Recentemente la procura della Repubblica presso il tribunale di Milano, nell’ambito di un procedimento penale a carico di cittadini turchi per diverse fattispecie di reato, ha richiesto al giudice per le indagini preliminari l’applicazione, ai sensi dell’articolo 290 del codice di procedura penale, della misura cautelare del divieto temporaneo di svolgere l’attività professionale nei confronti di due avvocati nominati quali difensori di uno dei soggetti, per aver ricevuto, sotto forma di compenso per prestazioni professionali, denaro contante di – presunta – provenienza illecita.
Il giudice per le indagini preliminari rigettò la richiesta.
Segnaliamo per la sua pertinenza alla questione in esame, la proposta di legge numero 1966 la quale intende chiarire, ulteriormente, che il difensore, quando riceve il pagamento di una somma di denaro per le prestazioni professionali rese, non è tenuto a fare indagini sulle fonti di reddito del proprio assistito.
La nuova norma si vuole porre come strumento di tutela non solo dell’avvocato, bensì di tutti i professionisti che, altrimenti, si troverebbero costretti a indagare sull’origine del denaro ricevuto a fronte della prestazione professionale resa.
Non avendo intenzione di creare sacche d’impunità, l’esenzione dall’accertamento della provenienza lecita del compenso può essere invocata soltanto quando non si configura un concorso nel reato.
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