Segnaliamo la proposta di modifica dell’articolo 299 c.p.p. nei casi di misura cautelare disposta per l’esigenza prevista dall’art. 274 lettera c) del codice di procedura penale, il “concreto e attuale pericolo” di reiterazione del reato.
Nella proposta di legge, pubblicata oggi alla camera dei deputati, si prevede di operare una novella all’articolo 299 del codice di procedura penale, inserendo che il giudice, anche d’ufficio, dopo sessanta giorni dall’applicazione della misura, proceda a una nuova valutazione dei presupposti che ne hanno legittimato l’adozione e che, ove non ravvisi la sussistenza delle esigenze cautelari, accertate sulla base di atti e fatti concreti e attuali diversi e ulteriori rispetto a quelli posti alla base della misura (la « pericolosità »), ne disponga la revoca o la sostituzione con altra misura meno afflittiva.
Nella Relazione di accompagno alla proposta di legge numero 1977 si legge: Tra i presupposti applicativi delle misure cautelari, quello indicato dalla lettera c) dell’articolo 274 del codice di procedura penale, cioè il pericolo di reiterazione del reato, rappresenta l’esigenza cautelare più frequentemente invocata dai giudici per richiedere l’adozione di provvedimenti limitativi della libertà personale e, al contempo, quella più difficilmente confutabile da parte della difesa.
Pur essendo stata ritenuta non contrastante con il dettato costituzionale e, anzi, avendo la medesima trovato esplicito riconoscimento nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che, all’articolo 5, lettera c), afferma chiaramente che la privazione della libertà di una persona può essere giustificata ove “sia necessario impedirgli di commettere un reato”, nondimeno tale istanza pone rilevanti conseguenze e ripercussioni.
Invero, il concetto di “imputato pericoloso” rappresenta un ossimoro difficilmente riconducibile ai canoni del giusto processo e, in primis, alla presunzione di non colpevolezza “scolpita” nel secondo comma dell’articolo 27 della Costituzione che, in buona sostanza, nega una concezione della carcerazione preventiva come misura di sicurezza fondata su un giudizio di pericolosità che presume la colpevolezza dell’imputato.
Inoltre, come rilevato da autorevole dottrina, e come noto a chi frequenta le aule dei tribunali, la richiamata esigenza cautelare si fonda essenzialmente su un giudizio soggettivo del giudice che deve valutare il pericolo che l’indagato o l’imputato ponga in essere ulteriori comportamenti criminali, comportando il rischio di diventare oggetto di strumentalizzazione da parte dell’autorità giudiziaria.
Infatti, dalla lettura del citato articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di rito, secondo cui l’esigenza cautelare ricorre “quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, (…) sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede”, si deduce che al giudice non si chiede soltanto di valutare il fatto, ma anche di formulare un giudizio prognostico sul futuro comportamento dell’indagato o dell’imputato.
Se il rischio di reiterazione del reato può essere desunto da comportamenti o atti concreti ovvero anche da precedenti penali, appare evidente come l’intervento cautelare si avvicini ai caratteri di una misura di sicurezza.
Al fine di evitare ineluttabili frizioni con il principio di non colpevolezza, la presente proposta di legge intende restituire centralità alla valutazione del fatto oggettivo, limitando le criticità insite nel concetto di pericolosità.
Operando una novella all’articolo 299 del codice di procedura penale, si prevede infatti che il giudice, anche d’ufficio, dopo sessanta giorni dall’applicazione della misura, proceda a una nuova valutazione dei presupposti che ne hanno legittimato l’adozione e che, ove non ravvisi la sussistenza delle esigenze cautelari, accertate sulla base di atti e fatti concreti e attuali diversi e ulteriori rispetto a quelli posti alla base della misura (la « pericolosità »), ne disponga la revoca o la sostituzione con altra misura meno afflittiva.
Restano esclusi da tale meccanismo di rivalutazione i soggetti sottoposti a misure cautelari nell’ambito di procedimenti penali per i reati di maggiore allarme sociale. A tale proposito giova ribadire come la privazione della libertà personale rappresenti per l’indagato o l’imputato un momento di grave afflizione e di disonore sociale: ciò vale, a maggior ragione, per le persone che non sono aduse al crimine e per le quali un cospicuo lasso di tempo (sessanta giorni) trascorso in custodia cautelare rappresenta uno stravolgimento dell’esistenza e delle abitudini. È evidente come, rispetto a tali soggetti e alle vicende processuali che li vedono coinvolti, il « fattore tempo » abbia un’incidenza esiziale. Prevedere che, dopo sessanta giorni, si attivi una nuova valutazione della sussistenza di presupposti cautelari, nuovi e diversi rispetto a quelli che hanno supportato l’originario provvedimento, significa restituire la rilevanza che merita a quell’elemento essenziale che è il fattore tempo. Oltre a ciò, preme evidenziare che la maggior chiarezza della cornice legislativa potrà agevolare anche il giudice nell’assunzione delle delicatissime decisioni in materia di provvedimenti de libertate.
Peraltro, la certezza della norma gioverà non soltanto all’agere dell’organo giudicante, bensì a quello di tutti gli attori del procedimento penale, dagli indagati o imputati, alle parti offese, ai loro difensori: la maggior chiarezza si traduce necessariamente in maggiore tutela e, quindi, in maggiore efficienza del procedimento
