Il notaio è un pubblico ufficiale anche nella veste di sostituto di imposta e risponde di peculato se non versa l’imposta di registro (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 33856/2024, udienza del 23 maggio 2024, ha ribadito che integra il reato di peculato la condotta del notaio che si appropria di somme ricevute dai clienti a titolo di sostituto d’imposta in relazione ad atti di compravendita immobiliare rogati, in quanto tale comportamento costituisce un inadempimento non a un proprio debito pecuniario, ma all’obbligo di consegnare il denaro al legittimo proprietario entro il termine stabilito, con la conseguenza che il predetto, sottraendo la res alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, realizza un’inversione del titolo del possesso uti dominus.

Vicenda giudiziaria e sentenza impugnata

Il PM presso il Tribunale di Trapani ha chiesto il rinvio a giudizio di FDN per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, 314 cod. pen., in quanto, con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, nella qualità di notaio e, dunque, di responsabile di imposta, avendo per ragioni del suo ufficio il possesso di somme di danaro affidategli dai clienti per essere destinate al pagamento dell’imposta di registro, se ne sarebbe appropriato, omettendone la corresponsione, contestualmente alla registrazione degli atti indicati in dettaglio, per un importo complessivo di euro 507.517,00; fatti commessi in Trapani dal 24 dicembre 2009 al 24 aprile 2013.

Il GIP di Trapani, con sentenza emessa in data 26 febbraio 2016 all’esito del giudizio abbreviato, previo riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., ha condannato l’imputato alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione e ha applicato al medesimo l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici.

La Corte di appello di Palermo, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha rideterminato la pena irrogata nei confronti di FDN in tre anni, quattro mesi e venti giorni di reclusione, ha applicato all’imputato l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni e ha confermato nel resto la sentenza impugnata.

Ricorso per cassazione

I difensori di FDN ricorrono avverso tale sentenza e ne chiedono l’annullamento, proponendo

plurimi motivi di ricorso, qui riportati in parte, limitatamente a quelli di maggiore rilievo giuridico.

…Primo motivo: il notaio non è un pubblico ufficiale nell’adempimento degli obblighi tributari

Con il primo motivo i difensori deducono la violazione dell’art. 314 cod. pen. e il vizio di motivazione in ordine alla qualifica soggettiva e alla configurabilità degli elementi costitutivi del delitto contestato.

Rilevano i difensori che il notaio non riveste la qualifica di pubblico ufficiale nell’adempimento degli obblighi tributari, in quanto il pagamento dell’imposta di registro non costituisce espressione del potere certificativo attribuito dalla legge a questo professionista.

La funzione certificativa del notaio si esaurirebbe con la redazione dell’atto e, dunque, l’adempimento dell’onere tributario sarebbe successivo ed estraneo alla stessa.

La qualifica di responsabile d’imposta, peraltro, sarebbe incompatibile con la condotta di peculato, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità che esclude la ricorrenza di tale delitto per le condotte di ritardato o di parziale versamento dell’imposta di soggiorno.

Non sussisterebbe, inoltre, l’elemento oggettivo del delitto di peculato, in quanto, non essendo maturato il termine di scadenza del pagamento dell’imposta, l’appropriazione non si sarebbe consumata. Rilevano, infatti, i difensori che, secondo la nota del Ministero delle Finanze – Agenzia delle entrate – Direzione gestione centrale dei tributi del 21 febbraio 2003, Prot. 25802/2003, il termine di adempimento per il pagamento dell’imposta di registro coincide con il decorso di quindici giorni dalla notifica da parte dell’Agenzia delle Entrate dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro.

Posto che nel caso di specie tale notifica, per inerzia dell’amministrazione, non sarebbe intervenuta con riguardo agli atti stipulati tra il 2009 e il 2012, il mancato versamento dell’imposta di registro da parte dell’imputato non avrebbe, dunque, integrato l’interversione del possesso.

La mancata corresponsione da parte dell’imputato dell’imposta all’atto di registrazione dei rogiti, dunque, non avrebbe integrato il delitto peculato, ma una semplice irregolarità amministrativa.

Quanto agli atti stipulati nel 2013, il ricorrente, inoltre, prima ancora di ricevere l’avviso di liquidazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, avrebbe provveduto ad effettuare i versamenti dell’imposta di registro dovuta.

