Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 45783/2024, udienza del 4 dicembre 2024, ha chiarito i presupposti necessari per un unico disegno criminoso tra l’associazione mafiosa e i reati-fine.
La circostanza che un reato sia ritenuto aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. non lo rende, per ciò solo, legato da un unico disegno criminoso alla partecipazione all’associazione, perché il medesimo disegno criminoso deve sussistere nel momento di ingresso nell’associazione, o comunque di commissione del primo reato in ordine temporale, laddove la finalità di agevolazione mafiosa può insorgere anche nel momento di commissione del reato-fine.
Ad opinare diversamente dovrebbe ritenersi che un reato-fine commesso nell’ambito di una associazione a delinquere debba essere sempre necessariamente sorretto da volizione unitaria con il reato di partecipazione alla stessa associazione, tesi che è stata più volte respinta dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1 n. 23818 del 22/06/2020: “È ipotizzabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio. In motivazione, la Corte ha aggiunto che, ove si ritenesse sufficiente la programmazione dei reati fine al momento della costituzione del sodalizio, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen.”; nello stesso senso Sez. 1, n. 40318 del 04/07/2013).
Il programma criminoso, ideato ed elaborato nelle sue linee essenziali (Sez. 1, n. 785 del 06/02/1996), di cui costituirebbe attuazione il reato-fine, infatti, deve essere positivamente e rigorosamente provato (Sez. 1, n. 5618 del 21/12/1993, dep. 1994), e non ricomprende i reati estemporanei che nascono per effetto di un avvenimento specifico che li precede; ad opinare diversamente, infatti, si finirebbe per far dipendere la sussistenza o meno della continuazione tra associazione criminosa e reato-fine dalla tipologia del reato-fine, in contrasto con la sistematica della giurisprudenza di legittimità che ritiene che l’unico disegno criminoso possa sussistere soltanto quando lo specifico reato commesso per secondo, e non un mero comportamento criminale di una certa tipologia, sia stato programmato “nelle sue linee essenziali” al momento di commissione del primo.
La giurisprudenza di legittimità evidenzia ancora che, per individuare la volizione unitaria, “non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all’omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni, comunque denominate, ovvero ad una medesima organizzazione” (Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021). Pertanto, la deduzione contenuta in ricorso secondo cui il ricorrente si è nella sostanza occupato sempre di traffico di stupefacenti, e sempre negli stessi luoghi, si rivela inconferente perché si spende nell’evidenziare modalità di condotta sempre uguali che, però, non sono sufficienti ad evidenziare l’unicità del momento deliberativo, che anzi è stata, non illogicamente, esclusa nell’ordinanza impugnata dallo sviluppo concreto degli eventi, ed in particolare dalla non prevedibilità della futura polverizzazione del clan S. nel momento di adesione a tale associazione.
