Rifiuto di atti d’ufficio e omissione di atti d’ufficio: condizioni per la configurabilità (Riccardo Radi)

La Cassazione, sezione 6, con la sentenza numero 40174/2024 ha stabilito che il ritardo nel compimento dell’attività da parte del curatore fallimentare non integra il delitto di rifiuto di atti d’ufficio di cui all’art. 328, primo comma, cod. pen. se non sussista l’oggettiva indifferibilità dell’atto omesso, la quale presuppone che l’inerzia si protragga oltre la scadenza del termine assegnato, fino a generare un concreto pericolo di pregiudizio per il corretto andamento della funzione giudiziaria, né può inquadrarsi nella fattispecie omissiva di cui all’art. 328, secondo comma, cit. in difetto di una formale diffida ad adempiere, che non può ritenersi integrata dai solleciti rivolti dal giudice tramite la cancelleria.

La Suprema Corte, nel caso esaminato, premette che le oscillazioni con cui i giudici di merito hanno proceduto a riqualificare i fatti in senso antitetico tra loro, passando il giudice di primo grado dalla originaria imputazione ascritta per il reato di rifiuto di atti d’ufficio di cui all’art.328, comma 1, cod. pen. a quella omissiva di cui al comma 2 del medesimo articolo, ed il giudice di appello, rimodulando nuovamente la qualificazione, per tornare all’opposto a quella originaria del primo comma, sono la conseguenza di una evidente confusione ed assimilazione tra le due fattispecie di reato che, sebbene accomunate nello stesso articolo del codice pena sono in realtà nettamente distinte tra loro, perché radicalmente diverse sotto il profilo della stessa struttura e descrizione del fatto materiale.

I due commi del citato articolo descrivono, infatti, due distinte ipotesi di reato.

Il primo comma punisce la condotta del pubblico ufficiale che deliberatamente rifiuta un atto del suo ufficio che per ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica di ordine pubblico o di igiene e sanità deve essere compiuto senza ritardo.

Il secondo comma punisce il pubblico ufficiale che, fuori dei casi precedenti, entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto o del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo.

Nella prima ipotesi, in ragione dell’incidenza degli atti su materie specifiche (giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene o sanità), il mancato sollecito compimento dell’atto entro il più breve tempo possibile (ovvero “senza ritardo”) poiché incide su beni di valore primario, integra di per sé il reato, la cui consumazione coincide con la omissione del provvedimento dovuto in assenza di giustificazioni.

Nella seconda ipotesi, oltre a prevedersi un ambito operativo residuale rispetto al primo comma (“Fuori dei casi previsti dal primo comma”), a fini della integrazione della fattispecie, è necessario il concorso di due condotte omissive costituite dalla mancata adozione dell’atto entro trenta giorni dalla richiesta scritta della parte interessata e la mancata risposta sulle ragioni del ritardo.

Si tratta, pertanto, di due ipotesi autonome e del tutto distinte tra loro, essendo evidente che nei casi di cui al primo comma non assume rilevanza la richiesta della parte interessata al compimento dell’atto, atteso che anche la semplice inerzia rispetto ad una attività che per legge deve essere compiuta senza ritardo, può integrare l’indebito rifiuto che è pacificamente configurabile anche in caso di inerzia omissiva che, ritardando il compimento dell’atto oltre i termini prescritti dalla legge, si risolve in un rifiuto implicito, non essendo necessaria una manifestazione di volontà solenne o formale (vedi, Sez. 6, n.10051 del 20/11/2012).

Tanto ciò premesso, risultano evidenti gli errori in diritto rilevabili nelle sentenze di primo e secondo grado.

Nel giudizio di primo grado è stata pretermessa la rilevanza del presupposto formale della diffida che costituisce elemento indefettibile per la integrazione della fattispecie di cui al secondo comma, che, oltre a non essere stato accertato, neppure risultava descritto nella contestazione formulata dal Pubblico Ministero.

Viceversa, nel giudizio di appello, preso atto della carenza di detto presupposto formale, si è assimilata la fattispecie del rifiuto – contestata nell’imputazione originaria – al mero ritardo del compimento di atti di cui non è stato verificato il carattere dell’indifferibilità che costituisce il presupposto essenziale della fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 328 cod. pen.