PintoPaga in odore di incostituzionalità? (Francesco Bianchini)

Come anticipato da Terzultima Fermata il 15 gennaio 2015 (a questo link per la consultazione), con l’art. 1, commi 817-821 della Legge il legislatore ha dato inizio dal primo gennaio al progetto “PintoPaga” attraverso il quale si propone di addivenire al pagamento dei risalenti indennizzi di cui alla legge 89/2001, concernenti i decreti depositati prima dell’1.01.2022.

Al citato progetto il Ministero della Giustizia ha dato ampio risalto, pubblicandolo nel suo sito già dal 2.01.2025.

Ma sarà veramente tutt’oro quel che luccica?

Le tappe normative del pagamento degli indennizzi ex Legge Pinto

Invero, la materia dei pagamenti concernenti i decreti di cui alla Legge 89/2001, ha subito nel tempo rilevanti evoluzioni normative e giurisprudenziali che occorre brevemente ripercorrere al fine di poter comprenderne appieno la sostanza.

Sino al primo gennaio 2016, il beneficiario di crediti da irragionevole durata del processo (incluso l’eventuale difensore antistatario, con riguardo alle spese processuali liquidate), a fronte dell’inerzia del Ministero della Giustizia o del Ministero dell’Economia e delle Finanze, era costretto a notificare il titolo esecutivo al predetto Dicastero, nonché ad attendere il termine “dilatorio” di 120 giorni, ai sensi dell’art. 14, comma 1, D.L. n. 669/1996, potendo solo successivamente agire in via esecutiva o attraverso il giudizio di ottemperanza, integrando detta incombenza condizione di procedibilità ed ammissibilità dell’azione esecutiva o di ottemperanza; questione, peraltro, pacificamente rilevabile d’ufficio.

Dal primo gennaio 2016, invece, la Legge 208/2015 (art. 1, comma 777, lettera l), introduceva l’art. 5-sexies, L. 24 marzo 2001, n. 89, con cui onerava il beneficiario degli emolumenti, di inviare a mezzo PEC (a seconda dei casi, alla competente Corte di appello emittente il decreto liquidatorio od al D.A.G. del Ministero soccombente) una dichiarazione da redigere e sottoscrivere in appositi moduli – unitamente alle copie del documento di identità e tessera sanitaria –  approvati con decreto del D.A.G. dicasteriale e, successivamente, di attendere il diverso e maggiore termine dilatorio di sei mesi dal predetto invio.

Investita della questione di costituzionalità della norma – che sembrava introdurre irragionevolmente due condizioni di procedibilità e due termini dilatori che si sommavano – la Consulta ne dichiarava l’infondatezza, chiarendo come la stessa dovesse ritenersi “speciale” rispetto a quella dell’art. 14, comma 1, D.L. n. 669/1996 (sentenza 26.06.2018 n. 135). La predetta ermeneusi veniva successivamente recepita dal Consiglio di Stato (ex multis: Sez. IV, sentenza 16.02.2021, n. 1423 e sentenza 3.11.2023, n. 9489), con la conseguenza che costituisce ormai “ius receptum” che, a far data dall’1.01.2016, i beneficiari di decreti ex Lege 89/2021, prima di poter esperire l’azione esecutiva o il giudizio d’ottemperanza sono tenuti ad intraprendere esclusivamente la procedura di cui all’art. 5-sexies della medesima legge Pinto e non anche quella di cui all’art. 14, comma 1, D.L. n. 669/1996.

Senonché, l’anzidetta procedura veniva innovata dall’art. 25, D.L. 118/2021, convertito con modificazioni nella legge 147/2021, che ha introdotto dopo il comma 3, dell’art. 5-sexies, L. 89/2001, il comma 3-bis, del seguente tenore “Con decreti dirigenziali del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della giustizia, da adottarsi entro il 31 dicembre 2021, sono indicate le modalità di presentazione telematica dei modelli di cui al comma 3, anche a mezzo di soggetti incaricati, ai sensi del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.».2. All’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.“.

In attuazione regolamentare della predetta norma, il D.A.G. del Ministero della Giustizia, con decreto del 22.12.2021, prevedeva che le dichiarazioni di cui all’art. 5-sexies, comma 1, Legge Pinto, con riguardo ai decreti depositati dall’1.01.2022, dovesse essere rilasciata al Ministero della Giustizia esclusivamente attraverso l’apposita piattaforma informatica ministeriale SIAMM; analoga decreto, con simili disposizioni veniva emesso dal Capo del DAG del Ministero dell’Economia e delle Finanze in data 31.12.2021, con riguardo ai decreti depositati dall’1.04.2022.

Chi scrive può testimoniare, per esperienza personale, che con la procedura per “upload” di cui alle citate piattaforme ministeriali, i pagamenti degli indennizzi di cui alla legge n. 89/2001 sono divenuti abbastanza celeri, salvo poche eccezioni.

I problemi, concernono, invece, i pagamenti dei decreti da “equo indennizzo” liquidati prima dell’1.01.2022, relativamente ai quali era prevista, quale condizione di procedibilità delle eventuali successive azioni esecutivi o di ottemperanza,  la procedura di invio a mezzo PEC dei modelli di dichiarazione approvati dai Ministeri; con riguardo al pagamento di tali crediti, infatti, tanto il Ministero della Giustizia che quello dell’Economia e delle Finanze hanno accumulato negli anni un ritardo spaventoso, alimentando anche un notevole contenzioso specie in sede di giudizi di ottemperanza, tanto da non aver adempiuto al saldo del dovuto non solo a fronte delle sentenze di ottemperanza dei Giudici amministrativi, ma anche di quelle concernenti i reclami di cui all’art. 114, comma 6, c.p.a., avverso la condotta inerte dei commissari ad acta nominati dal Giudice amministrativo.

