Quando la “stretta vicinanza” e le “frequentazioni” ti precludono la riparazione per ingiusta detenzione.
La Cassazione sezione 4 con la sentenza numero 574/2025 ha ricordato che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, integra la condizione ostativa della colpa grave la condotta di chi, nei reati associativi, abbia tenuto comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità al sodalizio criminale, mantenendo con gli appartenenti all’associazione frequentazioni ambigue, tali da far sospettare il diretto coinvolgimento nelle attività illecite (così: Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, nonché, in precedenza Sez. 4, n. 45418 del 25/11/2010 e Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008, chiarendo, altresì, che «Nel giudizio avente ad oggetto la riparazione per ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, può darsi rilievo agli stessi fatti accertati nel giudizio penale di cognizione, senza che rilevi che quest’ultimo si sia definito con l’assoluzione dell’imputato sulla base degli stessi elementi posti a fondamento del provvedimento applicativo della misura cautelare, trattandosi di un’evenienza fisiologicamente correlata alle diverse regole di giudizio applicabili nella fase cautelare e in quella di merito, valendo soltanto in quest’ultima il criterio dell’al di là ogni ragionevole dubbio”» (in tal senso, ex multis, Sez. 4, n. 2145 del 13/01/2021, Sez. 4, n. 34438 del 02/07/2019 e Sez. 4, n. 39500 del 18/06/2013).
Fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto esente da censure la decisione che aveva respinto la richiesta di riparazione sul rilievo dell’avvenuto accertamento della stretta vicinanza del richiedente, imputato del reato di partecipazione ad associazione mafiosa, a soggetto in posizione apicale nella locale articolazione di “Cosa nostra” e ad altri individui inseriti nel medesimo contesto malavitoso.
