L’applicazione di misura custodiale ex art. 276, comma 1, cod. proc. pen. esclude il diritto all’indennizzo per ingiusta detenzione (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 4 con la sentenza numero 41404/2024 ha stabilito che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, non sussiste il diritto all’indennizzo per il periodo di detenzione subito a seguito di aggravamento di misura non coercitiva disposto in conseguenza della trasgressione alle prescrizioni imposte, difettando, in tal caso, il requisito della ingiustizia della privazione della libertà personale.

La questione devoluta in questa sede mette in chiaro che, nella casistica, possono aversi situazioni nelle quali l’art. 314 c.p.p. è invocato in relazione a diversi segmenti detentivi, eventualmente riparabili anche a titolo differente, ora quale ingiustizia formale del titolo, ora quale compromissione del bene fondamentale della libertà dell’individuo, alla quale non ha fatto seguito l’affermazione della sua penale responsabilità, ora quale esito di un disallineamento tra detenzione patita in sede cautelare e pena eseguita o da eseguire.

Quando ciò accade, dunque, può determinarsi una coesistenza tra i principi che sovrintendono alla verifica giudiziale, per loro natura destinati a disciplinare ipotesi del tutto diverse.

Tuttavia, la valutazione giudiziale non può prescindere dal fondamento solidaristico dell’istituto, che – va ricordato – non è collegato solo all’esito del procedimento penale, fondamento sul quale il diritto vivente, nel solco ermeneutico tracciato dal giudice delle leggi (vedi, tra le altre, Corte cost. n. 219/2008) da tempo ammonisce, richiamandoci anche ai principi di matrice sovranazionale (art. 5 CEDU).

Ed è proprio in conformità ad esso che non può considerarsi “ingiusta” la privazione della libertà personale causata (o concausata) da una condotta dolosa o gravemente colposa dell’interessato (Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606-01), tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura (Sez. U, n. 32383 del 27/5/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664-01).

Nella specie, la Corte di merito ha correttamente tenute distinte la misura precautelare, rispetto alla quale ha ritenuto insussistente un contributo dell’istante, eziologicamente correlato all’arresto, dalla privazione della libertà subita) invece, per avere egli ripetutamente violato le prescrizioni imposte con la misura dell’obbligo di presentazione alla PG, dunque per effetto dell’adozione di un provvedimento ai sensi dell’art. 276, comma 1, cod. proc. pen. e rispetto al presupposto fattuale (ripetute violazioni delle prescrizioni) la difesa non ha formulato alcuna contestazione, ritenendole irrilevanti, alla stregua della sopravvenuta assoluzione.

Il ragionamento della Corte territoriale, peraltro, trova riscontro nella giurisprudenza di legittimità, essendosi già affermato che, in tema di ingiusta detenzione, non sussiste il diritto alla riparazione per il periodo di detenzione subito a seguito di aggravamento di misura non coercitiva disposto in conseguenza della trasgressione alle prescrizioni imposte, difettando, in tal caso, il requisito della ingiustizia della privazione della libertà personale (sez. 4, n. 30578 del 7/6/2016).

Trattasi di un principio che deriva direttamente da quelli di tutela della libertà personale e solidarietà, alla cui stregua vanno indennizzate tutte le ipotesi di custodia cautelare risultate obiettivamente ingiuste (Sez. U, n. 25084 del 30/5/2006, Pellegrino, Rv. 234144-01) e che trova riscontro anche nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

Infatti, la previsione dell’ad. 314, comma 1, cod. proc. pen. – che esclude dall’equa riparazione colui che abbia dato causa, per colpa grave, alla custodia cautelare subita, in caso di detenzione preventiva formalmente legittima ma sostanzialmente ingiusta – non si pone in contrasto con l’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché quest’ultima norma impone il riconoscimento dell’indennizzo soltantò per la detenzione preventiva formalmente illegittima, senza escludere, negli altri casi, che gli Stati membri possano limitarla, nei caso in cui l’interessato abbia tenuto un comportamento eziologicamente collegato alla privazione della sua libertà (sez. 4, n. 6903 del 2/2/2021; n. 35689 del 9/7/2009; Corte EDU n. 32075/2009 del 10 aprile 2012, Lorenzetti c. Italia, in cui si è, per l’appunto, riconosciuta la coerenza convenzionale della valutazione, effettuata nell’ambito di un procedimento relativo alla richiesta di riparazione per ingiusta custodia cautelare, del contributo che la persona prosciolta ha dato alla nascita di indizi nei suoi confronti, la stessa non collidendo con la presunzione di innocenza, vedendo su un oggetto diverso dalla responsabilità penale della persona).

È lo stesso dato testuale, peraltro, a confermare la necessità di tale interpretazione, atteso che l’indennizzo non può essere riconosciuto a chi ha dato o concorso a dare causa alla “custodia cautelare” subita, cioè alla privazione della sua libertà in forza di un titolo che, al momento della sua emissione, era sostenuto da presupposti rivelatisi solo all’esito del giudizio insussistenti.

Il che consente di affermare che il contributo causale dell’interessato riguarda la privazione della libertà rispetto a tutte le vicende che si dipanano dal momento del suo arresto, senza che possa configurarsi, come sembra adombrare la difesa, un effetto “domino” dell’assenza di un comportamento ostativo al momento dell’adozione della misura pre-cautelare rispetto a un titolo adottato sulla scorta di ulteriori presupposti (nella specie, le ripetute e numerose violazioni degli obblighi imposti con la misura non coercitiva).

Pertanto, la necessità di valutare l’eventuale ricorrenza di un comportamento doloso o gravemente colposo dell’interessato, che sia stato concausa dell’errore nel quale è caduta l’A.G., permane anche con riferimento alle vicende successive all’arresto in flagranza, sebbene tale comportamento debba essere ricercato in stretto rapporto all’atto giudiziario dal quale è derivata la privazione della libertà rivelatasi ingiusta ex post (in motivazione, sez. 4, n, 57203 del 21/9/2017) e ciò anche in relazione ai diversi segmenti nei quali si articola la vicenda cautelare.

Del tutto correttamente, quindi, la Corte della riparazione ha distinto i periodi di custodia subita, rinvenendo il comportamento ostativo solo in relazione a quella successivo all’aggravamento della misura non custodiale ai sensi dell’art. 276 cod. proc. pen., conseguito al comportamento dell’interessato.