Il 22 novembre 2024 il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, On. Alfredo Mantovano, è intervenuto al convegno di studi “Giustizia al Servizio del Paese – Il principio di legalità”, organizzato dalla Corte dei conti presso l’Istituto di Scienze Militari Aeronautiche di Firenze (a questo link per la fonte).
Nell’occasione ha tenuto una breve relazione dal titolo “Il principio di legalità nell’età del costituzionalismo multilivello”.
Il ruolo istituzionale del relatore e la sua indiscussa qualità di giurista di rango rendono doppiamente interessante il suo pensiero che, peraltro, ha ad oggetto un tema centrale nell’agenda politico-istituzionale sul quale si sta consumando un conflitto profondo tra l’Esecutivo e la magistratura.
Lo trascriviamo di seguito, evidenziato in corsivo ed in forma letterale ed integrale.
I neretti sono di chi scrive.
Intervento di Alfredo Mantovano
“Saluto il ministro della Giustizia e i vertici delle Giurisdizioni qui rappresentate, che non menziono uno per uno, come vorrei, solo per ragioni di tempo. Ringrazio il Pres. Carlino per l’invito, e la Corte dei conti per l’organizzazione del convegno. Anche a nome della Presidente del consiglio, manifesto in modo non formale gratitudine per l’operato delle Corti a tutela del diritto nel nostro ordinamento.
Non credo che l’intervento che mi è stato chiesto potrà qualificarsi conclusivo: non ha questa ambizione. Soprattutto non sintetizzerò i lavori di questi tre giorni: vorrei porre, con franchezza pari al rispetto per le istituzioni giudiziarie qui presenti, una serie di problemi che attengono al rapporto fra principio di legalità e principio democratico, al tempo del costituzionalismo multilivello.
Vorrei farlo percorrendo non il piano accademico, che non mi compete, ma un piano concreto, più coerente con le funzioni che ho l’onore di svolgere da un paio d’anni. Vorrei farlo auspicando un confronto tanto sincero quanto sereno.
Partiamo da un dato che immagino condiviso: l’adesione degli Stati nazionali alle organizzazioni sovranazionali ha permesso l’ingresso nel concetto di “legalità” di molti nuovi parametri normativi.
Si tratta di norme di fondamento diverso da quello conosciuto dalle Costituzioni degli Stati: norme solo indirettamente riconducibili a manifestazioni di sovranità popolare. E in questo esse si distinguono dalla fonte normativa emanata dall’organo che rappresenta il popolo, che è la legge votata dal Parlamento: quel che ha fatto dire che il principio di “legalità” si è trasformato in principio di “giuridicità”.
Questo ampliamento di prospettive genera sfide importanti per gli ordinamenti giuridici nazionali, e per la stessa struttura del diritto contemporaneo: la moltiplicazione delle fonti, se non viene affrontata con saggezza ed equilibrio, rischia di porre in discussione i pilastri su cui si fondano le Costituzioni degli Stati. Se i pilastri non reggono, i danni sono gravi, come ci racconta da anni, e in modo crescente, la realtà della giurisdizione.
Come è emerso durante il convegno, il principio di legalità, inteso nella sua accezione fondamentale della soggezione dei pubblici poteri alle regole del diritto, presenta almeno due componenti:
- una guarda al versante dell’effetto della legalità: la certezza del diritto e la prevedibilità della regola, e già qui sorgono problemi;
- l’altra guarda al versante della fonte della legalità: i pubblici poteri sono vincolati dalla regola in quanto espressione del depositario della sovranità, ossia – come in Italia recita l’art. 1 Cost. – il popolo sovrano.
È altrettanto comune la constatazione, nell’epoca del costituzionalismo multilivello, che il secondo versante del principio di legalità sia spesso svilito. Questo svilimento viene talora addirittura rivendicato, quale conquista dello ‘stato di diritto’.
Sintomi di svilimento sono che il rapporto della regola con la sovranità popolare, e con gli organi che la rappresentano, è raramente considerato dalle Corti sovranazionali. Prevale la logica di Habermas che confina le riserve di legge al versante procedurale, senza valorizzarne adeguatamente il surplus assiologico sostanziale. La regola sovranazionale nei fatti ha comunque la preminenza, pur se promana da una fonte non direttamente rappresentativa della sovranità popolare.
Lo svilimento del rapporto fra regola e sovranità popolare ha dei costi, non lievi. Genera incomprensioni e incertezze fra i vari attori della scena giuridica: pensiamo ai conflitti fra Corte di Giustizia dell’UE e Corti Costituzionali di alcuni Stati dell’Unione.
Quello svilimento indebolisce il funzionamento dei sistemi democratici, e rischia di minare le basi di legittimazione sociale del diritto e dei suoi interpreti.
Un cittadino può chiedersi che senso abbia votare per scegliere i propri rappresentanti al Parlamento, se poi le leggi del Parlamento sono disapplicate da qualche giudice di merito. Che senso abbia, soprattutto, se quella disapplicazione viene percepita – e la percezione incide sulla credibilità delle istituzioni – come ideologicamente connotata: perché ampiamente annunciata in interventi pubblici svolti talora in contesti politicamente marcati; e perché il riferimento al livello superiore spesso non è neanche una norma del diritto sovranazionale, bensì l’estrapolazione di brani di decisioni emesse da Corti sovranazionali: brani di frequente privi di attinenza con la materia oggetto di pronuncia di merito.
Ogni riferimento a vicende dei nostri giorni è voluto. Il disorientamento del cittadino è accentuato dalla circostanza che la disapplicazione avviene per settori di materie. Abbiamo visto che per l’immigrazione taluni giudici di merito pretendono di valutare quali Paesi siano sicuri e quali no, a prescindere dall’esito dell’assai complesso procedimento amministrativo previsto dall’ordinamento.
