La Cassazione con la sentenza numero 43141/2024 ha stabilito che in tema di misure cautelari personali, l’assoluta impossibilità per la madre di dare assistenza al minore, prevista dall’art. 275, comma 4, cod. proc. pen. quale condizione per escludere l’applicabilità o il mantenimento della custodia in carcere nei confronti del padre di prole di età inferiore a sei anni, richiede una situazione in cui si palesi un difetto assistenziale non altrimenti colmabile, tale da compromettere il processo evolutivo-educativo del figlio, dovuto alla mancata, valida ed efficace presenza di entrambi i genitori.
In applicazione del principio, la Suprema Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza con cui era stato confermato il provvedimento impositivo della custodia in carcere sul rilievo che si era considerata esclusivamente l’esistenza della madre, senza considerare la situazione dei due figli minori, uno dei quali portatore di patologie tali da esporre a rischio da “deficit” di cura anche l’altro.
Va preliminarmente osservato, in via generale, che il disposto dell’art. 275 comma 4 cod. proc. pen., introducendo una norma di favore per il caso della necessità di accudimento dei figli con età inferiore a sei anni, nelle ristrette ipotesi di morte del genitore non sottoposto a misura custodiale o di assoluta impossibilità di prestare assistenza alla prole, ha inteso assicurare una tutela ai minori, entro il suddetto limite di età, che prevale sulle esigenze cautelari, ancorché la misura sia applicata per uno dei reati di cui all’art. 275, comma 3 cod. proc. pen., fatto salvo il caso della sussistenza di ‘esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha ritenuto che la presunzione di cui all’art. 275, comma quarto, cod. proc. pen., che esclude l’applicabilità della custodia in carcere nei confronti di determinate persone che versino in particolari condizioni salvo che ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, prevale rispetto alla presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere di cui al comma terzo del medesimo articolo prevista ove si proceda per determinati reati.
Fattispecie nella quale la ricorrente era madre di prole in tenera età; la Suprema Corte ha anche precisato che la contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 7 Legge n. 203 del 1991, in difetto delle predette condizioni personali, avrebbe attratto i reati ascritti alla ricorrente – artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 – nella sfera delle criminalità mafiosa, giustificando il mantenimento della presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia in carcere. (Sez. 2, n. 11714 del 16/03/2012 – dep. 28/03/2012, Ruoppolo, Rv. 25253401; ed ancora: Sez. 1, n. 15911 del 19/03/2015 – dep. 16/04/2015, Caporrimo, Rv. 26308801)
Non può, dunque, in via generale escludersi l’applicabilità della disposizione solo perché la custodia in carcere sia disposta in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990, rilevando in tale ipotesi la valutazione concreta e non presuntiva delle esigenze cautelari, che cederanno il passo alla cura della prole solo quando non eccezionalmente gravi.
