Dolo eventuale e colpa cosciente: un confine sempre labile e incerto (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 44407/2022, udienza del 10 ottobre 2022, ha ricordato che, in tema di elemento soggettivo del reato, le Sezioni unite hanno tracciato chiaramente il discrimen tra il dolo eventuale e la colpa cosciente, affermando che ricorre il primo quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo (Sez. U, n. 38343 del24/04/2014 Ud. (dep. 18/09/2014), Espenhahn e altri). Le Sezioni unite hanno, dunque, rimarcato la centralità nel dolo eventuale della componente volitiva dell’elemento soggettivo, affermando che “se la previsione è elemento anche della colpa cosciente è sul piano della volizione che va ricercata la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente“, laddove “la colpevolezza per l’accettazione del rischio non consentito corrisponde alla colpevolezza propria del reato colposo non alla più grave colpevolezza che caratterizza il reato doloso“.

Ai fini della configurabilità del dolo eventuale, pertanto, non basta “la previsione del possibile verificarsi dell’evento; è necessario anche – e soprattutto – che l’evento sia considerato come prezzo (eventuale) da pagare per il raggiungimento di un determinato risultato”.

Nella prospettiva tracciata dalle Sezioni unite (par. 50) dirimente ai fini della configurabilità del dolo eventuale è un “atteggiamento psichico che indichi una qualche adesione all’evento per il caso che esso si verifichi quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta”. Nella consapevolezza della complessità dell’accertamento giudiziale, le Sezioni unite hanno enucleato alcuni indicatori del dolo eventuale, quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il  contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (c.d. formula di Frank).

Questo vuoi dire che, per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta, aderendo psicologicamente ad essa potendo fondarsi sugli indicatori sopra richiamati nell’indagine giudiziaria volta a ricostruire l’iter” e l’esito del processo decisionale, può (Sez. 5, n. 23992 del 23/02/2015).

Può dirsi, quindi, che sussiste il dolo eventuale, e non la colpa cosciente, quando l’agente si sia rappresentato la significativa possibilità di verificazione dell’evento e si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di cagionarlo come sviluppo collaterale o accidentale, ma comunque preventivamente accettato, della propria azione, in modo tale che, sul piano del giudizio controfattuale, possa concludersi che egli non si sarebbe trattenuto dal porre in essere la condotta illecita, neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento medesimo (Sez. 1, n. 18220 del’11/03/2015).

Mentre, ricorre la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo (Sez. 4, n. 35585 del 12/05/2017).

A questa complessive argomentazioni merita di essere aggiunta un’ulteriore puntualizzazione che si deve a Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 10599/2024, udienza del 21 dicembre 2023, la quale, dopo avere richiamato i medesimi indicatori della ricorrenza del dolo eventuale elencati nella decisione Espenhahn e altri, ha affermato altresì che “Nell’ordinamento italiano la graduazione della responsabilità in siffatte ipotesi si colloca in un’area individuabile attraverso le sfumature della interpretazione della sfera volitiva dell’agente. È peraltro vero che le importanti affermazioni contenute nella nota sentenza relativa al caso Thyssenkrupp consentono di ricavare il grado di responsabilità soggettiva (colposa o dolosa) del soggetto attivo non solo dall’indagine personologica sul soggetto attivo, dei motivi determinanti la sua azione, ma altresì dalla caratterizzazione del fatto storico per come esso si presenta nel suo svolgimento diacronico (prima, durante e dopo la consumazione del reato), senza trascurare – dato, questo, di peculiare importanza nel caso di specie – le conseguenze negative per l’autore che possano derivare dalla sua condotta. Deve, quindi, evitarsi di ricondurre nel fuoco del dolo ogni comportamento improntato a grave azzardo, quasi che la distinzione tra dolo e colpa fosse basata su un dato “quantitativo” della sconsideratezza della condotta (uguagliando la maggiore sconsideratezza al maggiore tasso di rappresentazione e volizione), piuttosto che su un accurato esame delle specificità del caso concreto, attraverso il quale pervenire al dato differenziale di fondo: ossia attribuire o meno al soggetto attivo un atteggiamento di volizione dell’evento lesivo o mortale (intesa in senso ampio, ossia comprensiva dell’accettazione dell’eventualità concreta)”.

