Mutamento del giudicante e richiesta, ex novo, di messa alla prova (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 2 con la sentenza numero 1792/2025 ha stabilito che mutata la composizione personale dell’organo giudicante, il processo regredisce alla fase predibattimentale ove, prima della nuova dichiarazione di apertura del dibattimento, precluso il nuovo esame delle sole questioni preliminari (art. 491, comma 1, cod. proc. pen.), il Tribunale ben poteva prendere in considerazione la domanda di sospensione del processo, proprio in quanto il suo esame non è precluso dal regresso ad una fase predibattimentale già compiuta in precedenza.

Fatto

La sentenza impugnata e quella di primo grado, hanno ritenuto intempestiva la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova (artt. 168 bis cod. pen. e 464 bis cod. proc. pen.).

La Corte territoriale, come già aveva fatto il giudice di primo grado, ha infatti stimato intempestiva la domanda proposta, innanzi al Tribunale che sedeva nella nuova composizione monocratica, giacché tale eccezione, assume la Corte territoriale, deve esser formulata prima della prima dichiarazione di apertura del dibattimento; prima dichiarazione già intervenuta senza che la difesa avesse proposto alcuna domanda di sospensione del processo per la messa alla prova.

La facoltà delle parti si esaurirebbe quindi, ad avviso conforme dei giudici di merito, con il suo mancato esercizio prima della prima dichiarazione di apertura del dibattimento.

Decisione

Il tema dedotto è quello della tempestività dell’esercizio di una facoltà processuale riconosciuta dall’ordinamento solo se praticata entro termini previsti a pena di decadenza.

Si affrontano, nella tenzone processuale, due opposte esegesi del limite previsto a pena di decadenza dall’art. 464 bis, comma 2, cod. proc. pen., il cui testo così disponeva nella formulazione vigente al tempo del giudizio di primo grado: “La richiesta può essere proposta, …, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado …“.

Secondo una prima opzione ermeneutica (Sez. 4, n. 25081 del 23/04/2024), in caso di ripetute dichiarazioni di apertura del dibattimento, conseguenti al mutamento della composizione dell’organo giudicante, la richiesta deve ritenersi preclusa dalla dichiarazione di apertura già adottata per la prima volta dal Tribunale diversamente composto.

Tale esegesi non è condivisa dalla cassazione, giacché prende in considerazione il solo testo letterale dell’art. 464 bis, comma 2, del codice di rito, senza porre il testo a confronto con quanto prevede (ad esempio) il comma 1 dell’art. 491, che in tema di questioni preliminari esplicita l’indicazione del momento preclusivo alla prima volta della verifica della costituzione delle parti.

Secondo un diverso indirizzo (Sez. 2, n. 44021 del 19/09/2023, Tribunale di Matera, Rv. 285241), viceversa, il termine preclusivo svolge la sua opera di sbarramento solo con riguardo alle questioni preliminari, quale quella sulla competenza.

Orbene, nell’affrontare l’esame della disposizione processuale preclusiva non può che farsi riferimento a quanto affermato (due volte in un ventennio) dalle Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 41736 del 30/05/2019, Bajrami, Rv. 276754 – 2, in motivazione pag. 11, in continuità, sul punto, con Sez. U, n. 2 del 15/01/1999, Iannasso, Rv. 212325, in motivazione, sub 1), che hanno analiticamente ripercorso ed analizzato proprio la questione relativa alle implicazioni processuali della modifica del collegio giudicante e, in particolare, della “regressione” del processo ad una fase antecedente l’apertura del dibattimento.

Con le citate decisioni, la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che “... a seguito del mutamento della composizione del collegio giudicante, il procedimento regredisce nella fase degli atti preliminari al dibattimento (che precede la nuova dichiarazione di apertura del dibattimento ex art. 492 cod. proc. pen.)” specificando, ulteriormente, che “… pertanto – ferma restando l’improponibilità di questioni preliminari in precedenza non sollevate (a norma dell’art. 491, comma 1, infatti, le questioni preliminari «sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti») – il giudice, nella composizione sopravvenuta, ha il potere di valutare ex novo le questioni tempestivamente proposte dalle parti e decise dal giudice diversamente composto (sul punto, v. anche Sez. 6, n. 3746 del 24/11/1998, dep. 1999, De Mita, Rv. 213343, e Sez. 1, n. 36032 del 05/07/2018, Conti, Rv. 274382, entrambe in tema di competenza per territorio)“.

Nella fattispecie, non si è evidentemente trattato di una questione preliminare (il cui elenco tassativo si legge ai commi 1 e 2 dell’art. 491 cod. proc. pen.); dunque, la domanda di sospensione del processo, con accesso alla probation, doveva ritenersi tempestivamente proposta dal procuratore speciale dell’imputato, atteso che, diversamente dalle questioni preliminari, il testo dell’art. 464 bis, comma 2, del codice di rito non pone affatto l’ostacolo preclusivo al momento della dichiarazione di apertura “per la prima volta” del dibattimento.

La differente modulazione della preclusione processuale lascia quindi intendere che, quando il legislatore ha voluto precisare quale delle -eventualmente ripetibili- fasi endoprocessuali indicare, come momento preclusivo per l’esercizio di una facoltà delle parti, lo ha fatto esplicitamente (come nel caso delle questioni preliminari).

Dunque, una volta mutata la composizione personale dell’organo giudicante, il processo regredisce alla fase predibattimentale ove, prima della nuova dichiarazione di apertura del dibattimento, precluso il nuovo esame delle sole questioni preliminari (art. 491, comma 1, cod. proc. pen.), il Tribunale ben poteva prendere in considerazione la domanda di sospensione del processo, proprio in quanto il suo esame non è precluso dal regresso ad una fase predibattimentale già compiuta in precedenza.

Non averlo fatto ha determinato una compressione assoluta ed irreversibile di una facoltà processuale essenziale attribuita dall’ordinamento processuale all’imputato, con la conseguente nullità del giudizio e delle decisioni, di primo e di secondo grado, adottate all’esito.