Richiesta di pene sostitutive di pene detentive brevi: è abuso del processo comunicarla tramite PEC la sera prima dell’udienza in appello? (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 44781/2024, udienza del 5 dicembre 2024, considera sintomatici di un abuso del processo l’inoltro di una richiesta di pene sostitutive la sera prima dell’udienza in appello e la sua omessa menzione nel corso della discussione.

In fatto

Con la sentenza impugnata, la Corte di appello, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 24 novembre 2021 dal Tribunale, per quanto qui rileva, ha confermato la condanna di NDC per un episodio di ricettazione.

Ricorso per cassazione

NDC, a mezzo del suo difensore, ricorre per cassazione denunciando, per ciò che qui interessa, i vizi di violazione di legge in relazione agli artt. 545-bis cod. proc. pen., 20-bis e 132 cod. pen. e 53, l. 24 novembre 1981, n. 689, e di carenza della motivazione, dal momento che nessuna risposta avrebbe offerto la Corte di appello alla memoria difensiva del 29 gennaio 2024, con cui si chiedeva, allegando procura speciale, che, in caso di condanna, la pena detentiva fosse sostituita con quella del lavoro di pubblica utilità.

Decisione della Corte di cassazione

Ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito all’applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, da formulare non necessariamente con l’atto di gravame o in sede di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma comunque, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione di appello (Sez. 2, n. 12991 del 01/03/2024; Sez. 4, n. 4934 del 23/01/2024; Sez. 6, n. 46782 del 29/09/2023).         

Nel caso di specie, la richiesta risulta essere stata presentata alla Corte dal difensore del ricorrente, quale suo procuratore speciale, a mezzo posta elettronica certificata, trasmessa il giorno prima dell’udienza, alle 18:51:42.

Secondo l’indirizzo maggioritario nella giurisprudenza di legittimità, l’adozione di simili modalità comunicative comporta l’onere, per la parte che intenda dolersi dell’omesso esame dell’istanza, non solo di accertarsi, in ragione dell’atipicità del mezzo impiegato, che la comunicazione sia giunta ad effettiva conoscenza del personale della cancelleria del giudice procedente, ma altresì che l’atto sia stato tempestivamente portato all’attenzione di quest’ultimo (Sez. 2, n. 13554 del 06/02/2024; Sez. 2, n. 10923 del 05/03/2024; Sez. 2, n. 35542 del 14/07/2021, nonché Sez. 3, n. 4968 del 19/01/2011, in tema di telefax).         

Un’esegesi recente, fondata sulla normativa di settore sopravvenuta, reputa superato questo orientamento.

Ferma restando la sua astratta condivisibilità, le pronunce più recenti avrebbero omesso di considerare la disciplina emergenziale, rimasta in vigore sino al 31 dicembre 2022, e poi ripresa dalla normativa transitoria introdotta dalla l. 30 dicembre 2022, n. 199 (di conversione del decreto-legge n. 162/2022), con la quale si è interpolato l’art. 87 del d.lgs. n. 150/2022, inserendovi un comma 6-bis che riproduce in sostanza le precedenti regole “anti-Covid” sul deposito telematico degli atti; alla luce di tale disciplina, il deposito dell’atto si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali. Secondo tale indirizzo, «l’art. 87 bis d.lgs. n. 150/2022, a sua volta introdotto dall’art. 5 quinquies della legge n. 199/2022, al comma 1, stabilisce inoltre che, fino a quando non diventeranno operative le disposizioni sul processo penale telematico ovvero fino a quando, prima di quel momento, non divenga possibile l’inserimento di quello specifico atto nel portale telematico (nel qual caso non sarà più consentito il deposito a mezzo PEC), per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli previsti nell’articolo 87, comma 6-bis, e da quelli individuati ai sensi del comma 6-ter della medesima disposizione, “è consentito il deposito con valore legale mediante invio dall’indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel registro generale degli indirizzi elettronici di cui all’articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44. Il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi di posta elettronica certificata degli uffici giudiziari destinatari, indicati in apposito provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia”. Allo stato, dunque, questa è la disciplina in vigore per il deposito degli atti, fino a quando, cioè, non diventeranno concretamente operative le nuove disposizioni del processo penale telematico» (Sez. 4, n. 33915 del 28/06/2023 e anche Sez. 5, n. 6406 del 23/01/2024).         