Con riferimento al profilo dell’elemento soggettivo, inoltre, la Corte di appello avrebbe «dovuto interrogarsi» su quanto la nota dell’Agenzia delle entrate sopra citata abbia inciso sulla coscienza e volontà dell’imputato di commettere il reato.

…Secondo motivo: infondatezza della tesi accusatoria per gli atti notarili non soggetti a tassazione

Con il secondo motivo i difensori deducono che la Corte di appello illegittimamente e illogicamente avrebbe confermato la sentenza di primo grado anche in relazione a casi nei quali gli atti notarili non sarebbero stati soggetti a tassazione.

…Terzo motivo: vizio di motivazione sull’esistenza dell’elemento oggettivo del reato in riferimento ai versamenti dell’imposta di registro fatti prima dell’avviso di liquidazione

Con il terzo motivo i difensori deducono il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato in relazione ai mancati versamenti dell’imposta di registro per gli episodi del 2013, in quanto per gli atti stipulati in tale anno il ricorrente prima ancora di ricevere l’avviso di liquidazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, avrebbe provveduto ad effettuare i versamenti dell’imposta di registro dovuta.

Illogica sarebbe, inoltre, l’interpretazione in senso confessorio di alcune conversazioni intercettate operata dalla Corte di appello sul punto.

Dalla conversazione n. 2577 intercorsa alle ore 13.13 del 20 marzo 2013 tra

l’imputato e tale C., una dipendente del suo studio professionale, emergerebbe, infatti, con evidenza che gli atti notarili in questione erano stati registrati per un disguido prima della scadenza dei trenta giorni previsti per legge e proprio per questa ragione il conto dedicato era risultato incapiente.

…Quarto motivo: violazione del divieto di bis in idem

Con il quarto motivo i difensori deducono la violazione del principio del ne bis in idem, nella sua dimensione euro unitaria, in quanto l’imputato è stato già sanzionato in sede amministrativa in relazione ai fatti per cui si procede e la Corte di appello di Palermo ha tenuto conto di tale circostanza solo al fine di ridurre la pena irrogata in concreto.

…Motivi nuovi

I difensori hanno depositato motivi nuovi e hanno chiesto l’annullamento della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato e, in subordine, la proposizione di una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, relativamente alla violazione dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, per effetto dell’irrogazione di una sanzione penale dopo una sanzione amministrativa sostanzialmente penale, o di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen., per violazione degli artt. 24, 111 e 117 Cost., in relazione all’art. 4 Protocollo 7 della CEDU e dell’art. 50 CDFUE.

…Primo motivo aggiunto

Con il primo motivo aggiunto i difensori deducono l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto che l’assenza della collusione del ricorrente con i funzionari dell’Agenzia delle entrate sarebbe «priva di effetti pratici ai fini dell’affermazione di responsabilità» dell’imputato per il delitto di peculato.

La mancata notifica degli avvisi di liquidazione sarebbe, infatti, dipesa da inerzia dell’amministrazione e non già da un accordo criminoso e, in assenza di tale adempimento, non potrebbe configurarsi né l’interversio possessionis, né il dolo necessari ad integrare il delitto di peculato.

…Secondo motivo aggiunto

Con il secondo motivo i difensori censurano la violazione del ne bis in idem, in quanto l’imputato sarebbe stato già condannato in sede tributaria a versare la somma, integralmente corrisposta, di 100.000 euro per la medesima condotta e l’irrogazione della sanzione penale concreterebbe la violazione del diritto fondamentale a non essere sanzionato due volte per il medesimo fatto. Per tali condotte, peraltro, sarebbe anche stata irrogata all’imputato, in sede

disciplinare, la pena della sospensione dell’esercizio della professione per la durata di tre mesi.

Si sarebbe, dunque, in presenza dell’applicazioni di plurime sanzioni a fronte di un idem factum, connotato da «sufficiently close connection in substance and time», secondo gli Engel criteria e i principi affermati dalla Corte Edu nella sentenza A e B contro Norvegia.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è infondato.

…Il notaio è un pubblico ufficiale anche nella sua veste di sostituto di imposta

Con il primo motivo i difensori deducono congiuntamente la violazione dell’art. 314 cod. pen., quanto al difetto della qualifica pubblicistica del notaio all’atto del pagamento dell’imposta di registro, l’insussistenza della condotta appropriativa delle somme di danaro, prima della notifica dell’avviso di liquidazione da parte dell’amministrazione finanziaria, l’insussistenza del dolo del delitto di peculato e il vizio di motivazione su tali punti.

