Dichiarazione/elezione di domicilio: la disciplina abrogata dalla Legge 114/2024 è applicabile a tutte le impugnazioni proposte fino al 24 agosto 2024  e non è incostituzionale (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 43679/2024, udienza del 5 novembre 2024, in adesione ad un consistente indirizzo interpretativo di legittimità, afferma la persistenza degli oneri aggiuntivi all’impugnazione posti dall’abrogato comma 1-ter, dell’art. 581, cod. proc. pen., per tutte le impugnazioni proposte prima dell’entrata in vigore della legge abrogativa ed esclude al riguardo qualsiasi profilo di illegittimità costituzionale.

In fatto

Con ordinanza del 3 aprile 2024 la Corte di appello di dichiarava inammissibile l’appello proposto nell’interesse di SM avverso la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti il 13 settembre 2023 dal Tribunale, in quanto con l’atto d’impugnazione non era stata depositata la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di appello, in violazione di quanto disposto dall’art. 581, comma 1-ter, del codice di rito.

Ricorso per cassazione

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso SM, a mezzo del proprio difensore, chiedendone l’annullamento per violazione di legge.

L’imputata in primo grado aveva eletto [recte: dichiarato] domicilio presso il proprio luogo di residenza e l’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. non prevede che la elezione di domicilio debba essere necessariamente effettuata dopo la pronunzia della sentenza impugnata né che vi debba essere una dichiarazione/elezione di domicilio espressamente finalizzata alla notifica del decreto di citazione.

Una diversa interpretazione della norma sarebbe in contrasto con il principio del giusto processo e con il diritto di difesa e imporrebbe di sollevare questione di costituzionalità, in relazione agli artt. 3, 24, 27 e 111, Cost.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso va rigettato perché proposto con un motivo infondato.

L’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. stabilisce che «Con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio».

L’inammissibilità dell’impugnazione, in caso di inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 581, cod. proc. pen., è prevista anche dall’art. 591, comma 1, lett. c), del codice di rito. Secondo l’informazione provvisoria, le Sezioni unite di questa Corte, all’esito dell’udienza del 24 ottobre 2024 hanno affermato i seguenti principi: «La disciplina contenuta nell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. – abrogata dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024 – continua ad applicarsi alle impugnazioni proposte sino al 24 agosto 2024. La previsione ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. deve essere interpretata nel senso che è sufficiente che l’impugnazione contenga il richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, tale da consentire l’immediata e inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione». Nel caso di specie l’atto di appello e il mandato ad esso allegato non contenevano alcun richiamo ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio, riportando solo la residenza dell’imputata, dopo l’indicazione del luogo e della data di nascita.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’impugnazione.

Non si può poi con fondamento porre alcuna questione di legittimità costituzionale della nuova norma, come già ritenuto da questa Corte in numerose pronunce.

Ricordato che nella sentenza n. 34 del 26 febbraio 2020 la Corte costituzionale ha «ribadito che la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 274 e n. 242 del 2009, n. 298 del 2008, n. 26 del 2007, n. 288 del 1997, n. 280 del 1995; ordinanze n. 316 del 2002 e n. 421 del 2001)», si è affermato che l’art. 581, comma 1-quater, e l’art. 581, comma 1-ter, del codice di rito «non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, bensì perseguono il legittimo scopo di far sì che le impugnazioni vengano celebrate solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato, per evitare la pendenza di regiudicande nei confronti di imputati non consapevoli del processo, oltre che far sì che l’impugnazione sia espressione del personale interesse dell’imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo» (Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023).

