Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 481/2025, udienza del 13 dicembre 2024, ha chiarito che, in tema di prove, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni auto-indizianti rese dall’imputato in assenza di garanzie difensive non si trasmette agli accertamenti successivi autonomamente svolti dalla polizia giudiziaria, in quanto non opera in materia di inutilizzabilità il principio, previsto per le nullità, della trasmissibilità del vizio agli atti consecutivi a quello dichiarato nullo (Sez. 6, n. 9009 del 04/02/2020).
Al proposito deve essere ricordato come il principio della invalidità derivata, ricavato dalla teoria del common law dei frutti dell’albero avvelenato e secondo cui se la fonte (l’albero) della prova o la prova stessa è viziata, allora ogni cosa ottenuta (il frutto) tramite essa è a sua volta viziata, sia estraneo all’ordinamento italiano.
Tanto è stato ripetutamente affermato in diversi interventi sia della Suprema Corte che del Giudice delle leggi chiamato ripetutamente a pronunciarsi sul punto.
In particolare, si è affermato in un primo momento, che il principio secondo cui la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi, che dipendono da quello dichiarato nullo, non trova applicazione in materia di inutilizzabilità, riguardando quest’ultima solo le prove illegittimamente acquisite e non altre la cui acquisizione sia avvenuta in modo autonomo e nelle forme consentite (Sez. 2, n. 44877 del 29/11/2011, Rv. 251361 01); detta soluzione risulta ripetutamente ribadita da altre successive pronunce secondo cui il principio dell’invalidità derivata previsto dall’art. 185, cod. proc. pen., non è applicabile con riferimento alla inutilizzabilità, sicché la decisione che si basi su prova vietata non è di per sé invalida, potendo al più ritenersi nulla per difetto di motivazione, qualora non sussistano prove, ulteriori e diverse da quelle inutilizzabili, idonee a giustificarla (Sez. 6, n. 5457 del 12/09/2018).
A fronte di tale ricostruzione del giudice di legittimità anche nella elaborazione della Corte costituzionale si è pervenuti alla medesima conclusione; con la pronuncia n. 219 del 2019 sono state dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 191 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), la cui violazione i ricorsi richiamavano. In tale pronuncia, il giudice delle leggi, ha espressamente preso posizione sul tema della inutilizzabilità derivata affermando che: “è lo stesso sistema normativo ad avallare la conclusione secondo la quale, per la inutilizzabilità che scaturisce dalla violazione di un divieto probatorio, non possa trovare applicazione un principio di “inutilizzabilità derivata”, sulla falsariga di quanto è previsto invece, nel campo delle nullità, dall’art. 185, comma 1, cod. proc. pen., a norma del quale «la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo». Derivando il divieto probatorio e la conseguente “sanzione” della inutilizzabilità da una espressa previsione della legge, qualsiasi “estensione” di tale regime ad atti diversi da quelli cui si riferisce il divieto non potrebbe che essere frutto di una, altrettanto espressa, previsione legislativa…“.
