Segnaliamo due sentenze della medesima sezione della Cassazione sezione 1, la numero 47557/2024 e la numero 654/2025, con medesimo presidente di collegio.
Sono la riprova della necessità urgente, di contrastare la deriva “efficientista” dell’inammissibilità del ricorso per inosservanza delle incerte formalità telematiche, con la proposta di inserire nell’art. 568 c.p.p. il seguente comma 5-bis: “L’impugnazione non può essere dichiarata inammissibile per inosservanza delle formalità telematiche relative alle modalità di deposito della stessa”.
Il rimedio suggerito dal prof. Oliviero Mazza, e dagli avvocati Beniamino Migliucci ed Eriberto Rosso è del settembre 2024 ed è l’unico modo per contrastare la schizofrenia della Cassazione e per prevenire rischi coronarici agli avvocati e colpi apoplettici alle parti, bisogna riprendere questa proposta e trasformarla in legge al più presto
La Cassazione sezione 1 con la sentenza numero 654/2025 smentisce se stessa nel momento in cui afferma che: “Non è causa di inammissibilità dell’impugnazione la sua trasmissione a un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dell’Ufficio giudiziario di destinazione, diverso da quello indicato come abilitato dal provvedimento organizzativo del Presidente del Tribunale, ma, comunque, compreso nell’elenco allegato al provvedimento del Direttore generale dei Sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia contenente l’individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all’art. 24, comma 4, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.
Infatti, si è rilevato che tale sanzione processuale è prevista dall’art. 24, comma 6-sexies, lett. e), d.l. cit. esclusivamente in caso di utilizzo di indirizzi PEC di destinazione non ricompresi neppure nell’allegato del citato provvedimento direttoriale“.
Mentre, ieri la medesima sezione con il medesimo Presidente del collegio affermava con la sentenza numero 47557/2024 che : “Non vi è dubbio che il ricorso per cassazione è stato inviato alla Corte di appello competente, tramite il suo deposito presso l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, come attualmente stabilito dall’art. 87-bis, comma 4, d.lgs. n. 150/2022.
L’art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022, come ricordato anche dal ricorrente, al comma 1 stabilisce che, sino all’entrata a regime del processo penale telematico, è consentito il deposito con valore legale, effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari, «indicati in apposito provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia».
Ai commi 3, 4 e 6 si prevede che l’atto di impugnazione – che non sia una richiesta di riesame o l’appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali o reali – debba essere trasmesso, secondo le modalità indicate dal citato provvedimento del DGSIA, all’indirizzo PEC dell’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato.
Diversamente da quanto asserito dal ricorrente, però, l’indirizzo PEC utilizzato, pur compreso nell’elenco pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia, non è riferibile all’ufficio della Corte di appello di Bari deputato a ricevere gli atti di impugnazione.
A questo ufficio, infatti, risulta assegnato l’indirizzo PEC depositoattipenali.3.ca.bari@giustizia.it, diverso, quindi, da quello utilizzato dal ricorrente: la verifica sul sito web del Ministero della Giustizia consente, infatti, di accertare che il documento allegato al ricorso è incompleto, in quanto non riporta tutti gli uffici a cui è assegnato il predetto indirizzo, essendo, in particolare, privo della indicazione dell’Ufficio Impugnazione.
Ai sensi dell’art. 87-bis, comma 7, lett. c), d.lgs. n. 150/2022, l’utilizzo di un indirizzo telematico diverso comporta l’inammissibilità dell’impugnazione, verificandosi il caso in cui l’atto risulta trasmesso «a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati … all’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato».
Ad avviso del collegio, detta norma non può essere oggetto di interpretazioni dirette a valorizzare la capacità del deposito non legittimo di raggiungere lo scopo a cui l’atto di ricorso è diretto.
L’art. 12 delle preleggi, nel dettare le principali regole di interpretazione, dispone che nell’applicare la legge «non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore», e non vi è dubbio che la volontà del legislatore, nel caso di specie, è quella di realizzare un “percorso telematico” con finalità di semplificazione.
Legittimare la possibilità di scrutinare, caso per caso, l'”effettività” dell’inoltro del ricorso presso indirizzi di posta non abilitati implicherebbe, infatti, l’affidamento della legittimità della progressione processuale ad imprevedibili – in quanto non imposti dal legislatore – controlli della cancelleria su caselle di posta non abilitate al ricevimento delle impugnazioni.
In tal modo si contravviene alla ratio di semplificazione delle comunicazioni e di accelerazione dell’iter processuale, che informa la revisione delle regole del processo penale effettuata dal d.lgs n. 150/2022. Deve, pertanto, ribadirsi il principio stabilito da questa Corte, secondo cui «In tema di impugnazioni, è inammissibile il ricorso per cassazione depositato telematicamente presso un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato nel decreto del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui all’art. 87-bis, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. (In motivazione, la Corte ha precisato che la ratio, sottesa alla citata disposizione, di semplificazione delle comunicazioni tra parti e uffici giudiziari e di accelerazione degli adempimenti di cancelleria non ammette interpretazioni che attenuino il rigore delle cause di inammissibilità previste dalla legge, nemmeno valorizzando l’idoneità della notifica al “raggiungimento dello scopo”)» (Sez. 2, n. 11795 del 21/02/2024, Rv. 286141)
Il diverso indirizzo giurisprudenziale, ribadito da ultimo dalla sentenza Sez. 6, n. 4633 del 09/11/2023, dep. 2024, Rv. 286056, che valorizza l’idoneità della notifica al “raggiungimento dello scopo”, non è convincente e si traduce in una disapplicazione, di fatto, della sanzione della inammissibilità stabilita dal legislatore.