Nel caso di specie, seppure la fattispecie processuale ricadrebbe ratione temporis sotto la disciplina transitoria sopra accennata, occorre rilevare l’assoluta inottemperanza agli oneri minimi di diligenza e di leale collaborazione del difensore (ai limiti dell’abuso della disciplina processuale che ha introdotto la più snella modalità di comunicazione), avuto riguardo alla data e all’orario di trasmissione e alla mancanza di ogni accenno all’istanza da parte del difensore di NDC durante la discussione orale (cfr. verbale del 30 gennaio 2024), non giustificata da alcuna esigenza difensiva, diretta ad insistere nella richiesta di applicazione di una pena sostitutiva.         

Invero, l’abuso del processo consiste in un vizio, per sviamento, della funzione, ovvero in una frode alla funzione, e si realizza allorché un diritto o una facoltà processuali sono esercitati per scopi diversi da quelli per i quali l’ordinamento processuale astrattamente li riconosce all’imputato, il quale non può in tale caso invocare la tutela di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realtà effettivamente perseguiti (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, dep. 2012, Rossi; si veda anche Sez. 5, n. 20891 del 17/03/2021, che, in ossequio al suddetto principio di diritto, ha ravvisato un comportamento abusivo nella condotta degli indagati che avevano strumentalmente eccepito, solo in sede di legittimità, la nullità dell’avviso di fissazione dell’udienza di riesame per violazione delle norme procedimentali, alla cui verificazione gli stessi avevano dolosamente dato causa).         

Le regole sul deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata degli uffici giudiziari non possono, in conclusione, porsi alla base di una nullità processuale, in presenza di una solo formale ottemperanza da parte del difensore, nei termini sopra meglio chiariti.

Note di commento

I fatti alla base del ricorso sono semplici.

Un difensore, munito a tal fine della procura speciale rilasciatagli dal suo assistito, redige un’istanza con cui chiede che, ove la Corte d’appello dovesse determinarsi per la conferma della condanna inflitta dal giudice di primo grado, sostituisca la pena detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità.

La invia quindi via PEC, allegando la procura speciale, all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’ufficio giudiziario destinatario, nella tarda serata del giorno precedente l’udienza di appello.

Non è un invio tardivo poiché, come lo stesso collegio di legittimità riconosce, “Ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito all’applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, da formulare non necessariamente con l’atto di gravame o in sede di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma comunque, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione di appello”.

Anche l’inoltro telematico dell’istanza è legittimo – ed anche questo è riconosciuto dal collegio – data la disciplina applicabile ratione temporis.

Escluse dunque violazioni procedurali, la decisione attribuisce nondimeno valenza negativa a tre circostanze di fatto: l’adozione di una modalità comunicativa atipica, la trasmissione dell’istanza a stretto ridosso dell’udienza e l’omessa menzione della stessa durante la discussione.

L’atipicità della trasmissione telematica – dice la Cassazione – implica che chi se ne serve assume l’onere di accertarsi che la comunicazione sia giunta a conoscenza della cancelleria del giudice che procede e che costui sia stato a sua volta informato dell’atto inoltrato.

Le altre due circostanze sono inequivocamente indicative di una condotta difensiva che è venuta meno agli standard minimi di diligenza e leale cooperazione e, per ciò stesso, è sintomatica di un abuso difensivo del processo.

In buona sostanza, secondo il collegio decidente, il difensore ha ottemperato solo formalmente alle regole sul deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata e non è pertanto censurabile la decisione della Corte di appello che ha ignorato la sua istanza.

Ciò premesso, pare che il complesso delle argomentazioni che sorreggono la decisione qui annotata sia gravemente censurabile.

Non è vero, innanzitutto, che la trasmissione telematica dell’istanza di sostituzione fosse atipica per la semplice ma essenziale ragione che era consentita dal legislatore come, del resto, riconosce il collegio decidente.

Viene quindi a mancare il presupposto giustificativo del doppio onere, questo sì atipico in quanto di pura creazione giurisprudenziale, posto a carico del difensore e procuratore speciale dell’imputato di sincerarsi non solo dell’arrivo a destinazione della PEC ma anche dell’acquisizione della sua consapevolezza in capo alla cancelleria e finanche del successivo passaggio al giudice procedente.

Né si comprende perché mai, riconosciuto il valore legale del deposito mediante PEC, vale a dire la sua idoneità a raggiungere lo scopo comunicativo suo proprio, lo si debba subito dopo negare di fatto attraverso l’imposizione dei suddetti oneri creativi.

Restano le altre due circostanze e la loro valorizzazione negativa ha del surreale.

