Separazione delle carriere: il disegno di legge costituzionale, le posizioni critiche e uno sguardo al passato (Vincenzo Giglio)

Premessa

Il disegno di legge costituzionale n. A.C. 1917 (allegato alla fine del post), presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, on. Giorgia Meloni, e dal Ministro della Giustizia, On. Carlo Nordio, contenente “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”, è stato approvato dalla Camera dei Deputati il 16 gennaio 2025.

È adesso transitato al Senato della Repubblica, prendendo il n. S. 1353 (allegato alla fine del post).

Prosegue in tal modo l’iter previsto dall’art. 138 Cost. a norma del quale “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.

Si segnala fin d’ora che i Servizi Studi dei Dipartimenti Giustizia e Istituzioni della Camera hanno redatto un dettagliato dossier informativo, rilasciato il 6 dicembre 2024 (allegato anch’esso alla fine del post), avente ad oggetto il DDL A.C. 1917 e le proposte di legge ad esso abbinate.

Il contenuto del disegno di legge costituzionale

Si attinge integralmente, per questa sintesi, al dossier menzionato, evidenziato in corsivo.

Il disegno di legge costituzionale A.C. 1917, presentato dal Governo alla Camera dei deputati in data 13 giugno 2024, modifica il Titolo IV della Costituzione con l’obiettivo di separare le carriere dei magistrati requirenti e giudicanti.

A tal fine, vengono previsti due distinti organi di autogoverno: il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente.

Una delle principali innovazioni concernenti i due organi di autogoverno attiene alla composizione degli stessi.

Nello specifico, la presidenza di entrambi gli organi è attribuita al Presidente della Repubblica, mentre sono membri di diritto del Consiglio superiore della magistratura giudicante e del Consiglio superiore della magistratura requirente, rispettivamente, il primo Presidente della Corte di cassazione e il Procuratore generale della Corte di cassazione.

Gli altri componenti di ciascuno dei Consigli superiori sono estratti a sorte, per un terzo da un elenco di professori e avvocati compilato dal Parlamento in seduta comune e, per i restanti due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e tra i magistrati requirenti. Si prevede, inoltre, che i vicepresidenti di ciascuno degli organi sono eletti fra i componenti sorteggiati dall’elenco compilato dal Parlamento.

Ulteriore elemento di novità attiene all’istituzione dell’Alta Corte disciplinare cui è attribuita la giurisdizione disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, tanto giudicanti che requirenti.

Tale organo è composto da quindici giudici selezionati con le seguenti modalità:

3 componenti nominati dal Presidente della Repubblica;

3 componenti estratti a sorte da un elenco compilato dal Parlamento in seduta comune;

6 componenti estratti a sorte tra i magistrati giudicanti in possesso di specifici requisiti;

3 componenti estratti a sorte tra i magistrati requirenti in possesso di specifici requisiti.

Si specifica che il presidente dell’Alta Corte deve essere individuato tra i componenti nominati dal Presidente della Repubblica e quelli sorteggiati dall’elenco compilato dal Parlamento.

Il disegno di legge prevede, quindi, la possibilità di impugnare le sentenze dell’Alta Corte dinnanzi all’Alta Corte medesima, che giudica in composizione differente rispetto al giudizio di prima istanza.

Le ulteriori disposizioni contenute nel disegno di legge recano modifiche alla Costituzione conseguenti all’istituzione dei sopra menzionati organi, nonché disposizioni transitorie”.

Le critiche più ricorrenti al disegno di riforma

Da più parti sono state sollevate critiche al progetto di riforma di cui si parla.

Particolarmente vivaci sono quelle espresse dall’associazione nazionale magistrati (ANM), vieppiù intense man mano che l’iter parlamentare progredisce.

Da ultimo l’organismo rappresentativo dei magistrati ha diffuso un documento, denominato significativamente “In difesa della Costituzione”, ed ha deliberato un nutrito programma di proteste finalizzate a sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi cui sarebbe esposto l’attuale equilibrio tra i poteri dello Stato se la riforma fosse approvata.

Si rimanda, per evitare inutili ripetizioni, ai due post che Terzultima Fermata ha riservato al documento (a questo link) ed alle iniziative di protesta (a questo link).

Anche dall’accademia sono giunte voci in senso critico.

Nell’impossibilità di riportare l’intero panorama del dissenso, si fa riferimento, come utile riassunzione, a M. Gialuz, Otto proposizioni critiche sulle proposte di separazione delle magistrature requirente e giudicante, in Sistema Penale, 30 settembre 2024 (consultabile a questo link).