La censura relativa all’insussistenza della qualifica di pubblico ufficiale del notaio in relazione alla sua funzione di responsabile di imposta è infondata.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, la qualifica di pubblico ufficiale spetta al notaio non solo nell’esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico (legge notarile) e diretta alla formazione di atti pubblici (negozi giuridici notarili), ivi compresa l’attività di adempimento dell’obbligazione tributaria, nella specie il mancato versamento da parte del notaio di somme affidate da clienti, destinate al pagamento dell’imposta di registro in relazione agli atti rogati (in termini:Sez. 5, n. 47178 del 16/10/2009; conf. Sez. 6, n. 6087 del 6/12/1994; Sez. 6, n. 28302 del 14/01/2003, con riferimento all’appropriazione da parte del notaio delle somme al medesimo consegnate dai clienti per il pagamento dell’I.N.V.I.M.).

Integra, dunque, il reato di peculato la condotta del notaio che si appropria di somme ricevute dai clienti a titolo di sostituto d’imposta in relazione ad atti di compravendita immobiliare rogati, in quanto tale comportamento costituisce un inadempimento non a un proprio debito pecuniario, ma all’obbligo di consegnare il denaro al legittimo proprietario entro il termine stabilito, con la conseguenza che il predetto, sottraendo la res alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, realizza un’inversione del titolo del possesso uti dominus(Sez. 6, n. 55753 del 13/11/2018, Puzone, Rv. 274728 – 01; Sez. 6, n. 20132 del 11/03/2015, Varchetta, Rv. 263547 – 01, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che correttamente la sentenza impugnata avesse affermato la responsabilità di un notaio il quale, indicando una base imponibile inferiore a quella prevista all’atto dei rogiti, aveva calcolato un’imposta da pagare più bassa di quella già versata dai clienti e incamerato la differenza conseguentemente non corrisposta all’erario).

L’adempimento dell’imposta di registro da parte del notaio, del resto, non interviene quando la funzione pubblica certificativa è cessata, ma ne costituisce necessario completamento, in quanto è strettamente connesso all’attribuzione della fede pubblica all’atto rogato e mira al soddisfacimento di un interesse pubblico.

L’art. 18 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), espressamente sancisce che «[L]a registrazione… attesta l’esistenza degli atti ed attribuisce ad essi data certa di fronte ai terzi a norma dell’art. 2704 del Codice civile».

Questa connessione è ulteriormente resa esplicita dall’art. 28 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili), che consente al notaio di rifiutare la redazione dell’atto, qualora le parti non gli rendano immediatamente disponibili le somme necessarie per adempiere le tasse.

Il notaio è, inoltre, responsabile del pagamento dell’imposta di registro, solidalmente con le parti, in relazione agli «atti enunciati» nell’atto rogato, secondo quanto sancito dall’art. 57 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro).

Il fatto che il notaio sia responsabile d’imposta ed assuma come tale la veste di coobbligato solidale (dipendente), che la legge affianca al soggetto passivo d’imposta al fine di agevolare la riscossione dei tributi, tuttavia, non vale certo ad escludere la qualifica pubblicistica che gli compete.

È vero, come rileva il ricorrente, che la giurisprudenza di legittimità ha escluso la configurabilità del delitto di peculato con riferimento alle condotte di ritardato o di parziale versamento dell’imposta di soggiorno, in quanto l’art. 180 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 20 luglio 2020, n. 77 ha attribuito la qualifica di responsabile d’imposta a tale operatore turistico, a fronte della previgente disciplina che lo investiva, quale agente contabile, del servizio pubblico di riscossione del detto tributo (così:Sez. 5, n. 12516 del 10/03/2022; Sez. 6, n. 9213 del 15/02/2022).

Il notaio, tuttavia, a differenza dell’albergatore, non solo è responsabile di imposta, ma è investito di specifiche funzione pubbliche certificative, strettamente connesse alla registrazione dell’atto rogato.

…momento di realizzazione della interversio possessionis

Con la seconda censura proposta nel primo motivo di ricorso i difensori hanno dedotto il vizio di violazione dell’art. 314 cod. pen. e il difetto di motivazione in ordine all’elemento oggettivo della condotta, in quanto l’interversio possessionis necessaria ad integrare il peculato non potrebbe ritenersi integrata sino a quando non sia decorso il termine ultimo, di quindici giorni dall’avviso di liquidazione dell’imposta, per adempiere l’obbligazione tributaria.

