Vi siete mai chiesti come mai nel Codice penale si indica chiunque “cagiona la morte di un uomo” nel reato di omicidio volontario (art. 575 c.p.), mentre nel reato di omicidio colposo (art. 589) si indica chiunque cagiona per colpa “la morte di una persona”?
Una contraddizione, direi addirittura un paradosso.
Quindi, letteralmente l’articolo 575 punisce chiunque cagioni volontariamente la morte di un “uomo” mentre l’articolo 589 punisce chiunque cagioni per colpa la morte di una “persona”.
L’antinomia è di tutta evidenza: solo “uomo” nel caso di omicidio volontario; uomo e donna (persona) quando invece si tratta di omicidio colposo.
Uomo e persona, la prima parola indica un essere umano adulto di sesso maschile e si usa normalmente in contrapposizione a donna che invece è l’essere umano adulto di sesso femminile.
Mentre per persona si intende “individuo di sesso non specificato” e definizione del Dizionario Treccani: “Individuo della specie umana, senza distinzione di sesso, età, condizione sociale, considerato sia come elemento a sé stante, sia come facente parte di un gruppo o di una collettività”.
Con una interpretazione strettamente letterale, irragionevole e priva di buon senso, se non ci fosse la Carta costituzionale qualcuno potrebbe arrivare a teorizzare che siccome l’articolo 575 c.p. parla di uomo e non di persona l’omicidio di una donna … non è punibile.
L’assurdità è evidente e rende palpabile quanto la scelta e l’uso di una parola può stravolgere una norma e l’interrogativo iniziale rimane: perché il Legislatore del 1930 ha usato “uomo” e non “persona” nell’omicidio volontario ed anche nell’omicidio colposo che è stato modificato da “uomo” a “persona” solo con la Legge 11 maggio 1966 n. 296?
Per trovare risposta siamo andati a curiosare nei lavori preparatori del Codice penale e nel volume III, Osservazioni e proposte sul progetto preliminare di un nuovo codice penale e abbiamo forse trovato, indirettamente, la risposta.
Quando leggiamo l’osservazione della Commissione Reale Procuratori di Bari che scrivono: “Speriamo in una migliore valutazione dello stato d’animo di chi uccida o ferisca per causa di onore, per adulterio, per l’illegittima relazione carnale sulla persona del coniuge, della figlia o della sorella … L’art. 588 spinge la pena per l’omicidio, in siffatte condizioni, a dieci anni.
Orbene il giurato, lo scabino, il giudice si domanderanno sempre: se mia moglie, cui io do cuore e vita, e onore, io sorprendessi in adulterio, che farei?
E giudicherà come vorrebbe egli essere giudicato in tanta iattura e in tanta passione.
Giudica gli altri come vorresti che fossi tu giudicato: ecco un precetto, che in cuore cristiano varrà sempre, quanto l’altro: non fare ad altri quanto non vorresti fatto a te stesso.
E il giurato, lo scabino, il giudice negheranno magari il fatto: non avranno rinnegato loro stessi” (pagina 192).
Ed ancora, il Sindacato Avvocati e Procuratori di Catania, sempre in ordine all’omicidio commesso per causa di onore: “Trova, poi, che sarebbe giusto lasciare la pena, per il reato-tipo di omicidio per causa di onore, previsto nel Progetto, indeterminata nel minimo, ben potendo, quello stabilito in tre anni di reclusione, appalesarsi eccessivo, in casi veramente pietosi, che suscitano larghi sensi di umana solidarietà verso il colpevole”.
Non sono trascorsi ancora cento anni da questi concetti e la risposta che cercavamo è, forse, qui: un Codice penale scritto da uomini per uomini e non per persone.
Come ricordava Michele de Montaigne “Le donne hanno ragione a ribellarsi contro le leggi , perché noi le abbiamo fatte senza di loro”.