L’ultima tappa: art. 1, commi 817/821, L. 30 dicembre 2024, n. 207

Nella consapevolezza di tale storico ritardo, il Legislatore ha proceduto all’ennesima “novella”, attraverso i commi 817-821 dell’art. 1 della Legge 30 dicembre 2024, n. 207 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027“. Attraverso la predetta ennesima modifica della materia, pubblicizzata come “PintoPaga”, il legislatore si riproporrebbe di attuare l’ennesimo piano straordinario di pagamento del pregresso, con la collaborazione dei beneficiari. Ma a quale costo?

Particolarmente rilevante, a parere di chi scrive, è il comma 817, lettera m, dell’art. 1 della predetta legge, che ha inserito nel corpo dell’art. 5-sexies, legge “Pinto”, il comma 12-bis, del seguente tenore: “Per ottenere più celermente il pagamento dei propri crediti, i creditori di somme liquidate a norma della presente legge, fino al 31 dicembre 2021, possono rinnovare la domanda di pagamento utilizzando le modalità disciplinate dai commi 3 e 3-bis. Il Ministero della giustizia dà notizia della facoltà di rinnovo della domanda mediante avviso pubblicato nel proprio sito internet istituzionale. Decorsi venti giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, per i successivi due anni i creditori di cui al comma 1 non possono iniziare azioni esecutive o giudizi di ottemperanza e le azioni esecutive e i giudizi di ottemperanza in corso sono sospesi“.

In sostanza, i titolari del diritto all’indennizzo – sulla scorta di decreti depositati prima dell’1.01.2022 – al fine di ottenere un più rapido pagamento del dovuto, “possono” ripresentare la domanda di pagamento (già effettuata in precedenza a mezzo PEC) utilizzando la piattaforma Ministeriale “Siamm”; senonché, che si determino o meno ad adempiere a tale ulteriore incombenza “consigliata”, a decorrere dal 21.01.2025, per il periodo di due anni, i medesimi beneficiari non potranno agire esecutivamente o per ottemperanza e, qualora lo avessero già fatto, le azioni esecutive ed i giudizi di ottemperanza in corso risulteranno sospesi per il medesimo periodo.

Dubbi di costituzionalità della nuova disciplina

Ritiene lo scrivente che la predetta norma, così come formulata, presenti più profili di incostituzionalità, quanto meno per contrasto con gli artt. 24 e 111, Cost.

Già in passato, infatti, la Consulta ha avuto modo di scrutinare interventi normativi che, di fatto, svuotano di contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto debitore, ritenendoli giustificati, sul piano costituzionale, da particolari esigenze transitorie, a due condizioni:

1) che siffatto svuotamento sia limitato ad un ristretto periodo temporale; 2) che le disposizioni di carattere processuale che incidono sui giudizi pendenti, siano controbilanciate da disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta, garantiscano, anche per altra via, che non sia quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure (Corte costituzionale, sentenza 12.07.2013 n. 186).

A ben vedere, la norma “incriminata” inserisce disposizioni di carattere sostanziale che garantiscono, anche per altra via che non sia quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure, dato che, a fronte del rinnovo dei beneficiari del deposito della domanda di pagamento attraverso le piattaforme ministeriali, lo Stato si impegna a far loro “ottenere più celermente il pagamento dei propri crediti”.

Per contro, il predetto svuotamento di contenuto dei titoli esecutivi non risulta affatto limitato ad un ristretto periodo temporale (CFR. Corte Costituzionale sentenze 186/2013, cit., 155/2004, 310/2003), atteso che la norma de qua impedisce ai creditori ex L. 89/2001 – sulla scorta di titoli giudiziali emessi sino al 31.12.2021 – per il periodo di due anni decorrenti dal 21.01.2025 –  di iniziare azioni esecutive o giudizi di ottemperanza, addirittura sospendendo per il medesimo periodo le azioni esecutive e i giudizi di ottemperanza in corso.

La predetta norma, quindi, in parte qua, appare incostituzionale, ponendosi non solo in contrasto con l’art. 24, Cost., vanificando gli effetti della tutela giurisdizionale già conseguita dai numerosi creditori procedenti nei giudizi esecutivi o di ottemperanza, ma anche con l’art. 111, comma 2, Cost., in quanto in palese violazione del principio di ragionevole durata del processo (ex pluris: sentenza Corte costituzionale n. 186/2013, cit.).

Nell’instaurare, anche in qualità di avvocato antistatario, in due giudizi di ottemperanza già pendenti, ennesimo reclamo ex art. 114, comma 6, c.p.a. [uno (il terzo) di fronte al TAR Umbria, l’altro (il secondo) in seno al Consiglio di Stato, relativamente al quale ultimo è già stata fissata l’udienza camerale di discussione a fine marzo 2025], lo scrivente si è determinato, quindi, a porre la seguente questione di costituzionalità. Ora la parola spetterà ai predetti Giudici amministrativi (quali giudici a quibus), essendo gli stessi chiamati a valutare la non manifesta infondatezza della questione, oltre che la rilevanza della stessa nei giudizi pendenti.