Risarcimento ex art. 35-ter O.P. e compensazione con pene pecuniarie gravanti sul detenuto (Riccardo Radi)

La Cassazione con la sentenza numero 39289/2024 ha ricordato che in tema di rimedi risarcitori nei confronti di detenuti o di internati di cui all’art. 35-ter ord. pen., il Ministero della giustizia, convenuto in giudizio, può opporre in compensazione, ai sensi dell’art. 1243 cod. civ., il credito certo, liquido ed esigibile maturato nei confronti del detenuto in conseguenza della sua condanna al pagamento di una pena pecuniaria, essendo a tal fine sufficiente la produzione dell’ordine di esecuzione emesso dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 656 cod. proc. pen., trattandosi del provvedimento con cui viene messa in esecuzione la condanna.

La Suprema Corte ritiene che l’obbligazione dello Stato al pagamento delle somme riconosciute al detenuto ex art. 35-ter ord. pen. sia suscettibile di essere compensata con l’obbligazione che grava sul detenuto nei confronti dello Stato al pagamento della pena pecuniaria cui lo stesso sia stato eventualmente condannato (Sez. 1, n. 11108 del 23/11/2022, dep. 2023 (conformi Sez. 1, n. 7371 del 21/12/2022, dep. 2023; Sez. 1, n. 13095 07/12/2023, dep. 2024).

Nel reclamo il Ministero della Giustizia aveva opposto l’esistenza, a carico di C., di una obbligazione di questo tipo rimasta inevasa.

Il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto che non sia stata provata l’esistenza di tale credito, in quanto non dimostrata l’apertura presso l’ufficio recupero crediti di una partita di credito, o non prodotta una visura dell’Agenzia delle entrate per accertare l’esistenza di un’iscrizione a ruolo, o la notifica di una cartella esattoriale.

Il ricorso deduce non essere necessario tale adempimento e ritiene prova sufficiente dell’esistenza del credito da opporre in compensazione l’aver prodotto l’ordine di esecuzione ex art. 656 cod. proc. pen. 10 novembre 2017 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli da cui risultava che il detenuto doveva pagare la multa di euro 7.000.

Il motivo è fondato.

Come chiarito dalla giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte, l’art. 1243 cod. civ. stabilisce i presupposti sostanziali ed oggettivi del credito opposto in compensazione, ossia la liquidità, inclusiva del requisito della certezza, e l’esigibilità (Sez. U, n. 23225 del 15/11/2016, Rv. 641764 – 02).

Il requisito della certezza di un credito “attiene all’ esistenza dell’obbligazione, e quindi al titolo costitutivo del credito” (ibidem, in motivazione).

Nel caso di una pena pecuniaria, pertanto, il titolo costitutivo del credito è dato non dalla iscrizione a ruolo, né dalla emissione della cartella di pagamento, ma dalla sentenza di condanna divenuta irrevocabile.

Il credito è poi liquido quando è “determinato nell’ammontare in base al titolo” (ibidem, sempre in motivazione).

Una sentenza di condanna a pena pecuniaria contiene, pertanto, già un credito che, oltre ad essere certo, è anche liquido, perché, non essendo ammissibile la condanna a pena generica, ne deve indicare necessariamente anche l’ammontare.

Il credito è poi esigibile quando non sono apposte condizioni al suo pagamento, come avviene per una condanna a pena pecuniaria cui non sia apposto il beneficio della pena sospesa.

Pertanto, una condanna a pena pecuniaria, determinata nel suo ammontare, e non sottoposta a condizioni, è già di per sé un titolo che può essere speso dal Ministero della Giustizia in compensazione nella procedura di cui all’art. 35-ter ord. pen.

L’esistenza di una tale condanna può essere dimostrata nel procedimento ex art. 35-ter ordinamento penitenziario attraverso la produzione in giudizio dell’ordine di esecuzione emesso dal pubblico ministero, atteso che si tratta di un provvedimento con cui viene messa in esecuzione la condanna, e che dà conto anche delle sopravvenienze, quali eventuali ordinanze di riconoscimento della continuazione.

L’ordine di esecuzione contiene, in definitiva, la posizione giuridica attuale del condannato, in conformità, d’altronde, alla giurisprudenza civile della cassazione che ha già ritenuto, in una procedura proprio di cui all’art. 35-ter, che per provare il controcredito dello Stato sia sufficiente la “tempestiva produzione della posizione giuridica dell’intimato” (Sez. 3, n. 2350 del 29/01/2019).

A differenza di quanto sostenuto nella ordinanza impugnata, pertanto, l’iscrizione a ruolo e la sentenza di pagamento non servono a provare l’esistenza di un credito certo, perché sono soltanto atti della procedura di esecuzione coattiva di tale credito, che è una procedura meramente eventuale, che presuppone l’inadempimento spontaneo dell’obbligo di pagamento e che comunque non incide sull’attuale esistenza del credito esigibile.

Né, per attribuire rilevanza decisiva a tali atti, soccorre adeguatamente l’argomento usato dal Tribunale di sorveglianza nella ordinanza impugnata, ovvero che l’obbligazione per il pagamento della pena pecuniaria potrebbe essere stata nel frattempo pagata, perché l’avvenuto pagamento, anche parziale, deve essere oggetto di prova e non può essere introdotto in giudizio in modo meramente ipotetico e congetturale.

Ne consegue che l’ordinanza impugnata non resiste alle censure che le sono state rivolte, e che il ricorso deve essere accolto con rinvio per nuovo giudizio, in cui il Tribunale di sorveglianza valuterà, in base ai principi di diritto enunciati, se esista nel caso in esame un controcredito attuale del Ministero della Giustizia al pagamento della pena pecuniaria ed a quanto esso esattamente ammonti.