Anche questi motivi sono infondati.

Per delibare queste censure è necessario rilevare che il notaio è obbligato ad effettuare, nel termine di trenta giorni dalla stipula di un atto pubblico, la registrazione dell’atto e il pagamento delle rispettive imposte (di registro, catastali e ipotecarie), provvedendo, mediante addebito su un conto professionale dedicato, a versare all’Agenzia delle entrate le somme ricevute a tale

titolo dalle parti contraenti.

Per effetto della modifica del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, da parte del d.lgs. 18 gennaio 2000, n. 9, gli adempimenti in materia di registrazione degli atti relativi a diritti sugli immobili sono eseguiti mediante una procedura telematica.

Questa disciplina assegna ai soggetti, obbligati a richiedere la registrazione, di cui all’art. 10, lett. b), del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 – soggetti fra i quali sono compresi i notai per gli atti redatti – una particolare posizione nella fase di autoliquidazione delle imposte, connessa all’impiego del modello unico informatico recante la richiesta di registrazione; la trasmissione del quale, unitamente a tutta la documentazione necessaria, va eseguita previo pagamento dei tributi dovuti in base ad autoliquidazione.

L’art. 3-ter del d. Igs. 18 dicembre 1997, n. 463, prevede, inoltre, una particolare procedura di controllo automatizzato dell’autoliquidazione, attribuendo all’amministrazione finanziaria la potestà di notificare al notaio un avviso di liquidazione integrativo, dal quale scaturisce la possibilità, per il notaio medesimo, sia di pagare entro i quindici giorni successivi senza interessi moratori né sanzioni, sia di eventualmente compensare il proprio debito di rettifica con il credito risultante per le somme da lui versate in eccesso su altre registrazioni telematiche

auto liquidate.

Muovendo dalla ricognizione di questa disciplina è possibile esaminare gli argomenti del ricorrente.

Secondo l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, il pubblico ufficiale che ha ricevuto denaro per conto della pubblica amministrazione realizza l’appropriazione sanzionata dal delitto di peculato nel momento stesso in cui ne ometta o ritardi il versamento, cominciando in tal modo a comportarsi uti dominus nei confronti del bene del quale ha il possesso per ragioni d’ufficio (tra le altre: Sez. 6, n. 43279 del 15/10/2009).

Tale comportamento costituisce, infatti, un inadempimento non ad un proprio debito pecuniario, ma all’obbligo di consegnare il denaro al suo legittimo proprietario, con la conseguenza che, sottraendo la res alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, egli realizza una inversione del titolo del possesso uti dominus (Sez. 6, n. 53125 del 25/11/2014).

La giurisprudenza di legittimità ha, tuttavia, recentemente mutato orientamento, rilevando che il reato non si perfeziona allo spirare del termine per adempiere del pubblico ufficiale, ma allorquando emerga senza dubbio, dalle caratteristiche del fatto, che si è realizzata l’interversione del titolo del possesso, ovvero che il concessionario ha agito uti dominus.

Il mancato adempimento della somma dovuta nel termine fissato dalla legge dimostra, infatti, l’inadempimento dell’imputato, secondo la logica del dies interpellat pro homine sancita dall’art. 1219, secondo comma n. 3, cod. civ., ma non ancora la sua responsabilità penale.

In tema di peculato, l’appropriazione del denaro, riscosso dal notaio a titolo di imposte e non riversato all’erario, si realizza, dunque, non già per effetto del mero ritardo nell’adempimento, bensì allorquando si determina la certa interversione del titolo del possesso, che si realizza allorquando il pubblico agente compia un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, condotta che non necessariamente può essere ritenuta insita nella mancata osservanza del termine di adempimento (Sez. 6 n. 16786 del 02/02/2021).

Il principio è stato, peraltro, ribadito dalla giurisprudenza di legittimità anche con riferimento al caso analogo del ritardato versamento, da parte del concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell’Azienda Autonoma Monopoli di Stato (si confrontino:Sez. 6, n. 33468 del 14/06/2023; Sez. 6, n. 38339 del 29/09/2022; Sez. 6, n. 31167 del 13/04/2023)

La Corte di appello di Palermo, richiamando puntualmente l’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità, ha non incongruamente ritenuto integrata l’interversio possessionis delle somme affidate all’imputato dai clienti non già per effetto della mera scadenza del termine di legge di trenta giorni dal rogito per corrispondere l’imposta di registro, ma in ragione della consapevole appropriazione delle stesse da parte del ricorrente.

