattere tassativo delle ipotesi di incompatibilità è […] di ostacolo all’estensione in via analogica delle disposizioni che le contemplano a casi diversi da quelli in esse considerati» (cfr. Sez. 5, n. 2263 del 04/11/2022 – dep. 2023, cit.).
Quanto al disposto dell’art. 37, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., richiamato nella dichiarazione di ricusazione (secondo cui «il giudice può essere ricusato dalle parti […] se nell’esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, egli ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione», nonché – a seguito di Corte cost. n. 283 del 2000 – se «il giudice […], chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto»), si è già condivisibilmente osservato che, «ai fini della individuazione di quelle eventuali valutazioni sul merito della responsabilità penale, idonee a determinare un effetto pregiudicante, il giudice della ricusazione deve procedere ad una valutazione caso per caso, che tenga conto dello specifico contenuto dell’atto compiuto dal giudice ricusato, ai fini di verificarne la possibile incidenza sull’imparzialità del medesimo, rimuovendo il pregiudizio mediante il ricorso agli istituti dell’astensione e della ricusazione»; e che la Corte costituzionale (con la sentenza appena menzionata) ha ribadito che «la valutazione pregiudicante è quella espressa non solo sul medesimo fatto sul quale il giudice è chiamato a pronunziarsi, ma altresì nei confronti del medesimo soggetto protagonista del secondo processo» (Sez. 5, n. 11980 del 07/12/2017 – dep. 2018, cit.).
D’altra parte, sul medesimo piano esegetico si colloca Corte cost. n. 64 del 2022, la quale – in relazione all’incompatibilità endoprocessuale del giudice ex art. 34 cod. proc. pen. (richiamata, quale ipotesi di ricusazione, dall’art. 37, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., tramite il riferimento all’art. 36 comma 1, lett. g), stesso codice, e «posta a tutela dei valori della terzietà e della imparzialità della giurisdizione, presidiati dagli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.) – ha rimarcato che essa «deve ritenersi costituzionalmente necessaria nel concorso di quattro condizioni, ovvero che: a) le preesistenti valutazioni cadano sulla medesima res iudicanda; b) il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione (e non abbia avuto semplice conoscenza) di atti anteriormente compiuti, strumentale all’assunzione di una decisione; c) tale decisione abbia natura non “formale”, ma “di contenuto”, ovvero comporti valutazioni sul merito dell’ipotesi di accusa; d) la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento». Tanto che la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che «non costituisc[a] causa di ricusazione l’avere il giudice deciso un’eccezione di carattere processuale, a condizione che non sia stata espressa alcuna ingiustificata valutazione anticipata circa la responsabilità dell’imputato» (Sez. 5, n. 10981 del 05/12/2022 – dep. 2023; cfr. già Sez. U, n. 41263 del 27/09/2005, Falzone; Sez. 4, n. 42024 del 06/07/2017; Sez. 1, n. 44387 del 16/11/2005). Infine, è utile osservare che «tra i casi di ricusazione, tassativamente indicati dall’art. 37, comma 1, cod. proc. pen., non rientrano le ipotesi di «altre gravi ragioni di convenienza», pur previste in tema di astensione dall’art. 36, comma 1, lett. h), cod. proc. pen., in quanto tale ultima disposizione non è richiamata nel citato art. 37, che – si è già osservato – contiene norme eccezionali (Sez. 1, n. 12467 del 11/03/2009; Sez. 3, n. 42193 del 01/10/2003, cit.).
Argomentando secondo i princìpi appena esposti, diviene centrale considerare il tema devoluto al collegio composto nel caso in esame dal giudice ricusato.
La prima sezione penale è stata chiamata a risolvere il conflitto negativo di competenza sollevato nel procedimento pendente nei confronti di MS per i delitti aggravati di calunnia e diffamazione.
Rispetto alla questione processuale oggetto di tale decisione non può avere alcun rilievo la prospettata manifestazione di un convincimento, da parte del medesimo consigliere, in ordine al merito della regiudicanda che dovrà esaminare la Corte di merito, che non consta in alcun modo incisa – né sul punto la difesa alcunché ha prospettato – dai profili relativi all’eventuale responsabilità per i fatti in imputazione. In altri termini, in maniera speculare a quanto ritenuto dalla Suprema Corte allorché ha escluso che una decisione processuale, in mancanza di un’indebita anticipazione di giudizio sul merito del fatto in contestazione, possa costituire una manifestazione di convincimento pregiudicante, quando – come nel caso in esame – il giudizio di legittimità verte unicamente sulla questione (processuale) della competenza, in mancanza di elementi di segno contrario – si ribadisce, neppure dedotti – l’eventuale manifestazione di un convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione non può costituire una preesistente valutazione sulla res iudicanda devoluta al giudice di legittimità.
Di conseguenza, nessuna delle circostanze dedotte dalla difesa – e, anzitutto, quella indicata al par. 1, sub b. – possono venire in rilievo sub specie dell’art. 37, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.
Non occorre, allora, dilungarsi per osservare che: – in ordine a quanto dedotto dalla difesa retro, sub 1, a., l’oggetto del giudizio nei confronti dell’avvocato CDA – imputato dei delitti di associazione di tipo mafioso e induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria e in primo grado, dal collegio presieduto dal dott. RM, condannato per il primo fatto (qualificato come favoreggiamento reale) e assolto per il secondo (cui deve, dunque, riferirsi la prospettazione difensiva) – era comunque distinto da quelli, ascritti a MS, in relazione ai quali è stato sollevato il conflitto di competenza; ragion per cui l’assertiva prospettazione contenuta nella dichiarazione di ricusazione non consente di coglierne la rilevanza, in termini di indebita manifestazione di convincimento, rispetto a questi ultimi, ossia di qualificarla come valutazione sul merito della res iudicanda ossia sulla colpevolezza dell’imputato per il medesimo fatto (cfr. Sez. U, n. 41263/2005, cit.; Sez. 5, n. 10981/2022 – dep. 2023, cit.; Sez. 5, n. 11980/2017 – dep. 2018, cit.);
– ciò è a dirsi a fortiori con riferimento alla querela sporta dal dott. RM nei confronti di un soggetto diverso da MS, qual è il suo difensore, e alle funzioni di giudice delegato dal primo svolte nel procedimento di prevenzione nei confronti di MS (cfr. retro, sub 1, b.), che in alcun modo – alla luce degli apodittici enunciati contenuti nella dichiarazione di ricusazione – può qualificarsi come indebita manifestazione di convincimento rispetto ai reati cui attiene il conflitto di competenza;
– è sufficiente aggiungere che, come appena sopra rilevato, è inammissibile la ricusazione fondata sulla prospettazione di gravi ragioni di convenienza che pure la dichiarazione di MS finisce con l’evocare, il che pure esclude la necessità di immorare, oltre che sulle circostanze appena richiamate, sulle pure del tutto generiche asserzioni relative alla recensione di un volume di cui è autore il consigliere RM da parte di RS, soggetto che risulta estraneo al giudizio in cui è venuto in essere il conflitto di competenza (quantunque egli sia, come dedotto dalla difesa, parte civile nel giudizio avente a oggetto il diverso reato di minaccia pure instaurato nei confronti di MS, dal quale quello avente ad oggetto i delitti di diffamazione e calunnia in danno di altri soggetti è stato separato).