Risulta ugualmente utile Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 681/2021, udienza del 16 dicembre 2020, per la particolarità dei fatti sottostanti, i quali sono così descritti:

Con l’ordinanza indicata in rubrica il Tribunale del riesame ex art. 309 cod. proc. pen., ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere applicata a SB con ordinanza 14.08.2020 del GIP in sede per il delitto di omicidio volontario commesso il 26.07.2020 nei confronti di WS. Secondo la ricostruzione del fatto operata dal GIP nell’ordinanza genetica e condivisa dal Tribunale, WS era caduto a terra in prossimità di un incrocio dopo aver perso il controllo della moto a seguito di frenata; SB, che proveniva dall’opposta direzione di marcia alla guida di una Fiat Bravo con l’intenzione di svoltare a sinistra all’incrocio, aveva effettuato detta manovra in accelerazione, nonostante – secondo l’ipotesi accusatoria – avesse assistito alla caduta del motociclista davanti a sé; nell’effettuare la svolta, l’indagato aveva investito e sormontato con la ruota anteriore sinistra della Fiat Bravo il corpo di WS, agganciandolo sotto la scocca e trascinandolo per una trentina di metri finché l’ingombro del corpo ne aveva arrestato la marcia; l’indagato era quindi fuggito dopo aver abbandonato l’autovettura, senza prestare soccorso alla vittima, deceduta a causa delle lesioni riportate nell’investimento; SB si era presentato spontaneamente il giorno successivo alla questura, affermando di aver visto il motociclista arrivare dalla direzione opposta, frenare e perdere il controllo del mezzo, dopodiché la moto aveva proseguito la corsa sulla sinistra della vettura, mentre la vittima era finita sulla sua destra; egli si era quindi fermato, era sceso dalla vettura e, constatata la presenza dell’uomo sotto il veicolo, preso dal panico si era allontanato a piedi in stato confusionale, dopo aver chiesto aiuto a delle persone sopraggiunte e cercato di estrarre il corpo da sotto la Fiat Bravo; in sede di interrogatorio reso al pubblico ministero il giorno successivo SB, che era privo di patente perché destinatario di provvedimento sospensivo, aveva confermato le dichiarazioni spontanee rese alla p.g., precisando di aver iniziato la manovra di svolta a sinistra pensando che il corpo del motociclista lo avesse superato e di non aver potuto comunque evitare l’impatto. Il Tribunale riteneva pacifica la dinamica del fatto e la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, non contestate dalla difesa; quanto all’elemento soggettivo, giudicava sussistente, a livello di gravità indiziaria, la prova del dolo nella sua forma eventuale, ricavabile dalla scelta compiuta da SB, pur nella piena consapevolezza della presenza del motociclista riverso a terra (verosimilmente ferito) sulla sede stradale, di accelerare ed effettuare comunque la manovra di svolta a sinistra, senza preoccuparsi di verificare la posizione del corpo dell’uomo rispetto alla vettura, invece di arrestarsi e prestare soccorso; l’indagato aveva proseguito la marcia senza soluzione di continuità anche dopo aver sormontato e agganciato la vittima, trascinandola per circa trenta metri vincendo l’ostacolo rappresentato dal corpo incastrato sotto la scocca della vettura, ponendo in essere una condotta connotata dalla volontaria accettazione del rischio di cagionare la morte della vittima; implausibile doveva ritenersi, secondo il Tribunale, la versione di SB secondo cui il corpo del motociclista si sarebbe incastrato accidentalmente, per scivolamento dopo la caduta, sotto la Fiat Bravo. Il giudice del riesame confermava anche le esigenze cautelari, desumendo il pericolo concreto di recidiva specifica dalla personalità allarmante dell’indagato, rivelatosi insofferente delle regole del vivere civile, e riteneva ostativa alla concessione di una misura gradata la precedente condanna per evasione dagli arresti domiciliari, non riducibile a un fatto di lieve entità”.

Il collegio di legittimità ha ritenuto fondato il ricorso con cui SB ha censurato l’omesso confronto dell’ordinanza impugnata col tema della riconducibilità dell’elemento psicologico del reato alla colpa aggravata dalla previsione dell’evento (c.d. colpa cosciente, costituente circostanza aggravante del delitto colposo ex art. 61 n. 3 cod. pen.), anziché alla figura del dolo eventuale, ed ha pertanto annullato l’ordinanza medesima.

La motivazione della decisione ha assunto in premessa la condivisibilità della decisione Espenhahn e altri.

È poi proseguita in questi termini:

Il problema dell’accertamento del dolo eventuale si sposta dunque sul terreno della prova e richiede, come deve avvenire in tutti i casi di valutazioni indiziarie (per giunta volte, nella specie, a scrutinare l’atteggiamento psichico della persona, e non un fatto naturalistico), un’indagine approfondita e connotata da estrema attenzione all’analisi e alla comprensione dei dettagli, diretta esclusivamente alla piena cognizione dei fatti ritenuti indicativi e rilevanti nella ricostruzione probatoria della reale volontà dell’agente, che devono essere vagliati e ponderati criticamente nel loro significato oggettivo, senza forzature e rifuggendo dall’applicazione di meccanismi presuntivi incapaci di assicurare un persuasivo giudizio finale in ordine alla sussistenza in concreto, oltre ogni ragionevole dubbio, dell’elemento volontaristico che deve caratterizzare – quale momento essenziale e imprescindibile del riconoscimento della figura del dolo eventuale – la connessione tra l’atteggiamento interiore dell’agente e l’evento che si è verificato.