Ci si limita ad elencarle, rinviando alla lettura integrale dello scritto per l’approfondimento delle argomentazioni utilizzate dall’Autore a sostegno delle sue tesi.

1. Come già suggerisce il titolo, la prima obiezione muove dal presupposto di una sorta di mistificazione insieme descrittiva e contenutistica: non di separazione delle carriere si tratterebbe bensì di separazione della magistratura inquirente da quella giudicante.

2. Sia l’una che l’altra forma di separazione non sono affatto necessarie per l’attuazione del modello accusatorio e men che meno sono imposte dalla norma costituzionale sul giusto processo (art. 111 Cost.)

3. L’anomalia italiana dello strapotere del PM non è risolvibile separandolo dal giudice.

4. La stessa inutilità si manifesta laddove si voglia garantire la parità assoluta tra le parti e l’effettiva terzietà del giudice.

5. La separazione delle magistrature confinerà il PM nel ruolo di parte dominante nella fase delle indagini, per ciò stesso determinando un ridimensionamento delle garanzie difensive.

6. Questa proposizione è focalizzata sul superamento del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e serve ad evidenziare la necessità di un forte contrappeso cui l’Autore dà il nome di “inserimento del PM nel circuito democratico”. Serve ricordare che l’ipotetica revisione cui fa riferimento Gialuz non è contenuta nel DDL governativo ma nelle proposte collaterali abbinate identificate come AC 23, 84 e 824.

7. La creazione di una magistratura inquirente separata da quella giudicante e di un CSM suo proprio rafforzerebbe il PM, dando vita ad una nuova casta, appunto quella dei PM, che si aggiungerebbe a quella già esistente dell’intera magistratura.

8. Una società complessa, come è quella in cui viviamo, richiede contaminazioni di saperi e di esperienze piuttosto che la loro frammentazione.

Brevi note conclusive

Si spera che i dati elencati in precedenza, pur sintetici, consentano ai lettori di formarsi un’opinione consapevole su ciò di cui si discute e sulle posizioni che si sono manifestate nell’acceso dibattito sulla cosiddetta “separazione delle carriere”, espressione che, come si è visto, è inclusa a pieno titolo tra i temi sui quali si registrano divergenze.

Molti sono gli argomenti sui quali riflettere.

È certo, anzitutto, che il disegno riformatore, al di là dell’ideologia e della visione politica che lo sorreggono, ha come sue cause remote e prossime degenerazioni di sistema che neanche il più acceso critico potrebbe negare.

Da molti anni – e il cosiddetto scandalo Palamara non ha fatto che rendere evidente all’opinione pubblica ciò che ogni osservatore informato già sapeva – l’associazionismo giudiziario non riusciva più ad impedire, anzi per certi versi assecondava, la formazione e l’operatività di cordate interne alla magistratura in grado di condizionare la costituzione ed il funzionamento del CSM e delle nomine di sua spettanza.

Quelle cordate non di rado avevano sponde esterne politiche e veniva così propiziata una forma perniciosa di consociativismo i cui effetti si spingevano anche oltre gli interna corporis giudiziari, arrivando in ambiti istituzionali esterni: si è determinata in tal modo una condizione di fatto che ha consentito ad esponenti politici ed istituzionali di farsi sentire in scelte spettanti in via esclusiva all’organo di autogoverno della magistratura e, per contro, a magistrati di influire su atti propri della politica istituzionale, anche attraverso la massiccia cooptazione nei ruoli apicali del Ministero della Giustizia di molti esponenti dell’ordine giudiziario, non di rado espressione delle componenti associative la cui “sensibilità” è più vicina alla maggioranza politica al potere.

Ugualmente da molti decenni, i PM hanno acquisito lo strapotere riconosciuto anche da Gialuz e la parte giudicante della magistratura non sempre ha saputo o voluto opporvisi. Questa progressiva predominanza si è riverberata all’esterno per ondate successive e sempre più spesso magistrati con funzioni inquirenti hanno scalato i vertici dell’associazionismo per poi transitare al CSM o in postazioni che li collocano accanto alla politica come suoi ascoltati gran commis.

Non è affatto detto che la riforma costituzionale che ha preso l’avvio sia in grado di risolvere anche uno solo di questi problemi e sia quindi in grado come per incanto di riportare i PM entro l’alveo fisiologico che avrebbero dovuto occupare secondo la visione del Codice Vassalli, di liberare il CSM dall’attuale presa ferrea delle correnti organizzate della magistratura, di ripristinare gli equilibri che dovrebbero essere connaturali al giusto processo.

E tuttavia, un’analisi onesta e realistica dell’attuale condizione della giustizia penale imporrebbe vari mea culpa che fin qui sono mancati.