La Cassazione sezione 4 con la sentenza numero 47333/2024 ha stabilito che in tema di richiesta di pene sostitutive ex art. 545 cpp, l’imputato non è gravato dell’obbligo di produrre alcuna documentazione, tanto meno a pena di inammissibilità, né detto effetto può scaturire dalla stipula di intese con i locali Consigli dell’ordine che, seppur mirati ad una più efficiente organizzazione dell’attività giudiziaria, non possono certo introdurre regole con effetto derogatorio alle disposizioni del codice di rito.
Fatto
La difesa lamenta violazione di legge in ordine al rigetto della richiesta di sostituzione della pena detentiva breve con il lavoro di pubblica utilità.
Deduce, al riguardo, che l’applicazione delle pene sostitutive avviene, per legge, secondo un meccanismo articolato ( cd ” a struttura bifasica”) in cui il giudice, valutata secondo i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. la ricorrenza delle condizioni per l’accesso alle pene individuate dall’art. 20 bis cod. pen., instaura una fase di contraddittorio tra le parti, ove necessario con l’apporto dell’UEPE, applicando la pena più adeguata.
La sentenza impugnata, nel provvedere sulla rituale richiesta di sostituzione della pena detentiva breve formulata con i motivi aggiunti, aveva negato il beneficio poiché non erano state rispettate le condizioni di cui al Protocollo di intesa stipulato dalla Corte d’appello di Milano.
Dalla mera inosservanza del Protocollo non poteva in alcun modo discendere il rigetto della richiesta, non rientrando ciò nella previsione di legge.
Decisione
L’art 545-bis cod. proc. pen., introdotto dal d.lgs n.150 /2022 ( cd riforma Cartabia), stabilisce, al comma 1, che “quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ne dà avviso alle parti” (c.d. dispositivo a struttura “bifasica”).
L’art. 58 della L.n. 689 del 1981(rubricato “Potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive“), come modificato dal d.lgs. n. 150 sopra citato, stabilisce al primo comma che «il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell’articolo 133 del codice penale, se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati.
La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato».
A sua volta, l’art. 20-bis cod. pen., indica che le pene sostitutive (la cui disciplina è contenuta, come noto, nella L.n. 689 del 1981) sono:
1) la semilibertà sostitutiva;
2) la detenzione domiciliare sostitutiva;
3) il lavoro di pubblica utilità sostitutivo;
4) la pena pecuniaria sostitutiva.
Come chiarito dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2022, tale tipologia di sanzioni si inquadra come è noto tra gli istituti – il più antico dei quali è rappresentato dalla sospensione condizionale della pena – che sono espressivi della c.d. lotta alla pena detentiva breve; cioè del generale sfavore dell’ordinamento verso l’esecuzione di pene detentive di breve durata.
È infatti da tempo diffusa e radicata nel contesto internazionale l’idea secondo cui una detenzione di breve durata comporta costi individuali e sociali maggiori rispetto ai possibili risultati attesi, in termini di risocializzazione dei condannati e di riduzione dei tassi di recidiva.
Quando la pena detentiva ha una breve durata, rieducare e risocializzare il condannato – come impone l’articolo 27 della Costituzione – è obiettivo che può raggiungersi con maggiori probabilità attraverso pene diverse da quella carceraria, che eseguendosi nella comunità delle persone libere escludono o riducono l’effetto desocializzante della detenzione negli istituti di pena, relegando questa al ruolo di extrema ratio.
La Costituzione, nel citato articolo 27, parla al terzo comma, al plurale, di “pene” che devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non menziona il carcere e, comunque, non introduce alcuna equazione tra pena e carcere.
La pluralità delle pene, pertanto, è costituzionalmente imposta perché funzionale, oltre che ad altri principi (es., quello di proporzione), al finalismo rieducativo della pena,: precisandosi, altresì, che «la valorizzazione delle pene sostitutive all’interno del sistema sanzionatorio penale, operata della legge delega, rende opportuna l’introduzione nel codice penale di una disposizione di raccordo con l’articolata disciplina delle pene stesse, che continua a essere prevista nella legge 689 del 1981.
Per ragioni di economia e di tecnica legislativa, oltre che di rispetto della legge delega, la disciplina delle pene sostitutive non viene inserita nel codice penale, dove nondimeno è opportuno, per ragioni sistematiche, che alla disciplina stessa venga operato un rinvio nella parte generale, trattandosi di pene applicabili alla generalità dei reati.
Per tale ragione si introduce un nuovo art. 20 bis c.p. (“Pene sostitutive delle pene detentive brevi”) – inserito nel Titolo II (Delle pene), Capo I (Delle specie di pene, in generale), dopo la disciplina generale delle pene principali e delle pene accessorie. Scopo della nuova disposizione è di includere espressamente le pene sostitutive nel sistema delle pene, delineato dalla parte generale del codice, richiamando la disciplina della legge 689 del 1981.
Sulla base della disciplina sopra illustrata, la sostituzione della reclusione con una pena sostitutiva non costituisce diritto dell’imputato ma – come pacificamente ritenuto in riferimento alle “sanzioni sostitutive” disciplinate dall’originario art. 53 I.n. 689 del 1981 – rientra nell’ambito della valutazione discrezionale del giudice, alla luce dei criteri sopra indicati.
