Linee guida della Procura di Tivoli in tema di reati del Codice rosso e stato di agitazione proclamato dalla locale Camera penale: i due documenti (Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Riceviamo dal Direttivo della Camera penale di Tivoli e volentieri diffondiamo una sua delibera di proclamazione dello stato di agitazione, allegata alla fine del post.

I penalisti associati tiburtini intendono così manifestare il loro dissenso sulle recenti linee guida, anch’esse allegate, diramate dalla Procura della Repubblica di Tivoli in tema di applicazione del delitto di maltrattamenti e su ulteriori questioni procedimentali e processuali relative ai reati di violenza di genere, domestica e contro le donne.

Ben si comprende che si tratta di temi di drammatica e costante attualità ed è apprezzabile e condivisibile l’impegno delle autorità statuali volto a reprimere e sanzionare adeguatamente condotte che contraddicono il modello di società tra liberi e uguali disegnato dalla Costituzione in cui ognuno, quale che sia il suo genere, deve poter vivere libero dal timore e dalla sopraffazione.

È quindi parimenti apprezzabile che un ufficio del pubblico ministero, come è stato nel caso di specie, mostri di avere percepito l’importanza dei beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici citate e regoli la propria attività secondo un’organizzazione predeterminata, individuando tra i suoi compiti prioritari la tutela delle presunte parti offese ed evitando che l’azione investigativa corra il rischio di infliggere loro una sorta di vittimizzazione secondaria.

È un bene che questa sensibilità si manifesti anche perché la sua diffusione è ben lontana dall’universalità ed è ancora vivido il ricordo di condanne brucianti a Strasburgo per il nostro Paese in conseguenza di colpevoli inerzie statuali nell’ambito di cui si parla.

Dal canto loro i penalisti di Tivoli muovono rilevanti obiezioni di cornice e di dettaglio: chiedono che anche nei procedimenti per reati del Codice rosso siano salvaguardate pienamente e senza cedimenti le guarentigie degli accusati e che la naturale empatia verso chi appare aver subito delitti che ne umiliano il corpo e l’anima non travolga e rinneghi lo scopo del processo e del contraddittorio che ne è il cuore.

Chiedono, in buona sostanza, di poter esercitare pienamente e senza ostacoli o stigmi nella sede giudiziaria il loro ministero difensivo e ricordano un’ovvia verità: che ci sia una vittima e che ci sia un colpevole può dirlo solo un giudizio definitivo condotto secondo il codice di rito e i principi costituzionali che lo ispirano.

È un confronto tra due funzioni ed è bene che i confronti ci siano.