Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 43678/2024, udienza del 5 novembre 2024, ha chiarito che il presupposto per l’operatività della deroga agli obblighi di redigere l’atto o il documento in formato digitale e di depositarlo con modalità telematiche è costituito esclusivamente, nel caso di malfunzionamento “certificato”, dalla certificazione del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, e, nel caso del malfunzionamento “non certificato”, dall’attestazione del dirigente dell’ufficio giudiziario. Anche qualora la certificazione o l’attestazione fossero adottate in assenza dei presupposti, cioè in assenza di un effettivo malfunzionamento dei sistemi o del sistema, tale da non consentirne l’efficace utilizzo, non risulterebbe comunque compromessa, alla luce del disposto del comma 3 dell’art. 175 bis c.p.p., la validità (e/o l’ammissibilità e/o la ricevibilità) dell’atto che, sulla base delle suddette certificazione o attestazione, è stato redatto in forma di documento analogico e depositato con modalità non telematica.
Il provvedimento impugnato
Con decreto del 18/05/2024, il GIP dichiarava l’inammissibilità della richiesta di archiviazione di un procedimento relativo ai cosiddetti “ignoti seriali” per la ragione che essa era stata depositata dal PM con modalità non telematica – segnatamente, in forma cartacea anziché tramite l’applicativo “App” – in violazione dell’art. 3 del decreto del Ministro della giustizia 29 dicembre 2023, n. 217.
Il GIP riteneva che la problematica di funzionamento del suddetto applicativo “App” con riguardo alla gestione delle richieste di archiviazione dei procedimenti relativi ai cosiddetti “ignoti seriali” che era stata indicata nel provvedimento del 08/04/2024 a firma congiunta del Procuratore della Repubblica e del Magistrato di riferimento per l’innovazione (di seguito MAGRIF) non costituisse un malfunzionamento del sistema informatico tale da consentire la redazione delle suddette richieste in forma di documento analogico e il deposito delle stesse con modalità non telematiche.
Il GIP premetteva che, per malfunzionamento del sistema informatico, si dovrebbe intendere «un blocco generalizzato del sistema che impedisce in maniera assoluta la redazione dell’atto o il suo caricamento ed il suo inoltro, non anche qualsiasi anomalia che importi un’impossibilità relativa o una mera difficoltà o addirittura la necessità di impiegare un tempo superiore a quello inizialmente stimato per il compimento dell’attività».
Ciò premesso, il GIP affermava che quella che era stata indicata nel menzionato provvedimento del 08/04/2024 a firma del Procuratore della Repubblica e del MAGRIF sarebbe «l’anomalia di funzionamento relativa non già al sistema, ma soltanto alla funzionalità “ignoti seriali” da archiviare in maniera massiva – funzionalità, peraltro recentemente introdotta con il rilascio di uno degli ultimi aggiornamenti dell’applicativo -»; con la conseguenza che, «come attestato anche nel provvedimento sopra richiamato e come riscontrato dalle plurime richieste di archiviazione trasmesse telematicamente nel medesimo periodo, il sistema funziona ove le richieste vengano redatte e lavorate singolarmente; la circostanza, quindi, che possa occorrere un arco temporale maggiore per la lavorazione individuale piuttosto che collettiva delle richieste di archiviazione non costituisce un malfunzionamento del sistema e non legittima la redazione analogica dell’atto».
Ricorso per cassazione
Avverso il menzionato decreto del 18/05/2024 del G.GIP, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica, affidato a due motivi.
Con il primo motivo, il ricorrente deduce: «Abnormità del provvedimento del G.I.P. – Stasi del procedimento – Violazione dell’art. 175-bis commi 3 e 4 c.p.p.».
Secondo il ricorrente, il decreto impugnato sarebbe viziato da abnormità: 1) sia strutturale, attesa la mancanza di una norma – la quale non sarebbe, in particolare, contenuta nell’art. 175-bis cod. proc. pen. – che attribuisse al GIP il potere, da esso esercitato, di «”reazione” […] in caso di deposito analogico di istanze in conseguenza di un provvedimento di accertamento di malfunzionamento promanante […] dal Capo di un Ufficio giudiziario» (mancanza di base normativa che sarebbe comprovata anche dall’omessa indicazione, da parte dello stesso GIP, della tipologia di atto da esso adottato); 2) sia funzionale, atteso che il decreto impugnato creerebbe una stasi del procedimento in quanto il PM non potrebbe né depositare la richiesta di archiviazione con modalità telematiche, essendogli ciò inibito sia dal menzionato provvedimento del 08/04/2024 del Capo del suo Ufficio sia dal malfunzionamento dell’applicativo “App” in esso indicato, né reiterare il deposito della stessa richiesta con modalità cartacea, essendogli ciò stato precluso dal GIP.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce: «Abnormità del provvedimento del G.I.P. – Estraneità all’esercizio della funzione – Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. a c.p.p.». Il ricorrente sostiene anzitutto che il decreto impugnato «deborda dai limiti dell’esercizio del potere giurisdizionale», atteso che, con esso, il GIP «sostanzialmente, finisce per sindacare la legittimità dell’esercizio del potere del Procuratore della Repubblica, quale vertice anche amministrativo dell’ufficio giudiziario, censurandone l’azione perché operata (tecnicamente) in falsa applicazione del dettato normativo».
