La prima domanda nociva nella storia dell’uomo la ritroviamo nella Genesi 3, 1-10, quando il serpente disse alla donna: “E’ vero che Dio ha detto: non dovete mangiare di nessun albero del giardino?”.
Risalire alla Genesi per introdurre l’argomento delle domande suggestive o nocive nell’esame dei testi può accadere solamente quando incontri in tribunale Iacopo Benevieri e ti fermi a dialogare, un turbinio di idee e suggestioni ti avvolgono.
Ieri l’altro ci siamo incontrati fuori dalle aule e nonostante l’impegno impellente, nelle rispettive udienze, ci siamo fermati a conversare ed ecco il richiamo di Iacopo alla Genesi e al dialogo tra il serpente e la donna quale prima domanda nociva nella storia dell’uomo.
Richiamare la Genesi permette di volare alto ma poi planiamo nella vita di aula di tutti i giorni ed allora, iniziamo ricordando la differenza tra domande suggestive e domande nocive come enucleata dall’articolo 499 c.p.p.
Il divieto di formulare domande che possano nuocere alla sincerità delle risposte, nel duplice senso delle domande “suggestive” – nel significato che il termine assume nel linguaggio giudiziario di domande che tendono a suggerire la risposta al teste ovvero forniscono le informazioni necessarie per rispondere secondo quanto desiderato dall’esaminatore, anche attraverso una semplice conferma – e delle domande “nocive” – finalizzate a manipolare il teste, fuorviandone la memoria, poiché gli forniscono informazioni errate e falsi presupposti tali da minare la stessa genuinità della risposta – è espressamente previsto con riferimento alla parte che ha chiesto la citazione del teste, in quanto tale parte è ritenuta dal legislatore interessata a suggerire al teste risposte utili per la sua difesa.
L’articolo 499 c.p.p., come è esplicitamente indicato nella sua intestazione, detta le “regole per l’esame del testimone”, indica cioè i criteri cui il giudice deve attenersi nell’ammettere o vietare le domande delle parti.
Il giudice, pertanto, deve vietare in modo assoluto le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte (comma 2);
vietare alla parte che ha addotto il teste o che ha un interesse comune con lo stesso di formulare le domande in modo da suggerirgli le risposte (comma 3);
assicurare durante l’esame del teste la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni (comma 6).
Questo divieto dovrebbe a maggior ragione, applicarsi al giudice al quale spetta il compito di assicurare, in ogni caso, la genuinità delle risposte ai sensi del comma 6 della medesima disposizione (sez. III, n. 7373 del 18 gennaio 2012, B, Rv. 252134; sez. III, n. 25712 dell’11 maggio 2011, M., Rv. 250615: il caso concerneva, in particolare, l’esame del testimone minorenne, riguardo al quale, in motivazione, la Suprema Corte ha precisato che, ove si ritenesse diversamente, si arriverebbe all’assurda conclusione che le regole fondamentali per assicurare una testimonianza corretta verrebbero meno laddove, per la fragilità e la suggestionabilità del dichiarante, sono più necessarie.
Per una breve disamina degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sul tema, cfr. sez. III, n. 45931 del 9 ottobre 2014, C., Rv. 260872).
Nella prassi e purtroppo anche nella giurisprudenza della Suprema Corte sono legittimate le domande suggestive e le domande nocive da parte dei giudicanti.
Tra le tante, la Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 24873/2022 ha ribadito che il divieto di porre domande suggestive nell’esame testimoniale non opera nei confronti del giudice.
La Suprema Corte ha ritenuto che le domande suggestive rivolte dal giudice non sono soggette al divieto previsto dall’articolo 499 comma 3 c.p.p., in quanto il divieto di porre domande suggestive nell’esame testimoniale non opera con riguardo al giudice il quale, agendo in un’ottica di terzietà, può rivolgere al testimone tutte le domande ritenute utili a fornire un contributo per l’accertamento della verità (Sez. 3, n. 21627 del 15/04/2015, E., Rv. 263790; conformi Rv. 240261 e Rv. 260899) ad esclusione di quelle nocive, in relazione alle quali la relativa eccezione deve essere proposta nel corso dell’acquisizione dell’atto istruttorio e non può essere sollevata per la prima volta con l’atto d’impugnazione (Sez. 1, n.44223 del 17/09/2014, Tozza, Rv. 260899; conformi: Rv. 232385; Rv. 242255; Rv. 249890).
Quindi suggestive sì e nocive ni se non tempestivamente eccepite dalle parti, per comprendere l’esito di tale impostazione riportiamo un classico esempio di domande suggestive e domande nocive da parte di un giudicante, tratte da un caso giunto in Cassazione e deciso dalla sezione 4 sentenza numero 15331/2020.
Nel caso in disamina, le domande rivolte dal consigliere relatore alla testimone G.A. – come risulta dalla trascrizione dell’esame testimoniale allegata al ricorso – presentano entrambi gli aspetti di suggestività e di nocività, nel rispettivo senso sopra indicato. Si tratta, invero, di domande assertive che indirizzano la teste verso una mera conferma di quanto l’interrogante va postulando.
Le domande entrano nel dettaglio, con palese manipolazione delle risposte date dalla giovane donna.
Di seguito si riportano le domande che la cassazione ha reputato tali da compromettere la genuinità delle risposte.