La naturale difficoltà di accertamento che contraddistingue, perciò, l’indagine tesa a riscontrare la presenza, nell’animo dell’agente, dell’elemento psichico del dolo eventuale esige una speciale cautela, che si traduce sul piano degli esiti processuali – come puntualmente osservato dalle Sezioni unite – nella (consueta) conseguenza per cui, in tutte le situazioni probatorie che permangano incerte o irrisolte alla stregua della fondamentale regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, codificata nell’art. 533 comma 1 cod. proc. pen., il giudice deve attenersi al principio del favor rei, ed escludere quindi l’imputazione soggettiva più grave in favore di quella meno grave (costituita, nel caso di specie, dalla colpa cosciente); e ciò anche al fine di evitare qualsiasi rischio che il giudizio sulla colpevolezza del soggetto, rispetto al fatto concreto, possa finire per sottintendere un (inammissibile) giudizio sul tipo d’autore.

Con riguardo alla definizione della colpa cosciente e alla ricerca della linea di demarcazione col dolo eventuale, la sentenza n. 38343 del 2014 delle Sezioni unite ha individuato il nucleo essenziale della colpevolezza colposa connotata dalla previsione dell’evento nell’atteggiamento psicologico del soggetto che, pur avendo concreta consapevolezza dell’attualità della connessione causale rischiosa, del nesso immediato tra cautela ed evento – nel senso che la verificazione dell’illecito non costituisce una prospettiva teorica, ma diviene evenienza concretamente presente nella mente dell’agente – si astiene dalla condotta doverosa volta a presidiare il rischio di verificazione dell’evento: in questa mancanza consiste, dunque, l’essenza della colpa cosciente, per cui il soggetto consapevole di agire in una situazione rischiosa, per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altra biasimevole ragione, si astiene dall’agire doverosamente.

Si tratta di una situazione psicologica del tutto diversa da quella rappresentata dalla puntuale conoscenza del fatto che costituisce il fondamento del rimprovero doloso, basato sulla positiva adesione dell’agente all’evento collaterale che, ancor prima che accettato, deve essere chiaramente rappresentato.

Ciò che connota la consapevolezza colposa non è l’esistenza, nell’agente, di un processo di previsione e contro-previsione (o previsione negativa) in ordine alla verificazione dell’evento: pur non escludendosi che tale situazione possa in qualche caso verificarsi, essa non è un tratto fondante, immancabile, della previsione che caratterizza la colpa cosciente. Trova così conferma la conclusione che il dolo eventuale non può identificarsi con l’accettazione del rischio dell’evento: trovarsi in una situazione di rischio, avere consapevolezza di tale contingenza e purtuttavia regolarsi in modo malaccorto, trascurato, irrazionale, senza cautelare il pericolo, è tipico della colpa, che è malgoverno di una situazione di rischio; in tale figura non vi è finalismo, non vi è la rappresentazione di un esito immancabile o altamente probabile tipica del dolo, che confligge apertamente con la mera accettazione del rischio.

La motivazione dell’ordinanza impugnata non si è confrontata in modo adeguato e puntuale coi suddetti principi di diritto, che esigevano la rigorosa verifica della ricorrenza – nella condotta e nell’atteggiamento psichico dell’indagato – dell’elemento volontaristico tipico del dolo, costituito non solo e non tanto dalla consapevolezza della presenza del motociclista riverso a terra sulla sede stradale e dalla conseguente rappresentazione del suo possibile investimento come effetto della manovra di svolta a sinistra dell’autovettura, né dalla mera accettazione del rischio di verificazione del relativo evento, quanto invece dalla concreta adesione psichica all’accadimento dell’evento-morte, mediante il positivo accertamento della determinazione volitiva del ricorrente di agire comunque, ciò nonostante e dopo aver valutato l’eventuale prezzo da pagare, anche a costo di causare la morte della vittima, pur di perseguire e realizzare il fine primario della condotta costituito dall’ultimazione della manovra di svolta e dall’allontanamento dai luoghi alla guida della vettura.

Gli elementi valorizzati dal tribunale a supporto del dolo omicidiario, costituiti dalla concreta consapevolezza dell’agente dell’attualità della situazione di rischio e dalla sua astensione dalla condotta doverosa volta a presidiare, in quella situazione, il rischio di accadimento dell’evento, che imponeva al conducente dell’autovettura di verificare la posizione del corpo del motociclista rispetto alla propria traiettoria di marcia, astenendosi dal proseguire e dall’effettuare la manovra di svolta in mancanza del relativo accertamento, esigendo che arrestasse la marcia non appena resosi conto dell’investimento, appaiono privi in realtà di valenza decisiva, in quanto risultano altrettanto compatibili con l’atteggiamento psichico di trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altra biasimevole ragione, che si è visto essere tipico della colpa cosciente”.