La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 39724/2024 ha stabilito che in tema di procedibilità dell’azione penale, ai fini della validità della querela presentata dal genitore di minore ultraquattordicenne, non è necessario che l’atto contenga un’esplicita formula con la quale il genitore dichiari di presentare l’atto per il minore, non essendo tale requisito previsto dall’art. 120, comma terzo, cod. pen.
In motivazione la Suprema Corte ha affermato che la norma attribuisce al genitore un diritto distinto e autonomo rispetto a quello riconosciuto al minore rappresentato, esercitabile anche in presenza di una volontà contraria o a seguito dell’avvenuto esercizio da parte di quest’ultimo.
Ricordiamo che in altra sentenza della cassazione sezione 5 numero 23010/2013 si è affermato il seguente principio: è valida la querela proposta dai genitori della persona offesa, minore ultraquattordicenne, ancorché quest’ultimo non sia mai venuto a conoscenza del fatto lesivo commesso nei suoi confronti, considerato che la previsione di cui all’art. 120, comma terzo, cod. pen. – riconoscendo il diritto di querela al minore ultra quattordicenne e disponendo che, in sua vece, tale diritto possa essere esercitato dal genitore nonostante ogni contraria dichiarazione di volontà, espressa o tacita del minore stesso – mantiene la legittimazione all’esercizio del diritto di querela in capo al genitore del minorenne dissenziente, con la conseguenza che, in caso di dissenso, la volontà del minore è “tamquam non esset” e che è, pertanto, irrilevante, a tal fine, la circostanza che egli sia venuto o meno a conoscenza della condotta delittuosa in suo danno.
Prendendo – in primo luogo – le mosse dal dato normativo (di cui all’art. 120 c.p., comma 3) va focalizzata, la parte del dettato precettivo che, dopo il riconoscimento del diritto di querela in capo al minore ultraquattordicenne (inibito, invece al minore infraquattordicenne, con contestuale sua attribuzione al genitore, nell’ambito dell’ordinario potere di rappresentanza a quest’ultimo attribuito ex lege), dispone che, in sua vece, lo stesso diritto possa essere esercitato dal genitore, soggiungendo che ciò può aver luogo nonostante ogni contraria dichiarazione di volontà, espressa o tacita del minore…… Di talché, in caso di minore-persona offesa che abbia compiuto gli anni quattordici, il legislatore ha previsto una doppia legittimazione, in capo allo stesso minorenne ed all’esercente della potestà genitoriale.
Il conferimento della doppia titolarità del diritto di querela comportava, nondimeno, la necessità di superare possibili situazioni conflittuali nascenti da eventuale volontà contraria di uno dei due soggetti abilitati.
In ipotesi di dissenso del genitore, la norma nulla dice, lasciando, implicitamente, ritenere che, in tal caso, debba prevalere la volontà del minore, siccome portatore dell’interesse giuridico direttamente leso dal fatto illecito da altri commesso nei suoi confronti, anche in ragione del fine di politica criminale di favorire quanto più possibile il perseguimento di azioni delittuose.
Viceversa, nell’ipotesi in cui la volontà contraria, tacita od espressa, sia, invece, manifestata dallo stesso minore, il legislatore mantiene la legittimazione in capo al suo genitore.
Tale potere surrogatorio trova agevole spiegazione nella ridotta capacità di determinazione e di agire del minore ultraquattordicenne e nella conseguente semipiena capacità, da parte sua, di apprezzare le conseguenze lesive di un fatto-reato nella sfera giuridica dei suoi interessi, in tutti i possibili riflessi patrimoniali o morali.
Il perspicuo disposto normativo induce a ritenere – in termini di valida inferenza logica – che il mantenimento della legittimazione all’esercizio del diritto di querela in capo al genitore del minorenne dissenziente costituisca fattispecie giuridica che ricomprenda necessariamente – come il più comprende il meno – anche l’ipotesi in cui il minore non sia venuto a conoscenza (magari per responsabile scelta del di lui genitore o comunque delle persone a lui vicine) della condotta delittuosa in suo danno.
Insomma, in caso di dissenso del minore, la sua volontà è tamquam non esset e, se posta nel nulla dal legislatore, deve allora ritenersi, a fortiori, affatto irrilevante che egli sappia o meno dell’azione delittuosa in suo danno.
L’opzione ermeneutica non è, infatti, aderente alla menzionata ratio legis.
In base ad essa è possibile, infatti, individuare, nell’arco di tempo della minore età, due distinte fasce temporali, ai fini della titolarità del diritto di querela: sino agli anni quattordici, il minore è privo di siffatto diritto, donde l’assoluta irrilevanza della sua volontà; oltre gli anni quattordici, il diritto gli è riconosciuto, ma convive con autonomo diritto in capo all’esercente la potestà genitoriale ed è destinato a cedere nei confronti di quest’ultimo ove la facoltà che lo sostanzia intendesse esplicarsi negativamente, ossia nella rinuncia ad avvalersene.
In riferimento ad entrambe le fasce temporali non ha rilievo giuridico alcuno che il minore sia o meno a conoscenza del fatto illecito in suo danno, giacché in nessun caso la sua contraria volontà potrebbe prevalere sulla volontà del genitore orientata all’esercizio del diritto di querela.
Tanto, in ragione, ancora una volta, del favor querelae che il legislatore penale ha mostrato in più occasioni e che la lezione giurisprudenziale ha fatto proprio n diverse circostanze, come nella lettura volta a privilegiare la volontà querelatoria in qualsiasi forma espressa, al di là dell’uso di formule sacramentali
