Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 2742/2025, udienza del 16 gennaio 2025, ha chiarito che il provvedimento assunto dal giudice dell’esecuzione de plano, senza fissazione dell’udienza in camera di consiglio, fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, è affetto da nullità di ordine generale e a carattere assoluto, rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento (tra le altre, Sez. 1, n. n. 22282 del 23/06/2020; Sez. 1, n. 41754 del 16/09/2014; Sez. 1, n. 12304 del 26/02/2014).
In effetti, il modello delineato dall’art. 666, cod. proc. pen., per il procedimento di esecuzione è costituito dalle forme dell’udienza in camera di consiglio, con la partecipazione delle parti, cui viene dato modo di interloquire innanzi al giudice.
Tuttavia, l’art. 666, comma 2, cod. proc. pen. contempla, in deroga alla regola generale, la possibilità di un epilogo decisorio anticipato della richiesta in termini d’inammissibilità, mediante pronuncia di decreto, reso con procedura de plano e in assenza di contraddittorio, quando l’istanza sia stata già rigettata perché basata sui medesimi elementi, ovvero sia «manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge».
La manifesta infondatezza, nella ratio della disposizione e nella lettura operata dall’elaborazione giurisprudenziale maggioritaria, riguarda il difetto delle condizioni di legge, intese in senso restrittivo, come requisiti non implicanti una valutazione discrezionale, perché imposti direttamente dalla norma (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014; Sez. 5, n. 34960 del 14/06/2007; Sez. 5, n. 2793 del 05/05/1998).
Il provvedimento senza contraddittorio reso in executivis si adatta, dunque, alle ipotesi della rilevabilità ictu oculi di ragioni che, sulla base della semplice prospettazione e senza la necessità di uno specifico approfondimento discrezionale, evidenzino la mancanza di fondamento dell’istanza.
Inoltre, l’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui consente al giudice la pronuncia di inammissibilità qualora l’istanza costituisca una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, configura una preclusione allo stato degli atti che, come tale, non opera quando vengano dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione (tra le altre, Sez. 1, n. 19358 del 05/10/2016, dep. 21/04/2017; Sez. 3, n. 6051 del 27/09/2016, dep. 2017).
Invero, il provvedimento del giudice dell’esecuzione divenuto formalmente irrevocabile preclude, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., una nuova pronuncia sul medesimo petitum finché non si prospettino elementi che, riguardati per il loro significato sostanziale e non per l’apparente novità della veste formale, possono essere, effettivamente, qualificati come nuove questioni giuridiche o nuovi elementi di fatto, sopravvenuti ovvero preesistenti, che non abbiano già formato oggetto di valutazione ai fini della precedente decisione.
In buona sostanza, deve essere data all’istante la possibilità dell’instaurazione del contraddittorio con il procedimento camerale previsto — sul modello di quello tipico previsto ex art. 127 cod. proc. pen. — dall’art. 666, comma 3 e 9, cod. proc. pen., allorquando si pongano questioni che involgano l’esercizio di discrezionalità valutativa, oppure laddove l’istanza prospetti elementi di novità rispetto a una precedente richiesta.
