Giudizio dinanzi la Suprema Corte: a geometria variabile, cartolare, riservato e non partecipato (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 42163/2024, udienza del 29 ottobre 2024, ha affermato che la cartolarità e la riservatezza sono gli attuali tratti tipici del giudizio dinanzi la Suprema Corte.

La riforma dell’art. 611 cod. proc. pen. — operata dall’art. dall’art. 35, comma 1, lett. a), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 — introduce al comma 1 la regola per cui il ‘modulo base’ per il giudizio di legittimità è quello della trattazione in camera di consiglio, senza la partecipazione delle parti.

La natura generale di tale modello è confermata anche dalla circostanza che la stessa rubrica dell’art. 611 cod. proc. pen. è stata modificata da «Procedimento in camera di consiglio» a «Procedimento», volendone così indicarsi la disciplina come regolatrice di ogni giudizio di legittimità. Il decreto legislativo recepisce quanto già affermato dalle Sezioni unite che — rilevando la differenza fra la direttiva n. 95 contenuta nell’art. 2 della legge-delega n. 81 del 1987, concernente il «diritto delle parti di svolgere le conclusioni davanti alla Corte di cassazione», rispetto alla precedente legge-delega del 1974 (legge 3 aprile 1974, n. 108) che, nella direttiva n. 77, si riferiva, invece, alla «necessità delle conclusioni della difesa nel dibattimento davanti alla Cassazione» — già rilevava come la diversa formulazione dei due principi fosse indicativa «dell’intento di semplificare i mezzi di impugnazione mediante l’eliminazione di interventi e presenze non assolutamente necessari, considerando anche la peculiarità del giudizio di legittimità, la quale ben consente la possibilità di affidare i motivi di ricorso ad un atto scritto, senza l’obbligatorietà della illustrazione ed esposizione orale» (Sez. U, n. 51207 del 17/12/2015, Maresca, in motivazione).

Proseguivano le Sezioni unite rilevando come sia proprio la tipicità del giudizio di cassazione a giustificare la scelta del rito camerale da parte del legislatore, «il quale, tuttavia, ha comunque lasciato inalterato il ricorso all’oralità del procedimento camerale laddove lo richiedano la posizione processuale dei soggetti coinvolti e l’oggetto del giudizio, con la conseguenza che il procedimento nella forma non partecipata ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., in deroga a quanto previsto dall’art. 127 cod. proc. pen., costituisce una regola nel giudizio di cassazione, operante salvo che sia diversamente stabilito».

Pertanto, la scelta operata dal legislatore delegato del 2022 risulta fisiologica evoluzione rispetto a tali principi, che già ritenevano ‘sostenibile’ una generalizzata semplificazione del rito di legittimità nel senso indicato (sul valore della ‘regola’ del rito camerale, si veda anche Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014, Burba, in motivazione al par. 6).

D’altro canto, nella stessa direzione si muoveva la Commissione Lattanzi (Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. A.C. 2435 del 24 maggio 2021, par. 2.11), che, per garantire l’effettività della funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, a garanzia di «beni costituzionali di primario rilievo – primo tra tutti il canone di uguaglianza e il principio di legalità», proponeva l’estensione della trattazione con contraddittorio scritto per tutti i procedimenti, anche qualora il provvedimento impugnato fosse stato pronunciato in dibattimento.

Ciò in quanto «vista la natura tecnica del giudizio di cassazione, si ritiene che questa modalità possa assicurare una dialettica adeguata, non essendovi vincoli convenzionali o costituzionali rispetto alla trattazione orale; ciò nondimeno, considerata la portata degli interessi in gioco nel processo penale, si è prevista la facoltà per il ricorrente e per le parti di ottenere la trattazione orale a richiesta».

L’art. 1, comma 13, lett. m), della I. 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), infatti, recepiva la soluzione indicata dalla Commissione Lattanzi sul punto: «prevedere che la trattazione dei ricorsi davanti alla Corte di cassazione avvenga con contraddittorio scritto senza l’intervento dei difensori, salva, nei casi non contemplati dall’articolo 611 del codice di procedura penale, la richiesta delle parti di discussione orale in pubblica udienza o in camera di consiglio partecipata; prevedere che, negli stessi casi, la Corte di cassazione possa disporre, anche in assenza di una richiesta di parte, la trattazione con discussione orale in pubblica udienza o in camera di consiglio partecipata; prevedere che la Corte di cassazione, ove intenda dare al fatto una definizione giuridica diversa, instauri preventivamente il contraddittorio nelle forme previste per la celebrazione dell’udienza».

L’intervento riformatore è dunque il frutto di una evoluzione ponderata e condivisibile, che giunge a compimento nelle attuali forme, basate sui cardini della ‘cartolarità’ e della ‘riservatezza’, con il chiaro intento di garantire la ragionevole durata del processo e il minor dispendio di risorse, umane e di tempo, per assicurare la finalità nomofilattica propria del giudizio di legittimità.

Il comune modulo di trattazione camerale senza partecipazione, poi, può trasformarsi, in udienza pubblica o in camera di consiglio partecipata, a seconda dei casi. Il modulo base delineato dall’art. 611 cod. proc. pen. è derogabile a fronte di esigenze peculiari, specificamente individuate.

Nel giudizio di legittimità — per così dire, a ‘geometria variabile’ — è consentito il ‘recupero’ della oralità a seguito dell’esercizio del diritto potestativo di una delle parti alla partecipazione in presenza, in forma camerale o pubblica (in tale ultimo caso il ‘recupero’ riguarda anche la forma pubblica dell’udienza), a seconda dei moduli procedimentali che hanno condotto al provvedimento impugnato (comma 1-bis ); nonché, se la trattazione in presenza è disposta officiosamente dalla stessa Corte «per la rilevanza delle questioni sottoposte al suo esame» e se la Corte di cassazione «ritiene di dare al fatto una definizione giuridica diversa» (commi 1-quater e 1-sexies).