Se l’istanza di sostituzione della pena detentiva può essere presentata fino a che è in corso l’udienza di discussione, non si vede come possa essere considerata abusiva se presentata la sera prima dell’udienza.

E data questa ineludibile premessa, non si vede nemmeno perché mai il difensore avrebbe dovuto richiamarla nella discussione ed essere tacciato di omissione strumentale per non averlo fatto posto che il giudice al quale si rivolgeva doveva essere legalmente consapevole della sua iniziativa.

Resta solo da dire, e sia consentito il gioco di parole, dell’abuso giurisprudenziale della nozione di abuso del diritto, in questo caso sub specie di abuso del processo.

C’è da chiedersi se questo parametro possa prendere legittimamente posto tra quelli utilizzabili dall’interprete o, più chiaramente, se spetti al giudice attribuire alle norme il significato che le difende più efficacemente da chi intende abusarne.

Si avverte preliminarmente che per abuso del diritto si intende l’uso di una situazione giuridica soggettiva attiva ad opera del suo titolare per un fine diverso da quello per cui è stata prevista e tutelata dall’ordinamento (cosiddetto abuso funzionale) ma al quale può affiancarsi anche l’abuso modale che si risolve nell’esercitare un diritto con modalità che nuocciano in modo elevato ad altrui sfere giuridiche senza che a questo nocumento corrisponda un interesse apprezzabile e meritevole di tutela del titolare del diritto medesimo.

Si tratta di un istituto non codificato che tuttavia ha attecchito in ambito civilistico per via giurisprudenziale.

Ove ricorra, l’abuso è sanzionato negando efficacia e tutela allo schema che ne è frutto: un esempio è la valorizzazione della exceptio doli generalis seu praesentis nei contratti autonomi di garanzia allorché la garanzia sia escussa da parte del suo beneficiario con dolo, mala fede o abuso.

La questione si pone ben diversamente in ambito penale per il suo inevitabile incrocio con il principio costituzionale e convenzionale di legalità (artt. 25, comma 2, Cost. e 7 CEDU).

Il necessario punto di partenza è l’inesistenza di una norma positiva che configuri l’abuso del diritto come una clausola generale sull’ovvio presupposto che una norma del genere, se esistente, consegnerebbe al giudice un indebito potere creativo tale da frustrare il principio di determinatezza.

Né, in senso contrario, può trarsi spunto dai numerosi casi in cui il legislatore penale utilizza espressioni come “abuso” o “abusivamente” nella descrizione di una fattispecie.

A ben vedere, infatti, essi attengono a situazioni il cui presupposto è ordinariamente non l’uso deviato di un diritto ma la sua mancanza (esercizio abusivo di una professione, reati edilizi e paesaggistici) o l’approfittamento indebito di una situazione di prossimità ad individui vulnerabili o collettività suggestionabili (circonvenzione di incapace, abuso della credulità popolare).

Esistono per contro istituti esplicitamente finalizzati a reprimere condotte elusive come avviene, ad esempio, con la confisca per equivalente il cui presupposto è l’impedimento di condotte che consentirebbero al soggetto agente di conservare il godimento del prodotto, profitto o prezzo del reato. Ma è proprio la loro esistenza che dimostra la necessità di una previsione legislativa ed è la loro settorialità che evidenzia l’impossibilità di ricavarne per via interpretativa una clausola generale.

Una conferma in tal senso arriva dall’introduzione, dovuta al D.Lgs. n. 128/2015, dell’art. 10-bis nel corpo della L. n. 212/2000 (il cosiddetto Statuto del contribuente).

Il nuovo articolo ha unificato le nozioni di abuso del diritto e di elusione fiscale (comma 1) e ha sancito espressamente l’irrilevanza penale delle condotte abusive che dunque potranno essere sanzionate solo amministrativamente (comma 13).

Nasce in tal modo una nuova configurazione dell’abuso del diritto che si estende a tutta la materia tributaria. Per l’effetto, sono considerate compiute con abuso le operazioni prive di sostanza economica, tali da realizzare vantaggi fiscali indebiti e prive di valide ragioni extrafiscali che soddisfino esigenze di miglioramento strutturale o funzionale.

In conclusione, pur dovendosi ammettere che l’abuso del diritto non sia affatto estraneo al legislatore penale ed anzi sia considerato un fenomeno da contrastare in taluni casi con adeguate tutele, è al tempo stesso innegabile che il suo ambito applicativo è ristretto a casi specifici la cui individuazione è necessariamente rimessa al legislatore.