Frequentazioni ambigue o con persone coinvolte in attività illecite è una condotta che spesso comporta la negazione dell’indennizzo (colpa grave) o la diminuzione della quantificazione dell’indennizzo (colpa lieve), da parte dei giudici chiamati a decidere sull’istanza di ingiusta detenzione.
Giudici che spesso dimenticano di esplicitare le ragioni per le quali le frequentazioni suindicate dovessero ritenersi avere concorso nel determinare la detenzione.
La Cassazione sezione 4 con la sentenza numero 47335/2024 ha stabilito che in linea astratta, la frequentazione di persone coinvolte in attività illecite è condotta idonea a concretare il comportamento ostativo al diritto alla riparazione, deve però anche chiarirsi che non tutte le frequentazioni sono tali da integrare la colpa ma solo quelle che (secondo il tenore letterale dell’art. 314 cod. proc. pen., a mente del quale rileva il comportamento che, per dolo o colpa grave, abbia dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare subita) siano da porre in relazione, quanto meno, di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato.
Ricordiamo che in tema di riparazione per ingiusta detenzione, costituisce causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo la sussistenza di un comportamento – da parte dell’istante – che abbia concorso a darvi luogo con dolo o colpa grave. In relazione specifica rispetto alla fattispecie concreta in esame deve rilevarsi come il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico; il giudice di merito deve, in modo autonomo e in modo completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione e rilevare se la condotta tenuta dal richiedente abbia ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa apparenza della configurabilità della stessa come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Sez. U, n.32383 del 27/5/2010, D’Ambrosio).
Nel caso esaminato, la Corte territoriale ha ritenuto perfezionato il presupposto ostativo della colpa grave, per avere il P. mantenuto costanti contatti illeciti con soggetti poi ritenuti come appartenenti ad un organismo criminale dedito al traffico di sostanze stupefacenti e, specificamente, con A.F.
In particolare, il giudice della riparazione ha fatto richiamo al contenuto della sentenza, con la quale pure il P. era stato assolto in relazione alla fattispecie associativa, facendo espresso rimando al contenuto delle conversazioni intercettate e intercorse con il Signor A.F. (facenti riferimento al traffico di sostanze stupefacenti) oltre che ai comprovati rapporti personali con quest’ultimo. Facendo altresì espresso riferimento alle circostanze che avevano condotto all’arresto del P., in quanto trovato in possesso di borsoni contenenti armi e sostanza stupefacente, nonché al viaggio effettuato insieme con A.F. il e che, dal complesso della motivazione della sentenza di merito, era finalizzato ad avviare una trattativa con altra associazione dedita al traffico di droga al fine di acquisire una quantità da destinare allo spaccio.
Il giudice della riparazione ha quindi fatto riferimento alle conclusioni del giudice di merito, nella parte in cui aveva ritenuto che sussistessero plurimi indizi dell’appartenenza del P. all’associazione, ma che non fossero emersi elementi di prova in ordine alla consapevolezza di aderire a un programma criminoso; nel fare riferimento a tale conclusioni, il giudice della riparazione ha quindi fatto propria l’argomentazione logica in base alla quale i comportamenti del P., già posti alla base del titolo cautelare, fossero univocamente riconducibili solo a un rapporto personale con A.F.
Va osservato che la Suprema Corte ha più volte ribadito che la frequentazione ambigua di soggetti coinvolti in traffici illeciti si presta oggettivamente ad essere interpretata come indizio di complicità e può, dunque, integrare la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione (Sez. 4, n. 850 del 28/09/2021, dep. 2022; Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018; Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015; Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014; Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014; Sez. 4, n. 51722 del 16/10/2013); nella maggior parte dei casi, si trattava di detenzione cautelare disposta nei confronti di persone indagate quali partecipi di associazioni per delinquere, in un ambito investigativo in cui gli intrecci, gli interessi e le connivenze tra sodali assumono valore altamente indiziario proprio in rapporto ai tratti tipici del delitto associativo.
Dall’esame delle pronunce in cui il principio è stato affermato deve peraltro anche trarsi il limite all’applicazione del medesimo principio; se, infatti, in linea astratta, la frequentazione di persone coinvolte in attività illecite è condotta idonea a concretare il comportamento ostativo al diritto alla riparazione, deve però anche chiarirsi che non tutte le frequentazioni sono tali da integrare la colpa ma solo quelle che (secondo il tenore letterale dell’art.314 cod. proc. pen., a mente del quale rileva il comportamento che, per dolo o colpa grave, abbia dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare subita) siano da porre in relazione, quanto meno, di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013, dep. 2014); al giudice della riparazione spetta, dunque, il compito di rilevare il tipo e la qualità di dette frequentazioni, con lo scopo di evidenziare l’incidenza del comportamento tenuto sulla determinazione della detenzione (Sez. 4, n. 7956 del 20/10/2020, dep. 2021; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014; Sez. 4, n. 34656 del 03/06/2010; Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001).
Nella specie, la motivazione con cui la Corte d’appello ha rigettato la richiesta di riparazione non ha fatto corretta applicazione dei principi di cui sopra, non avendo esplicitato le ragioni per le quali le frequentazioni indicate dovessero ritenersi avere concorso nel determinare la detenzione.
Le argomentazioni in precedenza richiamate – nel fare riferimento al contenuto della sentenza assolutoria – hanno difatti dato conto della vicinanza del P. rispetto a un singolo membro dell’associazione e al carattere illecito dei rapporti intrattenuti con il medesimo, ma senza adeguatamente esplicitare quali siano state le condotte – qualificabili come gravemente colpose – da porre in diretto rapporto sinergico con l’evento rappresentato dalla detenzione cautelare.
Ne consegue che l’ordinanza impugnata, nel fare riferimento ai continuativi rapporti tenuti con il suddetto associato, non ha però dato adeguatamente conto – sulla base dei principi ricavabili dai citati arresti – dell’effettiva contiguità del ricorrente rispetto al complessivo contesto associativo, in relazione al quale è stata disposta la detenzione del medesimo.
Dovendosi ritenere, sempre sulla base dei citati precedenti, che non sia stato adeguatamente motivato il dato della frequentazione ambigua rispetto al complessivo contesto illecito e alla sussistenza – da ritenere logicamente necessaria in diretta conseguenza dei principi sopra riassunti – quanto meno di un coefficiente psicologico denotante la consapevolezza della sussistenza del contesto medesimo (consapevolezza, come detto, del tutto esclusa dal giudice della cognizione).

La sentenza di interesse è la nr. 47335/2024 (per errore di battitura è stata erroneamente indicata la nr. 47355/2024 di altra sezione penale)
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