Condanna per delitti commessi durante o dopo la detenzione: non comporta necessariamente il diniego della liberazione anticipata o la sua revoca se già concessa (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 7/2025, udienza dell’11 dicembre 2024, ha affermato che alla condanna riportata dal detenuto per nuovi delitti commessi durante o dopo la detenzione non può conseguire automaticamente il diniego della concessione della liberazione anticipata, o la sua revoca qualora esso sia stato già concesso.

La concessione della liberazione anticipata, ai sensi dell’art. 54, Ord. pen., richiede che il detenuto abbia dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione, ed è logica l’affermazione secondo cui la commissione di ulteriori reati, nel periodo richiesto o immediatamente dopo di esso, possa essere valutata come dimostrazione dell’assenza di tale partecipazione, non potendosi ritenere che abbia partecipato attivamente ad essa un soggetto che continui a delinquere durante il suo periodo di detenzione, oppure riprenda la condotta criminosa dopo la sua scarcerazione.         

La Suprema Corte, però, ha ripetutamente affermato che alla condanna riportata dal detenuto per nuovi delitti commessi durante o dopo la detenzione non può conseguire automaticamente il diniego della concessione del beneficio, o la sua revoca qualora esso sia stato già concesso: la Corte costituzionale, con la sentenza n. 186 del 23 maggio 1995, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 3, Ord. pen., che prevede appunto la revoca della liberazione anticipata nel caso che il detenuto riporti una condanna per un delitto non colposo commesso dopo la sua concessione, nella parte in cui prevede una revoca automatica «anziché stabilire che la liberazione anticipata è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio».

La Corte costituzionale ha ritenuto, infatti, che l’automatismo della revoca del beneficio contrasti con la finalità dello stesso, che è quella di stimolare il detenuto a partecipare all’opera rieducativa nella consapevolezza della forte riduzione di pena che ne può derivare, in quanto rischia di vanificare lo sforzo del detenuto in tal senso, anche a fronte di condanne successive che egli possa riportare per fatti di scarsa rilevanza e non dimostrativi di un suo effettivo rifiuto della risocializzazione.

Alla luce di questa pronuncia la Corte di cassazione ha, pertanto, ritenuto che anche il diniego della liberazione anticipata non possa conseguire automaticamente alla commissione di un nuovo delitto, ma che in relazione ad ogni condanna contestuale o successiva al semestre di riferimento il giudice debba valutare se la condotta tenuta sia priva di una effettiva rilevanza negativa o sia dimostrativa dell’omessa partecipazione all’opera rieducativa, e solo in quest’ultimo caso debba negare la concessione del beneficio.

Così, ad esempio, hanno affermato Sez. 1, n. 4019 del 13/07/2020, dep. 2021 («In tema di liberazione anticipata, il principio della valutazione frazionata per semestri del comportamento del condannato ai fini della concessione del beneficio non esclude che una trasgressione possa riflettersi negativamente anche sul giudizio relativo ai semestri antecedenti o su quelli successivi, purché si tratti di una violazione che manifesti la mancata adesione all’opera di rieducazione e l’espresso rifiuto di risocializzazione del detenuto»), e Sez. 1, n. 4020 del 13/07/2020, dep. 2021 («In tema di liberazione anticipata, anche il comportamento del condannato, posto in essere dopo il ritorno in libertà, può giustificarne retroattivamente il diniego, quando venga considerato quale espressione di una non effettiva partecipazione alla precedente opera di rieducazione»).

Per queste ragioni, inoltre, si è stabilito che «Ai fini della concessione della liberazione anticipata, la valutazione della condotta del detenuto in relazione al semestre di pena espiata cui si riferisce l’istanza, non può essere negativamente influenzata dalla commissione da parte del condannato di reati in un periodo antecedente a quello oggetto della richiesta, e fuori del regime di detenzione in carcere, poiché tale comportamento non offre alcun elemento utile ad apprezzare la mancata adesione del soggetto all’opera rieducativa successivamente sperimentata» (Sez. 1, n. 12776 del 24/02/2021).