
La Cassazione sezione 4 con la sentenza numero 46571/2024 si è soffermata sulla prova atipica di un “riconoscimento” riferito in udienza da un teste della P.G. ed eseguito mettendo a confronto una foto segnaletica e il video di una telecamera di sorveglianza.
La Suprema Corte ha premesso che nel caso di specie, come emerge dalla lettura della decisione impugnata, la fonte confidenziale non è servita al riconoscimento, ma ha solo fornito lo spunto affinchè la P.G. acquisisse la foto segnaletica del B. e procedesse al confronto con le immagini dei filmati del sistema di videosorveglianza, effettuando il tal modo il riconoscimento in modo autonomo rispetto alle indicazioni della fonte confidenziale.
E’ stato chiaramente affermato, infatti, con un principio che si ribadisce, che “l’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – da parte della polizia giudiziaria in fase di indagini è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicchè la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa assunta in sede di deposizione testimoniale; trattandosi di una prova atipica ex art. 189 cod. proc. pen., essa deve essere tenuta distinta dalla ricognizione personale, disciplinata espressamente nelle sue forme dall’art. 213 cod. proc. pen., né le forme tipizzate di quest’ultima devono essere osservate necessariamente nella metodologia di assunzione dell’individuazione personale o fotografica, potendo eventualmente essere utili alla sua efficacia dimostrativa secondo il criterio del libero apprezzamento del giudice.” ( Sez.5. n. 23090 del 10-07-2020 – Rv. 279437 – 01; Sez. 4, n. 1867 del 21/2/2013, dep. 2014, Jonovic, Rv. 258173).).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno svolto il dovuto vaglio di attendibilità del riconoscimento effettuato dalla polizia giudiziaria, su cui aveva riferito il teste D.S. ricavandone la convinzione sulla certezza dell’individuazione dell’imputato B.
Sempre in tema, ricordiamo la cassazione sezione 5 sentenza numero 23090/2020 che ha stabilito che il riconoscimento fotografico operato in sede di indagini di polizia giudiziaria, ancorché non sia regolato dal codice di rito, costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio ai sensi dell’art. 189 cod. proc pen. (Sez. 5, n. 6456 del 01/19/2015, Verde, Rv. 266023) e catalogabile, dunque, nel novero delle cd. prove atipiche.
La certezza del riconoscimento fotografico non discende dal riconoscimento come strumento probatorio, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (ex multis: Sez. 6, n. 17103 del 31/20/2018, dep. 2019, Aouchini, Rv. 275548; Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015, dep. 2016, Coccia, Rv. 267562; Sez. 4, n. 16902 del 04/02/2004, Pantaleo, Rv. 228043).
Egualmente ciò vale per il riconoscimento personale effettuato dalla polizia giudiziaria, di cui si verte nel caso di specie, essendo stato sentito in dibattimento il teste L., autore del riconoscimento personale in caserma.
E’ stato affermato, infatti, che l’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, una specie del più generale concetto di dichiarazione; pertanto la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 4, n. 1867 del 21/2/2013, dep. 2014, Jonovic, Rv. 258173).
Da ciò consegue che, anche nelle ipotesi in cui il riconoscimento sia operato da agenti della polizia giudiziaria, il giudice non è esonerato dalla valutazione della efficacia dimostrativa di tale atto.
E tuttavia, il rispetto delle modalità formali previste dall’art. 213 cod. proc. pen. per la ricognizione di persona effettuata dinanzi al giudice nel corso del processo – costituente una prova tipica – non è un’opzione obbligata, come sembra invece sostenere il ricorrente, elencando requisiti dell’atto di riconoscimento che evocano tale disposizione e che sarebbero stati disattesi.
Nella giurisprudenza di legittimità, alcune pronunce hanno in passato espressamente affermato che l’individuazione fotografica non deve essere preceduta dalla descrizione delle fattezze fisiche della persona indagata, trattandosi di adempimento preliminare richiesto solo per la ricognizione di persona (Sez. 2, n. 9380 del 20/02/2015, Panarese, Rv. 263302; Sez. 1, n. 47937, del 09/11/2012, Palumbo, Rv. 253885).
Altre pronunce, pur rilevando che le modalità con cui viene effettuato il riconoscimento devono avvicinarsi il più possibile all’analogo mezzo di prova tipico costituito dalla ricognizione di persona, non arrivano certo ad omologare tale ultimo mezzo di prova a quello atipico dell’individuazione fotografica o svolta “in presenza” dinanzi alla polizia giudiziaria nel corso delle indagini preliminari (cfr. Sez. 5, n. 9505, del 24/11/2015, Coccia, Rv. 267562; Sez. 6, n. 17747 del 15/2/2017, Buonaurio, Rv. 269876).
Ed allora deve concludersi che non è possibile pervenire ad una compiuta tipizzazione delle cautele procedinnentali che devono assistere l’assunzione di un atto di riconoscimento fotografico o personale effettuato dinanzi alla polizia giudiziaria, stante la atipicità di detto strumento probatorio, sicchè la metodologia dell’assunzione del riconoscimento fotografico potrà influenzare la sua efficacia dimostrativa, sotto il profilo della valenza di attendibilità della dichiarazione attraverso la quale viene veicolato ed introdotto nel processo, ma non potrà certamente essere ritenuta idonea a generare nullità o inutilizzabilità di sorta, qualora non si avvicini o non ricalchi le sembianze procedimentali previste dall’art. 213 cod. proc. pen.
In coerenza con la linea interpretativa appena enunciata è stato anche affermato che l’individuazione diretta di persona effettuata nei locali della polizia giudiziaria (nella specie, dalle persone offese) trova il suo paradigma nella prova dichiarativa proveniente da un soggetto che dichiara di avere accertato direttamente l’identità personale dell’imputato.
Pertanto, essa deve essere tenuta distinta dalla ricognizione personale, disciplinata dall’art. 213 cod. proc. pen., essendo inquadrabile, invece, tra le prove non disciplinate dalla legge di cui all’art. 189 cod. proc. pen., e pienamente utilizzabile, ferma restando la facoltà del giudice di apprezzarne liberamente le risultanze (Sez. 2, n. 16773 del 20/3/2015, Osas, Rv. 263767; vedi anche sul tema, Sez. 5 n. 51729 del 12/10/2016, D B, Rv. 268860).

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