La Cassazione sezione 2 con la sentenza 45618/2024 ha esaminato la seguente questione: può accedere nell’abitazione dell’indagato ristretto agli arresti domiciliari il consulente di parte? E il diniego all’accesso potrebbe violare il diritto di difesa?
Qual’è il mezzo di impugnazione avverso il diniego?
Fatto
Il Giudice per l’udienza preliminare rigettava la richiesta del difensore di G.V. di autorizzare il consulente tecnico di parte ad accedere presso l’abitazione ove G. si trovava ristretto in quanto sottoposto alla misura degli arresti domiciliari.
Avverso il decreto propone ricorso per cassazione il difensore di G., eccependo che il giudice aveva negato l’accesso al consulente sostenendo che il difensore avrebbe potuto fare da tramite tra il consulente e l’indagato, violando così il diritto di difesa, in quanto nessuna disposizione processuale vietava al consulente di parte di svolgere accertamenti al di fuori delle vere e proprie operazioni peritali.
Decisione
La Suprema Corte, preliminarmente si interroga su quale sia il mezzo di impugnazione avverso il decreto in esame; sul punto, la giurisprudenza si è occupata prevalentemente dei provvedimenti decisori in materia di istanze di colloquio dei detenuti, ritenendo che gli stessi siano ricorribili per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., potendosi risolvere in un inasprimento del grado di afflittività della misura cautelare, ma non sono appellabili ex art. 310, cod. proc. pen., non potendo essere considerati ordinanze in materia di misure cautelari.
In motivazione, la Suprema Corte ha precisato che tali provvedimenti non introducono divieti di comunicazione, ma decidono se i divieti conseguenti all’applicazione della custodia in carcere possano, in concreto, essere rimossi (Sez.4, n. 17696 del 28/03/2024, P., Rv. 286514).
Ancora, si sono registrati orientamenti difformi in materia di provvedimento di diniego (o di concessione) all’indagato, che si trovi agli arresti domiciliari, dell’autorizzazione ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo degli arresti, ritenuto inoppugnabile in quanto non incidente sulla libertà personale (e quindi non ricorribile per Cassazione ex art. 111 Cost) limitandosi a regolare le modalità di esecuzione della misura cautelare, ossia di un beneficio che non si configura come diritto dell’imputato (così Sez.6, n. 3942 del 02/11/1995), impugnabile mediante appello ex art. 310 cod. proc. pen. in quanto risolventesi in una modalità di carattere permanente che incide in misura apprezzabile sul regime cautelare, e quindi da qualificare come “ordinanza in materia di misure cautelari” (così Sez. 4, n. 11406 del 23/02/2016).
Ciò premesso appare opportuno richiamare la sentenza delle sezioni Unite n. 24 del 3/12/1996 ,dep, 1997, Lombardi, Rv. 206465, che ha affermato che ai provvedimenti emessi ai sensi dell’ad 284 terzo comma cod. proc. pen., che regolano le modalità di attuazione degli arresti domiciliari relativamente alla facoltà dell’indagato di allontanarsi dal luogo di custodia, contribuiscono ad inasprire o ad attenuare il grado di afflittività della misura cautelare e devono pertanto essere ricompresi nella categoria dei provvedimenti sulla libertà personale; ne consegue che ad essi si applicano le regole sull’impugnazione dettate dall’ad 310 cod. proc. pen., che prevede, in proposito, un sindacato di secondo grado anche nel merito.
La Suprema Corte ha precisato che la predetta disciplina non trova applicazione con riferimento a quei provvedimenti i quali per il loro carattere temporaneo e meramente contingente non sono idonei a determinare apprezzabili e durature modificazioni dello status libertatis: il criterio da prendere in considerazione per valutare quale sia il mezzo di impugnazione è pertanto quello della presenza o meno di una maggiore afflittività della misura cautelare nel provvedimento da impugnare; se tale requisito è presente nel provvedimento, sarà esperibile l’appello ex art. 310 cod. proc. pen.; in caso contrario, si dovrà proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’ad. 111 Cost.
Nel caso in esame, non vi è una maggiore afflittività nel senso sopra indicato, posto che con il decreto impugnato il giudice si è limitato a rigettare l’istanza tesa a consentire al consulente di recarsi presso l’abitazione del G., atteso che ogni richiesta investigativa avrebbe potuto essere formulata dinanzi al proprio difensore e riferita da questi al consulente; correttamente, pertanto è stato proposto ricorso per cassazione, non incidendo il provvedimento di diniego in maniera permanente sulla misura degli arresti domiciliari applicata.
Venendo al merito della questione, la motivazione del giudice sopra richiamata è perfettamente logica, e sulla stessa il motivo di ricorso contrappone inammissibili valutazioni di merito; non ravvisandosi alcuna violazione di legge, nozione nella quale rientrano, in particolare, gli “errores in iudicando” o “in procedendo” e i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice, il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
