Atti persecutori e maltrattamenti in famiglia: il divieto di avvicinamento prevale sul diritto di visita del figlio minore da parte del genitore indagato (Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 43689 depositata il 28 novembre 2024 ha ricordato che in tema di atti persecutori, oltre che di maltrattamenti in famiglia, deve ritenersi legittimo il provvedimento cautelare che disponga il divieto di avvicinamento dell’indagato al figlio minore vittima di violenza domestica, anche solo assistita, nonostante il diritto di visita riconosciuto dal giudice civile della separazione, dovendo ritenersi prevalenti, in funzione del “best interest of the child”, le ragioni di tutela del minore da ogni pregiudizio su quelle del soggetto maltrattante ad esercitare le prerogative genitoriali.

La sentenza suindicata ha confermato il principio espresso dalla medesima sezione con la sentenza numero 20004/2024 in tema di maltrattamenti in famiglia, è legittimo il provvedimento cautelare che disponga il divieto di avvicinamento dell’indagato al figlio minore vittima di violenza domestica, anche solo assistita, nonostante il diritto di visita riconosciuto dal giudice civile della separazione, dovendo ritenersi prevalenti, in funzione del “best interest of the child“, le ragioni di tutela del minore da ogni pregiudizio su quelle del soggetto maltrattante ad esercitare le prerogative genitoriali.

È stato evidenziato, nel caso di specie, che la violenza domestica è continuata e si è aggravata proprio dopo la separazione coniugale che, stante la natura discriminatoria del reato, rappresenta un atto di affermazione dell’autonomia e della libertà della donna, negate nella relazione di coppia dall’uomo maltrattante (Sez. 6, n. 46797 del 18/10/2023; Sez. 6, n. 23322 del 06/04/2023).

Si tratta di un dato, di comune esperienza, fatto proprio dalle Convenzioni internazionali (in questi termini v. il § 42 della Relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul, Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell’Il maggio 2011, ratificata con la legge 27 giugno 2013, n. 77), ulteriormente avvalorato anche dalle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte EDU nei confronti dell’Italia lì dove hanno rilevato che la separazione tra coniugi, intesa come scelta della donna di liberarsi dalle violenze subìte, avesse aggravato quelle già presenti nella relazione maltrattante (Talpis contro Italia, 2 marzo 2017; Landi c. Italia, 7 aprile 2022; De Giorgi c. Italia, 16 giugno 2022; M.S. c. Italia, 7 luglio 2022; I.M. e altri c. Italia, 10 novembre 2022).

Ciò vale soprattutto se si condivide un rapporto genitoriale, poiché, in situazioni di pregressa violenza domestica, sono proprio i figli a costituire per l’agente l’occasione o lo strumento per proseguire i maltrattamenti ai danni della persona offesa (Sez. 6, n. 9187 del 15/09/2022, dep. 2023).

Il Tribunale, nel ritenere «l’assoluta necessità di vietare qualsiasi forma di avvicinamento, allo stato legittimato dal diritto di visita disposto in sede di separazione consensuale» (pur senza braccialetto elettronico e con una distanza di soli 200 metri) ha operato un doveroso bilanciamento tra il diritto di visita del padre, stabilito in sede civile, e le esigenze di tutela della minorenne, che ne è stata vittima – sia diretta che come testimone di quelle praticate ai danni della madre (art. 572, ultimo comma, cod. pen.) -, ritenendo queste ultime prevalenti.

La conclusione cui è pervenuto il Tribunale del riesame, oltre a garantire che la persona offesa non venga posta in pericolo proprio dalla stessa Autorità giudiziaria, atteso che il Tribunale civile ha disposto che il diritto di visita del ricorrente avvenga obbligatoriamente alla presenza della moglie che ha dichiarato di essere vittima delle sue violenze, trova conforto, ancora una volta, nel principio, immanente all’ordinamento interno (artt. 2 e 30 Cost.) ed internazionale, del best interest of the child.

Questo non solo è sancito dalla CEDU (artt. 3 e 8), ma soprattutto dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176), il cui art. 3, paragrafo 1, stabilisce che «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente», e dalla richiamata Convenzione di Istanbul (artt. 26 e 48), soprattutto con riguardo all’art. 31, secondo cui, nei provvedimenti afferenti ai minori, devono essere prese in considerazione le eventuali pregresse azioni violente ad opera del genitore maltrattante (non solo nei casi di violenza diretta sui minori o da essi assistita, ma anche nei casi in cui la condotta violenta sia perpetrata esclusivamente in danno dell’altro genitore) e all’art. 51, che dispone che tutte le autorità – tra cui rientrano ovviamente i giudici civili in sede di separazione e divorzio – operino una corretta valutazione del rischio di reiterazione dei comportamenti violenti, per garantire sicurezza alle vittime di violenza domestica.

Il diritto del minorenne a non subire pregiudizi, fatto proprio dall’ordinamento interno, penale e civile, è stato ulteriormente ribadito e rafforzato, proprio in fase di separazioni e divorzi, dalla c.d. riforma Cartabia (il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ha infatti previsto una Sezione del Codice di procedura civile interamente dedicata alla «violenza domestica o di genere» ex artt. 473-bis, 40-46 cod. proc. civ.) sul presupposto che la sua tutela deve considerarsi sempre preminente rispetto ad interessi diversi od opposti, quali quelli del genitore che ha esercitato violenza (v., in tal senso, Corte EDU, I.M. e altri c. Italia, 10 novembre 2022, § 111, ove si afferma che «Per quanto riguarda i minori, che sono particolarmente vulnerabili, le disposizioni stabilite dallo Stato per proteggerli da atti di violenza che rientrano nell’ambito di applicazione degli articoli 3 e 8 devono essere efficaci ed includere misure ragionevoli per prevenire i maltrattamenti di cui le autorità erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza, nonché un efficace prevenzione per proteggere i minori da tali gravi forme di lesioni personali»).