Affidamento in prova al servizio sociale : i criteri direttivi per il giudizio prognostico (Riccardo Radi)

La Cassazione penale sezione 1 ha stabilito che in tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono di per sé soli assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato.

In motivazione la Suprema Corte ha chiarito che il giudice deve valutare in concreto l’esistenza di elementi positivi in base ai quali si possa ragionevolmente ritenere che l’affidamento si riveli proficuo, valorizzando i precedenti penali, le informazioni fornite dagli organi di polizia e dai servizi sociali, l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle condotte devianti del passato, l’adesione alle ragioni più profonde di valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna e l’eventuale buona prospettiva risocializzante.

Ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione non è sufficiente l’assenza di indicazioni negative, quali il mancato superamento dei limiti massimi, fissati per legge, della pena da scontare e l’assenza di reati ostativi, ma occorre che risultino elementi positivi, tali da consentire di formulare un giudizio prognostico favorevole della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva.

Tali considerazioni devono, peraltro, essere inquadrate alla luce del più generale principio in base al quale l’opportunità del trattamento alternativo non può prescindere dall’esistenza di un serio processo, già avviato, di revisione critica del passato delinquenziale e di risocializzazione – che può essere motivatamente escluso attraverso il riferimento a dati fattuali obiettivamente certi – oltre che dalla concreta praticabilità del beneficio stesso, essendo ovvio che la facoltà di ammettere il condannato a tali misure presuppone la verifica dell’esistenza dei presupposti relativi all’emenda del soggetto ed alle finalità rieducative.

Secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte, inoltre, il giudice, pur non potendo prescindere, nella valutazione dei presupposti per la concessione di una misura alternativa, dalla tipologia e gravità dei reati commessi, deve avere soprattutto riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per cui è stata inflitta la condanna in esecuzione, onde verificare concretamente se vi siano o meno i sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e se sussistano le condizioni che rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la misura alternativa richiesta (così, da ultimo, Sez. 1, n. 7873 del 18/12/2023, dep. 2024, Tomaselli, Rv. 285855 – 01), tenendo presente che «non configura una ragione ostativa la mancata ammissione degli addebiti», occorrendo, invece, «valutare se il condannato abbia accettato la sentenza e la sanzione inflittagli, in quanto ciò che assume rilievo è l’evoluzione della personalità successivamente al fatto nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale» (Sez. 1, n. 10586 del 08/02/2019, Catalano, Rv. 274993 – 01).

Come ancora di recente ha ribadito la cassazione (Sez. 1, n. 34135 del 31/05/2024, Grimaldi, n.m.), non essendo ricavabile dal sistema una sorta di presunzione generale di inaffidabilità o di affidabilità di ciascuno al servizio sociale, il giudice deve procedere di volta in volta a una valutazione concreta circa l’esistenza degli elementi positivi in base ai quali si possa ragionevolmente ritenere che l’affidamento si riveli proficuo, valorizzando tutti i fattori che vengano in luce, quali i precedenti penali, le informazioni fornite dagli organi di polizia e dai servizi sociali, l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle condotte devianti del passato, l’adesione alle ragioni più profonde di valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna e l’eventuale buona prospettiva risocializzante.

Quanto alla rilevanza del risarcimento del danno, la cassazione ha statuito che «Ai fini del diniego della concessione del beneficio dell’affidamento in prova al servizio sociale, il tribunale può legittimamente valutare l’ingiustificata indisponibilità del condannato a risarcire la vittima, non ostando a ciò la mancata previsione del risarcimento dei danni quale condizione per la concessione del beneficio suddetto» (Sez. 1, n. 39266 del 15/06/2017, Miele, Rv. 271226 – 01), ed altresì che, «dovendosi il giudizio prognostico richiesto dalla legge fondare sui risultati dell’osservazione del comportamento del condannato, è viziata l’ordinanza del tribunale di sorveglianza che respinga la richiesta di applicazione della suddetta misura alternativa deducendo l’assenza di segni di ravvedimento esclusivamente dal mancato risarcimento, anche solo parziale, del danno, omettendo di considerare le concrete condizioni economiche del reo.