Giudice consigliere “L’ha conosciuto, poi lui vi portava ogni tanto a scuola con la macchina…”.
La domanda è suggestiva perché serve a surrettiziamente suggerire alla testimone che l’episodio di cui si tratta è avvenuto in macchina.
Giudice consigliere: “E poi, da lì, ci sono stati determinati rapporti tra di voi”: la domanda, posta in forma assertiva – tale, cioè, da perdere il connotato interrogativo, attribuendo al suo contenuto un carattere di certezza – è nociva poiché palesemente manipolatoria rispetto al ricordo della testimone, cui fornisce falsi presupposti.
Giudice consigliere: “Il fatto materiale lo possiamo dare per pacifico”.
Si tratta, all’evidenza, di assunto nocivo perché dà per scontato il fatto oggetto della testimonianza, quello, cioè, che l’esame della persona offesa è proprio finalizzato a dimostrare.
Giudice consigliere: “Lei ricorda che aveva denunciato che ad un certo punto questa persona, un giorno eravate in macchina così, aveva preso la sua mano…e se l’era messa sulle sue parti intime”.
Questa è una domanda suggestiva, la quale contiene la risposta che si intende suggerire e in cui il giudice ripropone il fatto come assodato.
Domande ed asserzioni, queste, cui la G. risponde semplicemente annuendo.
Giudice consigliere: “Ecco, se lei ricorda questo episodio, ricorda anche se ha avuto una reazione, prima, durante o dopo che lui ha compiuto questo gesto?”.
La domanda è suggestiva perché tende a suggerire una risposta alla testimone, che risponde “No, della reazione non mi ricordo. So che me l’ha tenuta lì (la mano sui genitali dell’uomo) per un pò…e poi lo ho cercato di levarla e dopo un pò lui l’ha staccata”.
Il giudice continua chiedendole se avesse cercato di levarla subito la mano e, alla risposta negativa della donna, afferma interrogativamente. “…Quindi come se lei avesse accettato, in quel momento, questo gesto”.
La domanda è nociva perché volta a forzare la risposta della persona offesa la quale afferma “No, io ho provato a tirarmi indietro”.
Dopo che la testimone ha riferito che “guardava male” l’uomo, come per dirgli di finirla, il giudice consigliere le chiede, palesemente suggerendole la risposta confermativa:
“…e poi, ad un certo punto, quando lui le ha messo la mano sopra, lei gliel’ha presa per levarsela?”.
La risposta della ragazza è ancora una volta “Sì”.
Quanto sequenza di domande riverbera i suoi effetti anche sul piano epistemico atteso che la prova, indicata dalla sentenza di annullamento, non ha fornito un sapere certo: la teste, infatti, si è limitata, per gran parte dell’esame, ad assecondare, nella maniera di cui si è detto, il giudice che la interrogava.
È, pertanto, condivisibile l’assunto del ricorrente laddove afferma che il descritto approccio, non garantendo la spontaneità delle risposte della persona offesa, ne pregiudica l’attendibilità.
Così i giudici della sezione 4 nella sentenza numero 15331/2020, decisione rimasta isolata nel panorama giurisprudenziale che ha più volte statuito in senso diametralmente opposto.
Ad esempio, va ribadito che la violazione del divieto di porre domande suggestive non comporta né l’inutilizzabilità né la nullità della deposizione, non essendo prevista una tale sanzione dall’art. 499, comma 3, c.p.p., né potendo la stessa essere desunta dalle previsioni contenute nell’art. 178 c.p.p. (ex multis Sez. 3, Sentenza n. 49993 del 16/09/2019, R., Rv. 277399).
A tal proposito si presa che l’assunzione della prova testimoniale direttamente a cura del giudice, pur non essendo conforme alle regole che disciplinano la prova stessa, non dà luogo a nullità, non essendo riconducibile alle previsioni di cui all’art. 178 c.p.p., né ad inutilizzabilità, trattandosi di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte (Sez. 6, n. 28247/2013, Rv. 257026, Sez. 3, n. 45931/2014, Rv. 260872).
La Cassazione chiosa rilevando che le doglianze sul modo di conduzione del dibattimento da parte del giudicante, il quale avrebbe condizionato le deposizioni testimoniali mediante interventi senza il rispetto delle regole del contraddittorio, non può conseguire alcun risultato utile in sede di impugnazione; prescindendo dalla considerazione che la violazione dell’art. 506 c.p.p., non è sanzionata a pena di nullità da alcuna norma, ogni eventuale questione attinente alla conduzione del processo deve essere immediatamente contestata dalle parti e formalizzata nel corso del dibattimento e la decisione o mancata decisione sull’incidente, può assumere rilevanza nel giudizio di impugnazione, solo in quanto si accerti che essa abbia comportato la lesione dei diritti delle parti o viziato la decisione ( Sez. 6, n. 909/2000, rv. 216626; Sez. 4, n. 1022/2015, Rv. 265737).
Mentre per le domande nocive, la relativa eccezione deve essere proposta nel corso dell’acquisizione dell’atto istruttorio e non può essere sollevata per la prima volta con l’atto d’impugnazione (Sez. 1, n.44223 del 17/09/2014, Rv. 260899; conformi: Rv. 232385; Rv. 242255; Rv. 249890).
Questo è lo stato delle cose, partendo dalla Genesi 3, 1-10 per arrivare alla cassazione dei giorni nostri.
