Riabilitazione ed eliminazione conseguenze di ordine civile derivanti dal reato (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 1 con la sentenza numero 47389/2024 ha ricordato che, in tema di riabilitazione, l’adempimento dell’obbligazione risarcitoria, o comunque l’attivarsi del condannato al fine di eliminare tutte le conseguenze di ordine civile derivanti dal reato, costituisce condizione imprescindibile per la concessione del beneficio anche quando sia mancata nel processo la costituzione di parte civile e non vi sia stata alcuna pronuncia in ordine alle obbligazioni civili conseguenti al reato.

Inoltre, ai fini della concessione del beneficio della riabilitazione, l’adoperarsi del condannato per l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato non deve essere valutato solo alla stregua delle regole proprie del codice civile, ma anche quale onere impostogli in funzione del valore dimostrativo dell’emenda e della condotta successiva alla condanna (Sez. 1, n. 37081 del 31/05/2024).

Nel caso in esame il Tribunale di sorveglianza di Palermo fonda il respingimento della richiesta di riabilitazione valorizzando l’assenza di concreta prova di emenda, in particolare per mancanza di fattive iniziative di S. relative al ristoro del danno determinato dalle opere edilizie abusive all’intera collettività, in persona non solo del Comune di Trabia, ma di associazioni esponenziali degli interessi diffusi pregiudicati dai reati di cui alla condanna, determinanti, invero, un danno urbanistico, paesistico, ambientale e sismico.

Osserva detto Tribunale, a fronte del rilievo difensivo di cui all’opposizione secondo cui S., conformando le opere abusive al dettame normativo e ottenendo dal Comune di Trabia, unico soggetto eventualmente leso, svariati provvedimenti attestanti la regolarità delle opere (revoca dell’ingiunzione a demolire, concessione edilizia in sanatoria e dichiarazione di abitabilità), avrebbe eliminato tutte le conseguenze dei reati ostative alla riabilitazione, che già il Tribunale di Palermo nel giudizio concernente detti reati dichiarava non doversi procedere limitatamente ai reati di cui all’art. 20, lett. c), I. n. 47 del 1985, per la realizzazione abusiva delle opere, e di cui all’art. 734 cod. pen., per l’alterazione delle bellezze naturali, mentre condannava S. per gli altri reati satellite, afferenti alla violazione delle norme sulle costruzioni in zone sismiche e sul conglomerato cementizio armato.

Aggiunge che il concetto di obbligazioni civili, in materia di riabilitazione, deve essere inteso in senso ampio e non strettamente civilistico, avendo il risarcimento, dovuto per consolidata giurisprudenza anche in assenza di una statuizione condannatoria, valenza sintomatica dell’emenda del reo.

E conclude nel senso sopra indicato, sottolineando che l’attività riparatoria può consistere in un dare o facere in favore di enti pubblici o privati esponenziali degli interessi diffusi incisi dalle condotte di reato, anche al semplice rispetto della legalità nello svolgimento dell’attività edilizia, e che il ravvedimento del reo non può concretizzarsi nelle attività intese a regolarizzare l’immobile anche relativamente alla normativa paesistica, a quella antisismica e a quella afferente al conglomerato cementizio armato.

Alla luce di tali argomentazioni, scevre da vizi logici e giuridici, appare evidente l’infondatezza del ricorso, che dimostra di non confrontarsi non solo con l’affermazione della sussistenza di ulteriori reati rispetto a quelli estinti e della mancata eliminazione di tutti gli effetti pregiudizievoli delle condotte di reato poste in essere, ma anche con la precisazione che nel procedimento in relazione al quale si chiede la riabilitazione figurano altri profili di danno e di soggetti danneggiati, in relazione ai quali non emerge che il condannato si sia attivato con azioni, anche solo di valenza simbolica, dimostrative di una reale emenda.