Fattispecie nella quale il condannato, titolare di un modesto reddito da lavoro destinato anche all’assolvimento degli obblighi familiari, si era dichiarato disponibile al versamento di una somma mensile, sia pur minima rispetto all’importo del risarcimento dovuto» (Sez. 1, n. 5981 del 21/09/2016, dep. 2017, Panelli, Rv. 269033 – 01).

Deve, infine, rammentarsi che «Nel procedimento di sorveglianza, non sussiste un onere probatorio a carico del soggetto che invochi un provvedimento favorevole, ma soltanto un onere di allegazione, consistente nella prospettazione ed indicazione dei fatti sui quali la richiesta si fonda, incombendo poi sul giudice il compito di procedere, anche d’ufficio, ai relativi accertamenti» (Sez. 1, n. 48719 del 15/10/2019, Tagacay, Ry. 277793 – 01), e che la valutazione delle condizioni per la concessione delle misure alternative alla detenzione è compito riservato al giudice di merito, sicché in sede di legittimità possono essere contestate unicamente la sussistenza, l’adeguatezza, la completezza e la logicità della motivazione, non essendo, invece, ammesse censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto giudice.

Nel caso in esame il provvedimento impugnato non ha fatto buon governo dei principi sopra indicati, avendo irragionevolmente svalutato concreti ed obiettivi elementi che avrebbero senz’altro consentito di formulare in favore della S. un giudizio prognostico favorevole.

Ed invero, se, come insegna la giurisprudenza della cassazione, il giudizio prognostico deve essere formulato guardando anche e soprattutto al comportamento che il condannato ha tenuto dopo i fatti per i quali è stata inflitta la condanna in esecuzione, nel caso di specie occorre rilevare che la ricorrente:

a) non risulta aver commesso condotte illecite successive a quella, risalente al 2013, che le è costata la condanna oggi in esecuzione;

b) è dedita a stabile e lecita attività lavorativa («gestisce da tempo un negozio di abbigliamento») e «vive con la figlia in una abitazione indipendente sita in una zona residenziale del paese»;

c) ha da tempo una relazione affettiva con A.B., a sua volta dedito a stabile e lecita attività lavorativa (gestisce una pizzeria), con il quale «condivide il suo progetto di vita futura, l’amore per gli animali, ed in particolare la vocazione ad aiutare i randagi e gli animali indifesi in genere»;

d) come documentato dal difensore della S., A.B. è soggetto penalmente incensurato, sicché nessun valore possono avere i precedenti di polizia genericamente citati nella nota del 22 marzo 2024 dei Carabinieri della Stazione di Ruvo di Puglia;

e) durante il periodo di detenzione «ha partecipato a tutte le attività programmate in istituto volte a rinsaldare la relazione genitori-figli», «ha aderito alla proposta del Polo Universitario penitenziario iscrivendosi al corso di laurea in Scienze dei Beni culturali, riprendendo gli studi interrotti in gioventù al secondo anni dello stesso percorso di studi», ha tenuto una condotta «impeccabile, esente da note di qualsiasi natura»;

f) si è resa disponibile a “svolgere attività di volontariato con declinazione di giustizia riparativa, avendo acquisito, per il tramite del suo compagno, la disponibilità di don M.B. a impegnarsi in attività a favore dei bisognosi della comunità presso la parrocchia Chiesa Santa Famiglia sita a Ruvo di Puglia”.

Il provvedimento impugnato non ha, dunque, prestato ossequio al richiamato orientamento della Suprema Corte, ad avviso del quale in tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato.

In motivazione, la cassazione ha specificato che le fonti di conoscenza che il tribunale di sorveglianza è chiamato a valutare sono sia il reato commesso, i precedenti penali, le pendenze processuali e le informazioni di polizia sia anche la condotta carceraria ed i risultati dell’indagine socio-familiare operata dalle strutture di osservazione, onde verificare la sussistenza di elementi positivi che facciano ragionevolmente ritenere la proficuità dell’affidamento, quali l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle condotte devianti passate, l’adesione ai valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna e l’eventuale buona prospettiva risocializzante). (Sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 277924 — 01).

Alla luce delle considerazioni che precedono, l’ordinanza impugnata deve essere annullata.