Reato continuato: non è incostituzionale l’aumento di pena non inferiore a un terzo per il reato satellite se ricorre la recidiva reiterata qualificata (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 3998/2024, udienza del 7 dicembre 2023, ha dichiarato manifestamente infondata la questione, posta dalla difesa di un ricorrente, di asserita illegittimità costituzionale dell’art. 81, comma quarto, cod. pen. per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.

Più specificamente, la difesa aveva dedotto che la Corte territoriale, con la sentenza impugnata, avendo confermato la ricorrenza della recidiva reiterata qualificata, e pur riconoscendo l’equivalenza tra le attenuanti generiche e le aggravanti, aveva dovuto applicare un aumento per il reato satellite nella misura fissa non inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave (ciò in applicazione del principio affermato da Sez. U, n. 31669/2016).

Decisione della Corte di cassazione

La medesima questione, sollevata in relazione all’art. 3 Cost., è stata già reputata manifestamente infondata dalla Suprema Corte in considerazione del fatto che l’aumento previsto dall’art. 81, comma quarto, cod. pen. trova la sua giustificazione nella sostanziale diversità delle situazioni regolate, avendo il legislatore facoltà di comminare le pene con aumenti differenziati in misura precostituita in ragione della minore o maggiore proclività a delinquere del reo, quest’ultima espressa dalla recidiva reiterata.

Si è, pertanto, ritenuto che tale disposizione sia del tutto ragionevole, oltre che conforme al principio dell’emenda di cui all’art. 27 Cost., considerato che una pena non commisurata adeguatamente al valore dell’illecito, identificato anche in base alla propensione a delinquere che il reo esprime, sarebbe frustranea rispetto alla rieducazione del condannato (Sez. 5, n. 30630 del 09/04/2008; in termini conformi si veda anche Sez. 2, n. 18092 del 12/04/2016). Peraltro, la Corte costituzionale, pronunciandosi in relazione ad analoga questione di legittimità costituzionale, pur dichiarandola inammissibile, ha posto l’accento sui limiti normativi alla complessiva determinazione del trattamento sanzionatorio.

Si è, infatti, osservato, da un lato, che nei casi di reato continuato la pena risultante dal cumulo giuridico non può, comunque, essere superiore a quella che, in concreto, il giudice avrebbe inflitto in caso di cumulo materiale e che detto limite, previsto dal comma terzo dello stesso art. 81 cod. pen., ha riguardo alla pena che il giudice ritiene adeguata alla fattispecie concreta, e non certo a quella massima edittale (Corte cost., sentenza n. 241 dei 2015).

Si rileva, inoltre, che l’individuazione di un limite minimo di aumento di pena per i reati commessi dal soggetto ritenuto recidivo reiterato appare rientrare nell’ambito della discrezionalità del legislatore che, ai pari di quanto accade nella determinazione della pena edittale per ciascuna fattispecie incriminatrice, si è limitato a stabilire i termini della forbice edittale relativa al segmento della pena relativo ai reati in continuazione che, da un lato, non può essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave e, dall’altro lato, non può essere superiore a quella risultante dal cumulo materiale delle pene.

Attraverso la previsione del limite minimo indicato al quarto comma dell’art. 81 cod. pen. è stata, dunque, normativamente prefissata la misura minima di incidenza sull’aumento della pena della precedente condotta del reo (art. 133, comma secondo, n. 2, cod. pen.) quale effetto conseguente al riconoscimento, sulla base di una valutazione rimessa alla discrezionalità del giudice, della sua valenza rivelatrice di una proclività a delinquere di significativa intensità tanto da giustificare l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen.

Va anche considerato, quanto alla concreta operatività di tale disposizione, che la giurisprudenza di legittimità, facendo proprie anche talune indicazioni ermeneutiche della Corte costituzionale (si veda la sentenza n. 193 del 2008), ha costantemente affermato che il limite di aumento minimo per la continuazione, previsto dall’art. 81, comma quarto, cod. pen., si applica nei soli casi in cui l’imputato sia stato già ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa precedentemente al momento della commissione dei reati per i quali si procede ( si veda, da ultimo, Sez. 4, n. 22545 del 13/09/2018, dep. 2019) con esclusione, dunque, dell’ipotesi dell’imputato dichiarato recidivo reiterato in rapporto agli stessi reati uniti dal vincolo della continuazione, del cui trattamento sanzionatorio si discute. Inoltre, con riferimento alla concreta determinazione della porzione di pena, dal testo dell’art. 81, comma quarto, cod. pen. emerge chiaramente che la misura minima di tale aumento, benché predeterminata ex lege, va calcolata facendo riferimento, non alla pena edittale prevista per il reato base, ma a quella concretamente determinata dal giudice il quale, nell’esercizio del suo potere discrezionale, potrà tenere conto ai fini della sua quantificazione anche degli effetti che ne conseguono sul calcolo dell’aumento per la continuazione in conseguenza del riconoscimento dell’aggravante della recidiva reiterata.

Infine, come condivisibilmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, tale limite minimo di aumento della pena si riferisce non alla misura di ciascun aumento successivo al primo singolo reato fine ma all’aumento complessivo per la continuazione (cfr da ultimo, Sez. 2, n. 18092 del 12/04/2016).

Tale interpretazione trova conferma nel dato testuale dell’art. 81, comma quarto, cod. pen., in cui, al pari di quanto previsto per il limite esterno indicato al terzo comma, si fa riferimento all’aumento “della quantità di pena” e non all’aumento per il singolo reato riunito in continuazione o in concorso formale.

Si rileva, peraltro, che una diversa interpretazione sarebbe in contrasto con la ratio sottesa all’istituto della continuazione, che, all’interno di una concezione gradualistica dell’illecito, in applicazione del principio del favor rei, deroga all’istituto del cumulo materiale delle pene ed attribuisce alla condotta criminosa attuata in continuazione un disvalore attenuato, in considerazione della minore riprovevolezza complessiva dell’agente il quale cede una sola volta all’impulso psichico a delinquere allorché concepisce il disegno criminoso (cfr. Sez. U, n. 21501 del 23/04/2009, Astone, in motivazione; Sez. 1,  n. 6248 del 27/11/1996, dep. 1997).