La Corte di appello ha, infatti, rilevato che il conto corrente del notaio dedicato a tale incombente per legge, è risultato sistematicamente incapiente, come riferito dal direttore e dai dipendenti della banca, che hanno costantemente avvisato il notaio che gli addebiti disposti sul conto dedicato non andavano a buon fine.

L’utilizzo da parte dell’imputato delle somme versate sul conto dedicato per finalità diverse da quelle per le quali erano state ricevute, nella valutazione non illogica della Corte di appello, dunque, integra il delitto di peculato, indipendentemente dalle successive vicende relative al pagamento dell’imposta di registro.

… influenza della nota del Ministero delle Finanze – Agenzia delle entrate – Direzione gestione centrale dei tributi – del 21 febbraio 2003, Prot. 25802/2003

Con la terza censura proposta nel primo motivo di ricorso, i difensori deducono il vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello non avrebbe motivato in ordine all’influenza della nota del Ministero delle Finanze – Agenzia delle entrate – Direzione gestione centrale dei tributi – del 21 febbraio 2003, Prot. 25802/2003 ai fini della configurabilità del dolo dell’imputato.

Il motivo è inammissibile per aspecificità, in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata.

La Corte di appello si è, peraltro, confrontata specificamente con la censura proposta dai difensori nell’atto di appello e ha congruamente escluso la buona fede dell’imputato, in quanto la condotta illecita si è protratta per anni, pur a fronte delle numerose segnalazioni ricevute dal personale della banca, che ha reiteratamente avvisato il notaio dell’incapienza del conto dedicato al pagamento dell’imposta di registro.

…Secondo motivo: gli atti non soggetti a tassazione sono stati esclusi dalla condanna

Con il secondo motivo i difensori deducono che la Corte di appello avrebbe confermato la sentenza di primo grado anche in relazione a casi nei quali gli atti notarili non sarebbero stati soggetti a tassazione.

Il motivo è infondato, in quanto la Corte di appello, nella sentenza impugnata, ha confermato la condanna del ricorrente per le sole somme effettivamente oggetto di appropriazione e non già per gli atti, erroneamente indicati nell’imputazione, per i quali l’imposta di registro non era dovuta.

…Terzo motivo: la condanna per i mancati versamenti dell’imposta prima della ricezione dell’avviso di liquidazione è questione di merito sottratta alla valutazione del giudice di legittimità

Con il terzo motivo i difensori deducono il vizio di motivazione in ordine all’affermazione di sussistenza dell’elemento oggettivo del reato in relazione ai mancati versamenti dell’imposta di registro per gli episodi del 2013, in quanto per gli atti stipulati in tale anno il ricorrente prima ancora di ricevere l’avviso di liquidazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, avrebbe provveduto ad effettuare i versamenti dell’imposta di registro dovuta.

Illogica sarebbe, peraltro, sul punto l’interpretazione di alcune conversazioni intercettate operata dalla Corte di appello.

Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, bensì con le prove esaminate dal Tribunale, sollecitandone una diversa lettura.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, esula, tuttavia, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone).

L’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, del resto, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar).

La Corte di appello ha, peraltro, non illogicamente rilevato che dalle intercettazioni è emerso che l’imputato, anche nel 2013, stava attraversando una forte crisi di liquidità, per motivi non inerenti alla propria attività professionale, e che le somme ricevute dai clienti sono state consapevolmente utilizzate dal medesimo non già per registrare gli atti per le quali erano state specificamente riscosse, ma per ripianare debiti pregressi e per registrare agli atti rogati in precedenza e per i quali non vi era stato ancora l’adempimento del tributo.

…Primo motivo nuovo: irrilevanza della non ancora avvenuta scadenza del termine per il versamento dell’imposta di registro

Con il primo motivo nuovo i difensori hanno dedotto l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, in quanto la Corte di appello avrebbe ritenuto irrilevante ai fini della sussistenza del delitto di peculato che l’omessa notifica degli avvisi di liquidazione fosse dovuta non già ad un accordo criminoso del notaio con i funzionari dell’Agenzia delle Entrate, come originariamente ipotizzato dalla pubblica accusa ed escluso dalla Corte di appello, ma alla mera inerzia dell’amministrazione.

Il motivo è infondato.