Posto che l’art. 175, commi 1, 3 e 4, cod. proc. pen., delineerebbe un iter procedimentale penale «che ha come presupposto esterno un atto amministrativo del Capo dell’Ufficio», ne discenderebbe che il GIP «finisce quindi per esercitare un sindacato di legittimità (proprio del giudice amministrativo) sulla corretta interpretazione della norma di legge da cui origina l’atto amministrativo presupposto di sospensione».
La «violazione del principio del rispetto della giurisdizione» risulterebbe evidente anche dal richiamo alla «giurisprudenza amministrativa» che è stato operato dal GIP nel decreto impugnato.
In secondo luogo, il Procuratore della Repubblica deduce che, «anche rispetto al merito», il GIP avrebbe confuso il concetto di malfunzionamento – il quale «non si verifica quando un sistema informatico si blocca completamente, ma quando “non funziona come dovrebbe”» – con quello di mancato funzionamento. Il concetto di malfunzionamento «ben poteva quindi ricomprendere l’impossibilità di gestire i procedimenti con firma unitaria e individuale, ma in maschera massiva con selezione congiunta e firma simultanea: funzionalità non disponibile come accertato anche dal MAGRIF».
Nel richiamare, genericamente, la «giurisprudenza amministrativa», il GIP avrebbe inoltre impropriamente assimilato un ufficio giudiziario a una stazione appaltante.
In terzo luogo, il decreto impugnato sarebbe abnorme anche in quanto illogico e contrario ai principi dell’ordinamento «giacché, diversamente da quanto sostenuto dal GIP, non è il magistrato […] a doversi porre al servizio del sistema telematico/informatico, sopportando e adattandosi alle sue discrasie, carenze e manchevolezze, bensì dev’essere il sistema al servizio dell’amministrazione della giustizia e del cittadino».
Decisione della Corte di cassazione
Il primo motivo è fondato.
Come è noto, l’implementazione del processo penale telematico ha costituito uno dei principali settori di intervento – per certi versi, forse, il più innovativo – della cosiddetta “Riforma Cartabia”.
In tale prospettiva, la legge 27 settembre 2021, n. 134, aveva delegato il Governo a regolamentare anche «i casi di malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del Ministero della giustizia» (art. 1, comma 5, lett. e).
Tale delega è stata attuata con l’art. 11, comma 1, lett. c), del d.lgs. 20 ottobre 2022, n. 150, disposizione che ha inserito nel codice di procedura penale l’art. 175-bis.
Ai sensi dell’art. 87, comma 5, dello stesso d.lgs. n. 150 del 2022, le disposizioni di tale art. 175-bis cod. proc. pen. sarebbero divenute applicabili «a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3, ovvero a partire dal diverso termine di cui al comma 3 per gli uffici giudiziari e per le tipologie di atti in esso indicati».
Il regolamento di cui ai commi 1 e 3 dell’art. 87 del d.lgs. n. 150 del 2022 è stato adottato con il decreto del Ministro della giustizia n. 271 del 2023, che è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica 30 dicembre 2023, n. 303, con la conseguenza che l’art. 175-bis cod. proc. pen. è ormai applicabile dal 14/01/2024.
L’art. 3 dello stesso regolamento di cui al decreto ministeriale n. 271 del 2023 ha stabilito, per quanto qui interessa, che, sempre a decorrere dal 14/01/2024, le richieste di archiviazione (tra cui quelle di cui all’art. 415 cod. proc. pen.) sono depositate con modalità telematiche (ai sensi dell’art. 111-bis cod. proc. pen.).
Ciò premesso, si deve rilevare che l’art. 175-bis cod. proc. pen. ha disciplinato due categorie di malfunzionamento dei sistemi informatici.
La prima di esse è quella prevista nei primi due commi di tale articolo, i quali attengono al malfunzionamento cosiddetto “certificato” (dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia), cioè quello che abbia riguardato il malfunzionamento generalizzato dei domini del Ministero della giustizia. I
In questo caso, il malfunzionamento deve essere, oltre che «certificato» dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, «attestato» sul portale dei servizi telematici dello stesso Ministero e «comunicato» dal dirigente dell’ufficio giudiziario con modalità tali da assicurarne la tempestiva conoscibilità ai soggetti interessati.
Al medesimo iter procedurale è sottoposto il ripristino del corretto funzionamento dei domini (comma 1). Le certificazioni, attestazioni e comunicazioni di cui si è detto devono contenere l’indicazione della data e, ove risulti, dell’orario dell’inizio e della fine del malfunzionamento, registrati, in relazione a ciascun settore interessato, dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia (comma 2).