Dette norme, «non comportando una limitazione all’esercizio del potere di impugnazione spettante personalmente all’imputato, ma regolando le modalità di esercizio della concorrente ed accessoria facoltà spettante al suo difensore, non si pongono direttamente in contrasto né con il principio costituzionale della inviolabilità del diritto di difesa, di cui all’art. 24 Cost., né con il correlato principio della presunzione di non colpevolezza operante fino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, di cui all’art. 27, secondo comma Cost.; né, in quanto tali, toccano il diritto costituzionale ad impugnare (peraltro, solo con il ricorso per cassazione e per violazione di legge) ogni sentenza, riconosciuto dall’art. 111, settimo comma, Cost. Deve, perciò, escludersi, che tali nuove disposizioni producano un ingiustificato ovvero un “non ragionevolmente giustificato” squilibrio nei rapporti tra le parti necessarie del processo penale, cioè l’imputato e il rappresentante della pubblica accusa» (Sez. 6, n. 3365 del 20/12/2023, dep. 2024).

Inoltre, «le disposizioni di cui ai commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 cit. si  pongono in stretta correlazione con la nuova disciplina del processo in assenza, tesa a ridurre il rischio di celebrare processi a carico di imputati involontariamente inconsapevoli, assicurando, d’altro canto, il diretto coinvolgimento dell’imputato, ora chiamato a rilasciare uno specifico mandato al difensore per impugnare, mandato che rappresenta un indice ulteriore di conoscenza certa della pendenza del processo.

E sempre in correlazione al più ampio ambito di applicazione delle regole del giudizio in absentia, è stata anche modificata la disciplina della rescissione del giudicato, rapportandola alla prova della mancanza di conoscenza della pendenza del processo che può essere ora riferita anche soltanto al giudizio di appello (Sez. 6, n. 6264 del 10/01/2024).

L’onere richiesto all’appellante non è irragionevole o ingiustificato rispetto all’esigenza di consentirgli la certa conoscenza della celebrazione del processo di appello e, dunque, la possibilità di parteciparvi con piena consapevolezza.

Si è rimarcato che «la scelta del legislatore di modulare la durata di efficacia della prima elezione o dichiarazione di domicilio, chiedendo di rinnovarla a chi la abbia già compiuta, attualizzandola, consegue ad una saggia e razionale presa d’atto dell’esperienza giudiziaria, in attuazione del cd. principio di realtà, che vede anche accrescersi l’esercizio del diritto alla mobilità del cittadino, il che implica la necessità di un aggiornamento quanto al domicilio eletto o dichiarato. Pertanto, non è assolutamente irragionevole richiedere un nuovo atto di volontà (elezione) o di scienza (dichiarazione) avente comunque valore processual-negoziale (cfr. Sez. 6, n. 26631 del 12/05/2016; Sez. 6, n. 4921 del 09/12/2003) a ridosso del nuovo grado di giudizio, quindi maggiormente in grado, per “prossimità” al giudizio di impugnazione, di garantire l’effettività della conoscenza della citazione per il giudizio medesimo»; pertanto, «quello richiesto all’impugnante è un onere di diligenza, di natura collaborativa, che ben si giustifica a fronte della complessità dei giudizi di impugnazione e della necessità della giusta – per la corretta e certa istaurazione del contraddittorio – e celere definizione degli stessi, nello stesso interesse dell’impugnante» (così Sez. 5, n. 46831 del 22/09/2023).

È stata altresì rimarcata la conformità alla Costituzione e alla Convenzione EDU della vigente disciplina processuale penale, anche in casi di limitazioni ben più gravi di quella posta dall’art. 581, comma 1-ter, come nella parte in cui non consente la difesa personale o in cui non permette la proposizione personalmente, da parte dell’imputato, del ricorso per cassazione; è ragionevole, quindi, lo «scopo perseguito dal Legislatore, ossia la proposizione di impugnazioni consapevoli da parte dell’imputato […] senza che dai più stringenti requisiti posti dalla stessa norma a pena di inammissibilità derivi un pregiudizio per lo stesso imputato» (Sez. 5, n. 39166 del 04/07/2023).

Le argomentazioni e i princìpi ora richiamati, recepiti dalla costante giurisprudenza di legittimità e pienamente condivisibili, giustificano il rigetto del ricorso.