La Corte di appello ha, infatti, ritenuto dimostrata la commissione del delitto di peculato non già in ragione della scadenza del termine per pagare l’imposta di registro, ma per effetto dell’utilizzo da parte dell’imputato per fini personali delle somme affidategli dai clienti per adempiere il tributo.

…Secondo motivo aggiunto: non ricorre alcun bis in idem perché manca l’identità del fatto

Con il quarto motivo e il secondo motivo aggiunto i difensori hanno dedotto la violazione del principio del ne bis in idem, nella sua dimensione euro unitaria, in quanto l’imputato è stato già sanzionato in sede amministrativa in relazione ai fatti per cui si procede e la Corte di appello di Palermo ha tenuto conto di tale circostanza solo al fine di ridurre la pena irrogata in concreto.

I motivi sono infondati.

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 200 del 2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen., nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale.

In tale pronuncia, relativa a un caso di concorso formale tra i reati di disastro doloso (art. 434, secondo comma, cod. pen.) e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro (art. 437, secondo comma, cod. pen.), la Corte costituzionale ha affermato che, per stabilire se opera il divieto del secondo giudizio, il giudice deve porre a confronto il fatto, così come emerge nei processi, nelle sue componenti storiche (comprensivo di condotta, nesso eziologico ed evento), indipendentemente dalle qualificazioni legali.

La Corte costituzionale ha, dunque, affermato che, in ottemperanza all’art. 117, primo comma, Cost., l’art. 649 cod. proc. pen., che enuncia il divieto del ne bis in idem, deve essere interpretato in senso conforme a quello attribuito dalla giurisprudenza della Corte Edu in relazione all’analogo principio enunciato dall’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU.

Secondo la giurisprudenza della Corte Edu, infatti, l’idem factum deve essere colto in una dimensione squisitamente naturalistica («facts which constitute a set of concrete factual circumstances involving the same defendant and inextricably linked together in time and space»), nella quale è indifferente la diversa qualificazione giuridica (ex plurimis: Corte Edu, Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine c. Russia, § 84).

La Corte costituzionale ha, dunque, precisato, che, nell’accertare l’identità del fatto, il giudice deve verificare la medesimezza o meno del fatto storico-naturalistico «affrancato dal giogo dell’inquadramento giuridico» (Corte cost., sentenza n. 200 del 2016, § 4 del Considerato in diritto), in quanto «le sempre opinabili considerazioni sugli interessi tutelati dalle norme incriminatrici, sui beni giuridici offesi, sulla natura giuridica dell’evento, sulle implicazioni penalistiche del fatto e su quant’altro concerne i diversi reati, oggetto dei successivi giudizi, non si confanno alla garanzia costituzionale e convenzionale del ne bis in idem e sono estranee al nostro ordinamento (Corte cost., sentenza n. 200 del 2016, § 7 del Considerato in diritto).

L’identità del «fatto», pertanto, sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona» (sentenza n. 129 del 2008)» (Corte cost., sentenza n. 200 del 2016, §8 del Considerato in diritto).

Pur condividendo il superamento dell’approccio fondato sulla qualificazione giuridica, il motivo relativo alla violazione del ne bis in idem, con riferimento alla duplicazione conseguente alla irrogazione della sanzione penale e della sanzione tributaria irrogata dall’amministrazione fiscale, è infondato.

L’appropriazione delle somme versate dai clienti per adempiere l’imposta di registro e l’omesso versamento dell’imposta non integrano un idem factum, in quanto costituiscono condotte distinte e diversamente collocate nel tempo.

Proprio la motivazione della sentenza impugnata ha congruamente rilevato come la condotta appropriativa, realizzata con l’utilizzo delle somme dei clienti versate sul conto dedicato, sia stata anteriore rispetto al mancato adempimento dell’imposta di registro e come il delitto debba ritenersi integrato anche nei casi in cui sia intervenuto successivamente il pagamento dell’onere tributario.

La censura di violazione del ne bis in idem è, peraltro, infondata anche con riferimento al cumulo della condanna penale e della sospensione dal servizio per la durata di tre mesi disposta dalla Commissione amministrativa regionale di disciplina.

Nel procedimento disciplinare è, infatti, stato contestato al notaio pur sempre l’omesso versamento dell’imposta di registro e non l’appropriazione delle somme ricevute dalle parti private.

Anche in tal caso, dunque, manca la medesimezza della condotta necessaria per verificare la sussistenza della violazione del ne bis in idem.