La Cassazione sezione 2 con la sentenza 45596/2024 ha ricordato che è illegittimo il diniego del beneficio fondato sulla mancata confessione da parte dell’imputato, in quanto correla un effetto negativo all’esercizio del diritto al silenzio.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, la corte di merito ha evidenziato, per negare il beneficio, la condotta post delictum dell’imputato, senza specificare in alcun modo gli elementi di tale condotta, e la “pervicace negazione del reato“, con motivazione illogica, in quanto contrastante con il principio nemo tenetur se detegere, come se l’imputato avesse un dovere di confessare il reato; si deve quindi ribadire che “in tema di sospensione condizionale della pena, è illegittimo il diniego del beneficio fondato sulla mancata confessione da parte dell’imputato, in quanto correla un effetto negativo all’esercizio del diritto al silenzio. (sez. 3 n. 4090 del 25/11/2015, dep. 01/02/2016, Tonti, Rv. 265713).
La cassazione ha più volte ribadito che in tema di applicazione dei benefici di legge, si connoti come un «dovere», in presenza di elementi di fatto che ne consentano ragionevolmente l’esercizio, tanto più se il riconoscimento è invocato dall’imputato.
Il mancato esercizio (con esito positivo o negativo) del potere-dovere del giudice di appello di applicare i benefici di legge, non accompagnato da alcuna motivazione che renda ragione di tale “non decisione», costituisce, di conseguenza, motivo di annullamento per violazione di legge e difetto di motivazione” (vedi Sez. U., n. 22533 del 25/10/2018, Salerno, Rv. 275376 – 01).