La seconda delle due categorie di malfunzionamento dei sistemi informatici disciplinata dall’art. 175-bis cod. proc. pen. è quella prevista nel comma 4 di tale articolo, il quale attiene al malfunzionamento cosiddetto “non certificato”, cioè quello che abbia investito uno specifico ufficio giudiziario o, comunque, un ambito locale (come si ricava, oltre che dall’utilizzo della parola «sistema» al singolare – e non al plurale come nel caso del malfunzionamento “certificato” -, soprattutto dall’individuazione nel dirigente dell’ufficio del soggetto preposto ad accertare lo stesso malfunzionamento “non certificato”).
In questo caso, che è quello che viene qui in rilievo, il malfunzionamento è infatti «accertato ed attestato dal dirigente dell’ufficio giudiziario», oltre che «comunicato», analogamente a quanto è stabilito per il malfunzionamento “certificato”, «con modalità tali da assicurare la tempestiva conoscibilità ai soggetti interessati della data e ove risulti, dell’orario dell’inizio e della fine del malfunzionamento».
Venendo a ciò che qui specificamente interessa, si deve osservare che l’art. 175-bis cod. proc. pen. fa discendere dalle due ipotesi del malfunzionamento “certificato” e del malfunzionamento “non certificato” lo stesso effetto, che è quello di consentire eccezionalmente – in deroga agli obblighi di redigere l’atto o il documento in formato digitale e di depositarlo con modalità telematiche -, di redigere l’atto o il documento in forma di documento analogico e di depositarlo con modalità non telematiche (comma 3, per quanto riguarda il malfunzionamento “certificato”, e comma 4 – che richiama il comma 3 – per quanto riguarda il malfunzionamento “non certificato”).
Resta peraltro fermo l’obbligo, previsto dai richiamati (dal comma 3 dell’art. 175-bis cod. proc. pen.) artt. 110, comma 4, e 111-ter, comma 3, cod. proc. pen., di convertire il documento analogico in formato digitale, così da assicurare la continuità del fascicolo informatico.
Orbene, ritiene il collegio che, da quanto si è appena esposto, discenda che il presupposto per l’operatività della deroga agli obblighi di redigere l’atto o il documento in formato digitale e di depositarlo con modalità telematiche sia costituito esclusivamente, nel caso del malfunzionamento “certificato”, dalla certificazione del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, e, nel caso del malfunzionamento “non certificato”, dall’attestazione del dirigente dell’ufficio giudiziario. Anche qualora la certificazione o l’attestazione fossero adottate in assenza dei presupposti, cioè in assenza di un effettivo malfunzionamento dei sistemi o del sistema, tale da non consentirne l’efficace utilizzo, non risulterebbe comunque compromessa, alla luce del disposto del comma 3 dell’art. 175-bis cod. proc. pen., la validità (e/o l’ammissibilità e/o la ricevibilità) dell’atto che, sulla base delle suddette certificazione o attestazione, è stato redatto in forma di documento analogico e depositato con modalità non telematica.
Da ciò discende – tornando al caso di specie -, che, a norma dell’art. 175- bis, commi 3 e 4, cod. proc. pen., il GIP non aveva alcun potere di ritenere l’inammissibilità (o l’irricevibilità o l’invalidità) della richiesta di archiviazione che era stata presentata dal PM in quanto redatta e depositata in forma cartacea nonostante l’asserita (dallo stesso GIP) insussistenza dei presupposti per l’attestazione di malfunzionamento di cui al provvedimento del 08/04/2024 del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale. L’impugnato decreto di inammissibilità della stessa richiesta di archiviazione, ad avviso del Collegio, travalica, pertanto, nell’abnormità. Ciò, anzitutto, sotto il profilo strutturale, in quanto lo stesso decreto, come si è detto, è avulso dai poteri che spettavano al GIP che lo ha adottato.
Il decreto impugnato è abnorme, in secondo luogo, anche sotto il profilo funzionale, in quanto ha determinato una stasi non rimediabile del procedimento penale. Infatti, posto che, a norma del comma 4 dell’art. 415 cod. proc. pen., nell’ipotesi di cui all’art. 107-bis disp. att. cod. proc. pen., la richiesta di archiviazione deve essere avanzata cumulativamente, il PM non potrebbe né depositare una tale richiesta cumulativa di archiviazione con modalità telematiche, essendogli ciò inibito sia dal provvedimento del 08/04/2024 del dirigente del suo Ufficio sia dall’applicativo “App”, né reiterare il deposito della stessa richiesta con modalità cartacea, essendogli ciò stato precluso dall’impugnato decreto del GIP.
Pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato senza rinvio e gli atti devono essere trasmessi al Tribunale per l’ulteriore corso.
L’esame del secondo motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