Tale indirizzo ritiene di conformarsi al principio del favor impugnationis, ma la sentenza Sez. U, n. 1626 del 24/09/2020, dep. 2021, Bottari, Rv. 280167, relativa alle impugnazioni cautelari, ha precisato che tale principio «non può, tuttavia, tradursi nell’attribuzione al diritto vivente di una potestà integrativa della volutas legis, né quindi consentire l’individuazione di diverse forma di presentazione del ricorso rispetto a quelle volute dal legislatore», ed ha ribadito che, in ogni caso rimane «a carico del ricorrente il rischio che l’impugnazione, ove presentata ad un ufficio diverso, sia dichiarata inammissibile per tardività, in quanto, escluso comunque che sulla cancelleria incomba l’obbligo di trasmissione degli atti al giudice competente ex art. 582, comma 2, cod. proc. pen., la data di presentazione rilevante ai fini della tempestività è quella in cui l’atto perviene all’ufficio competente a riceverlo».
Pertanto, non sussistendo un obbligo della cancelleria a cui è associato l’indirizzo PEC depositoattipenali.2.ca.bari@giustizia.it di trasmettere tempestivamente il ricorso ricevuto all’indirizzo corretto, ovvero all’ufficio impugnazioni, il rischio di tale omessa trasmissione, o della sua tardività, rimane a carico del ricorrente, il quale non può dolersi della dichiarazione di inammissibilità, in quanto conseguente ad un suo errore e, in questo caso, all’applicazione di una sanzione processuale stabilita esplicitamente dal legislatore.
Deve, peraltro, ricordarsi che anche nel caso della presentazione del ricorso ad un giudice incompetente, in relazione al quale l’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. stabilisce il dovere di trasmissione al giudice competente, questa Corte ha sempre affermato che la data di presentazione di cui tenere conto è quella in cui l’atto perviene al giudice competente, con la conseguenza che in caso di trasmissione tardiva l’impugnazione deve, in ogni caso, essere dichiarata inammissibile (Sez. 1, n. 1419 del 28/02/2000, Rv. 216084).
Nel caso di specie, peraltro, non è applicabile la norma sopra citata, dal momento che «La disposizione dell’art. 568, comma quinto, cod. proc. pen. – secondo cui l’impugnazione proposta a giudice incompetente deve essere da questo trasmessa a quello competente – non può considerarsi principio generale applicabile al di fuori della materia delle impugnazioni, atteso che tale regola vale esclusivamente nel caso in cui l’erronea individuazione del giudice dipenda da errata qualificazione del mezzo di impugnazione dovendo altrimenti ritenersi inammissibile il gravame» (Sez. 4, n. 29246 del 18/096/2013, Rv. 255464).
Nel caso di specie non vi è stato un errore del ricorrente nella qualificazione del mezzo di impugnazione, ma un errore nella individuazione dell’indirizzo telematico competente a ricevere il ricorso.
L’ordinanza impugnata afferma, correttamente, che i vari indirizzi PEC associati alla Corte di appello di Bari attengono ai singoli uffici e ai singoli adempimenti indicati nel provvedimento del DGSIA: pertanto non vi è dubbio che, mentre le comunicazioni dirette alla terza sezione penale di quella Corte di appello devono essere inviate all’indirizzo PEC utilizzato dal ricorrente, le impugnazioni avverso tutte le sentenze emesse devono essere inviate all’indirizzo PEC depositoattipenali.3.ca.bari@giustizia.it All’errore di trasmissione dell’atto consegue, quindi, la sanzione della inammissibilità stabilita dal legislatore per l’utilizzo di un indirizzo telematico diverso da quello previsto”.
A fronte di questo bailamme di parole che rendono incerto l’esercizio della presentazione dell’impugnazion, ricordiamo la proposta per contrastare la deriva “efficientista” dell’inammissibilità del ricorso per inosservanza delle incerte formalità telematiche.
Il prof. Oliviero Mazza, l’avv. Beniamino Migliucci e l’avv. Eriberto Rosso nel settembre 2024 hanno proposto alla Commissione Nordio il rimedio (finora inascoltati), suggerendo di inserire nell’art. 568 c.p.p. il seguente comma 5-bis: “L’impugnazione non può essere dichiarata inammissibile per inosservanza delle formalità telematiche relative alle modalità di deposito della stessa”.
Non c’è che dire contro la schizofrenia della Cassazione e per prevenire rischi coronarici agli avvocati e colpi apoplettici alle parti, bisogna riprendere questa proposta e trasformarla in legge al più presto.
