L’accesso alla giustizia garantito e facilitato ad alcuni e reso sempre più difficoltoso agli avvocati e ai cittadini: questa è la vera criticità.
Continua la serie: c’è chi può e chi non può …io (ufficio giudiziario) può… Tu avvocato (in)abilitato esterno devi.
Potremmo sintetizzare in questa maniera ironica che non fa ridere l’escalation di provvedimenti dei vari uffici giudiziari sparsi nella Penisola che, fatta la legge, hanno trovato l’inganno.
Ingannevole e sempre meno effettiva appare la parità di armi in cui accusa e difesa dovrebbero confrontarsi nel processo penale.
La prima già ontologicamente dotata di una potenza di fuoco non indifferentemente superiore a quella della seconda, libera da lacci e lacciuoli telematici, visiona ed estrae copia di atti e documenti ad libitum, deposita quando e come gli pare.
La difesa, invece, più che impostare la strategia difensiva ormai si perde nell’individuare il browser che non vada in conflitto con sistema, attende fiduciosa che la verifica del deposito termini, spera che il fascicolo sia tra gli autorizzati, trema se ha dimenticato una firma digitale, paga 10 volte di più la copia di Al Pacino (nome di fantasia) sentenza breve, e udite udite non può nemmeno permettersi di avere dei processi in contemporanea senza avatar…
Detto questo… la domanda sorge spontanea, siamo consapevoli della deriva kafkiana che abbiamo intrapreso?
Oggi si parla solo di App 2.0 ma le vere criticità sono i ritardi nell’accettazione e gestione dei depositi degli avvocati, l’immediata abilitazione dell’avvocato nominato (processi che non risultano sul portale), richiesta di 335 cpp che attendono giorni ecc.
Amici non sappiamo voi ma noi, piuttosto che richiamare il colto Franz Kafka, che rischierebbe di non essere compreso, e la sua parabola Davanti alla Legge “La legge, pensa, dovrebbe pur essere accessibile a tutti e sempre” parafrasiamo Rino Gaetano:
Magrif, diggissia, ciissia, appduezero, e ministero, nunverregae più.