La sostituzione delle pene detentive brevi è infatti rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in esame, tra l’altro„ le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato (ex multis, Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, Pritoni, Rv. 263558 – 01).
Tale principio è certamente applicabile anche alle nuove “pene sostitutive“, atteso che la disciplina normativa introdotta continua a subordinare la sostituzione a una valutazione giudiziale ancorata ai parametri di cui all’art. 133 c.p.
Alla luce di tali principi, nell’ipotesi in cui l’imputato abbia formulato richiesta in tal senso nei motivi di appello, o, come nel caso in esame, nei motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., il giudice di secondo grado deve dar conto delle ragioni per le quali non sussistono i presupposti per l’applicazione della pena sostitutiva richiesta.
La Suprema Corte – sempre in riferimento alle sanzioni sostitutive di cui all’art. 53 Legge n. 689 del 1981 – ha in più occasioni affermato che poiché, come si è detto, la valutazione della sussistenza dei presupposti per l’adozione di una sanzione sostitutiva è legata agli stessi criteri previsti dalla legge per la determinazione della pena, la richiesta di sostituzione della pena detentiva impone al giudice di motivare sulle ragioni del diniego (Sez. 1, n. 25833 del 23/04/2012; Sez. 2, n. 7811, 01/10/1991; Sez. 2, n. 25085, 18/06/2010) e la relativa statuizione – positiva o negativa – laddove connotata da motivazione manifestamente illogica potrebbe essere oggetto di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 35849 del 17/05/2019).
Ed è stato recentemente sottolineato dalla cassazione come, ai sensi del novellato art. 58 della L.n.689 del 1981, il giudice deve valutare quale sia la pena più idonea alla rieducazione del condannato e se sia possibile, attraverso opportune prescrizioni, prevenire il pericolo di commissione di altri reati.
Nel motivare sull’applicazione (o mancata applicazione) delle pene sostitutive, dunque, occorre ancora oggi tenere conto dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ma occorre altresì valutarli non solo nella prospettiva della meritevolezza del beneficio della sostituzione, ma anche nella prospettiva dell’efficacia della pena sostitutiva e della possibilità di considerarla più idonea alla rieducazione rispetto alla pena detentiva (così Sez. 4 – n. 42847 del 11/10/2023 Sez. 4, n.636 del 29/11/2023).
Tanto premesso in ordine all’evoluzione normativa e all’assetto giurisprudenziale della materia, completa il quadro la previsione di cui all’art. 545 bis cod. proc. pen. secondo cui, a fine di decidere in ordine alla applicazione della pena sostitutiva, il giudice può disporre ulteriori accertamenti, acquisendo dall’UEPE o anche dalla polizia giudiziaria ogni informazione necessaria in ordine alle condizioni di vita personali, familiari, sociali, ed economiche dell’imputato.
E’ altresì prevista la facoltà delle parti di depositare documentazione presso l’ufficio di esecuzione penale esterna nonché di depositare memoria in cancelleria fino a 5 giorni prima dell’udienza.
E ciò, all’evidenza, al fine di fornire al giudice che lo ritenga necessario completezza di dati ed elementi in ordine, come esposto, alla meritevolezza del beneficio, alla prognosi di adempimento delle prescrizioni, alla effettiva finalità di rieducazione della pena sostitutiva.
La sentenza impugnata, pronunciando in ordine alla richiesta formulata dall’imputato con i motivi aggiunti, ha così statuito: ” la richiesta di sostituzione della pena, avanzata con i motivi aggiunti, è inammissibile, non avendo l’appellante corredato la stessa con i documenti richiesti dai Protocolli di intesa stipulati da questa Corte, che non è pertanto nelle condizioni di valutare la fondatezza della richiesta stessa“. La motivazione offerta dalla Corte territoriale incorre nel vizio denunciato nel ricorso.
L’acquisizione di documentazione utile alla valutazione della richiesta di applicazione della pena sostitutiva è infatti solo eventuale e costituisce una facoltà del giudice, che può richiederla, secondo il chiaro disposto di cui all’art. 545 bis cod. proc. pen., all’Ufficio esecuzione penale esterna o alla polizia giudiziaria.
Secondo le prescrizioni del codice di procedura penale, infatti, l’imputato non è gravato dell’obbligo di produrre alcuna documentazione, tanto meno a pena di inammissibilità, né detto effetto può scaturire dalla stipula di intese con i locali Consigli dell’ordine che, seppur mirati ad una più efficiente organizzazione dell’attività giudiziaria, non possono certo introdurre regole con effetto derogatorio alle disposizioni del codice di rito.
Ne deriva che la Corte territoriale avrebbe dovuto argomentare in base ai parametri di cui all’art. 58 della L.689 del 1981 come sopra illustrati e, ove ritenuto necessario, disporre eventualmente l’acquisizione di documentazione utile ai sensi dell’art. 545 bis, cod. proc. pen.
Mancando del tutto ogni valutazione in proposito, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Milano, altra sezione.
