Chiamata in reità o correità: diventa grave indizio in sede cautelare solo se, già attendibile di per sé, sia corroborata da riscontri esterni individualizzanti (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 44302/2024, udienza del 20 novembre 2024, ha ribadito che, in tema di valutazione della chiamata in reità o correità in sede cautelare, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, integrano i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273, comma primo, cod. proc. pen. – in virtù dell’estensione applicativa dell’art. 192, commi terzo e quarto, ad opera dell’art. 273, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 11 L. n. 63 del 2001, soltanto se esse, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci individualizzanti.

Questi ultimi devono cioè essere tali da assumere idoneità dimostrativa in ordine all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario di esse, ferma restando la diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, Spennato).

Premesso, dunque, che le dichiarazioni accusatorie del coimputato del medesimo reato per potere fondare il riconoscimento dei gravi indizi di colpevolezza devono essere sorrette da un giudizio di attendibilità intrinseca del dichiarante, nonché da riscontri esterni di tipo individualizzante, che secondo la citata pronuncia a Sezioni unite devono essere tali da assumere idoneità dimostrativa dell’attribuzione del fatto reato, nel caso in esame, il provvedimento del riesame ha omesso l’individuazione di tali elementi richiamati dall’art. 192 comma terzo cod. proc. pen.

La giurisprudenza della Suprema Corte ha precisato al riguardo che, per riscontro esterno di carattere individualizzante, si intende quell’elemento che deve aggiungersi ad una chiamata di reità o correità, già valutata intrinsecamente attendibile, per potere raggiungere il rango di prova idonea a dimostrare la colpevolezza dell’imputato in ordine ad un determinato fatto di reato. L’elemento di riscontro, però, non deve da solo fornire prova della responsabilità dell’imputato per quel determinato fatto di reato, quanto provare con certezza un collegamento tra imputato e contestazione che ne dimostri il coinvolgimento e che così escluda la possibilità di affermare la responsabilità sulla base di accuse false e non altrimenti dimostrabili.

È vero, infatti, che oggetto del riscontro deve essere il rapporto tra imputato e fatto, poiché la prova deve sempre essere individuata nella dichiarazione di accusa, nella chiamata di correità o reità che, seppur inidonea ex se a dimostrare la responsabilità, richiede una validazione autonoma che non sia di per sé prova anch’essa. Il riscontro, quindi, pur esterno o individualizzante che si voglia nominare, non è prova autonoma e tale non deve essere, bensì elemento che attribuisce valore definitivo ad una prova c.d. “debole” costituita dalla sola chiamata di correità che tanto più è diretta e precisa tanto minori rischi di errore certamente comporta (Sez. 2, n. 18984 del 2017).

Si è ancora nello stesso senso affermato che i riscontri esterni alla chiamata di correità richiesti dall’art. 192 cod. proc. pen. devono essere individualizzanti, nel senso che devono avere ad oggetto direttamente la persona dell’incolpato e devono possedere idoneità dimostrativa in relazione allo specifico fatto a questi attribuito (Sez. 3, sentenza n. 3255 del 10/12/2009, dep. 2010); ovvero che ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, il riscontro alla chiamata in correità può dirsi individualizzante quando non consiste semplicemente nell’oggettiva conferma del fatto riferito dal chiamante, ma offre elementi che collegano il fatto stesso alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo dimostrativo dell’attribuzione a quest’ultimo del reato contestato (Sez. 6, n. 45733 del 11/07/2018).