Non conosco però giudici che abbiano sollevato analoghe riserve per procedimenti amministrativi dalle cui conclusioni dipendono non già provvedimenti di rimpatri, bensì la condanna a più anni di reclusione: penso per es. all’iter di aggiornamento delle tabelle degli stupefacenti di cui è vietata la detenzione e la cessione. Ignoro, probabilmente per miei limiti, casi di sentenze che abbiano rivendicato la facoltà del giudice di stabilire, in totale autonomia, quando una sostanza psicotropa vada inserita nelle tabelle di cui al testo unico n. 309/1990. Perché questa disparità? (Ovviamente non ne auspico il superamento nel senso che adesso debbano disapplicarsi anche le tabelle sulle droghe).
Se vogliamo confrontarci con le sfide del costituzionalismo multilivello munendoci della saggezza e dell’equilibrio necessari, dobbiamo condividere un presupposto: le regole del vivere sociale si formano contemperando diversi valori, diversi diritti, diversi doveri, diversi interessi. Raramente un valore o un diritto hanno carattere assoluto, tale da imporsi su valori o interessi concorrenti senza compiere alcuna scelta e alcuna sintesi.
La democraticità di un ordinamento giuridico assume corpo se e nella misura in cui il bilanciamento fra i diversi interessi, diritti, doveri e valori, in cui si sostanziano le scelte e in cui si traducono le regole, viene effettuato da organi che rappresentano i consociati, e quindi la loro sovranità: cioè, dai Parlamenti nazionali.
Il pregio del costituzionalismo multilivello è stato ed è quello di porre argine a potenziali derive cui il principio di sovranità poteva condurre, e purtroppo aveva tragicamente condotto con i totalitarismi del secolo scorso.
È per questo che dopo l’ultimo conflitto mondiale, i popoli sovrani hanno condiviso l’introduzione di norme rigide nelle Costituzioni, e quindi hanno fissato regole del gioco valide anche per i successivi rappresentanti dei consociati, e meccanismi per garantirne la prevalenza. Vincolandosi sul piano internazionale, i rappresentati del popolo hanno poi scelto di condividere con altri Stati parte della propria sovranità: anzitutto all’interno dell’UE.
La situazione però desta preoccupazione, almeno sotto due profili.
In primo luogo, quanto al rapporto fra giudici e leggi.
Nell’epoca del costituzionalismo multilivello qualcuno può dire con serenità che la norma di cui all’art. 101 Cost. – “I giudici sono soggetti soltanto alla legge” – goda di buona salute?
Gli autovincoli costituzionali e sovranazionali rendono intangibile il nucleo dei diritti e dei doveri costituzionalmente garantiti: la loro definizione, il loro dettaglio e il loro coordinamento sono però rimessi alla discrezionalità del legislatore. Per l’esercizio della giurisdizione non è sufficiente “avere la Costituzione in tasca”: quella Costituzione chiede al giudice di assoggettarsi a tutte le leggi emanate dai rappresentanti del popolo sovrano, pur se non si condividono, e salvo ovviamente il rinvio alla Corte costituzionale quando si manifesti un contrasto con la Costituzione medesima.
L’epoca del costituzionalismo multilivello non giunge a consentire al giudice di attingere direttamente da alti principi per decidere quali applicare nel caso concreto, a prescindere dalla legge nazionale, che ha invece esattamente il compito di fissare quelle regole.
La contestazione si è estesa di recente perfino ai profili di attribuzione di competenza – quindi siamo oltre Habermas -, come sta accadendo con la legge di conversione del decreto legge che trasferisce la decisione sulla convalida del trattenimento del migrante irregolare dalla sezione civile del tribunale alla sezione penale della corte di appello: si contesta al legislatore la regolamentazione di quell’ordinamento giudiziario per il quale la Costituzione esige la riserva di legge.
Con una manifesta illogicità. Poiché il trattenimento del migrante costituisce una limitazione della sua libertà, vi chiedo: è più coerente col sistema che il provvedimento di convalida competa a una sezione civile di primo grado, ovvero che sia trattato da quel giudice di appello che da sempre convalida gli arresti a fine di estradizione, e che da quasi vent’anni convalida i mandati di arresto europeo?
Il secondo profilo di preoccupazione riguarda i rapporti fra il livello nazionale e quello sovranazionale di produzione del diritto.
Dal giusto obiettivo di creare ordinamenti sovranazionali che assicurino la pace e la giustizia fra le nazioni, tracciato dall’art. 11 Cost., si è passati a ordinamenti che estendono sempre più i propri ambiti di intervento, ben oltre le competenze attribuite dai trattati. Senza essere depositari di sovranità popolare: perché manca il presupposto fondativo di una costituente di matrice popolare.
Quando questi due profili problematici si sommano, il rischio di un corto circuito del principio di legalità è forte. Nel valutare i presupposti della disapplicazione spesso non ci si limita ai casi di violazione diretta e immediata del diritto europeo: ci si spinge sempre più avanti. Si creano così zone franche, impermeabili agli interventi del legislatore nazionale, pure su punti diversi e ulteriori rispetto a quelli specificamente regolati a livello sovranazionale.
Concludo. La saggezza e l’equilibrio necessari per affrontare le sfide del costituzionalismo multilivello trovano un punto di riferimento essenziale nella logica del self-restraint e nel rispetto delle competenze di ciascuno degli attori. Anche del Parlamento.
Il self-restraint apriva fino a qualche anno fa le trattazioni giuridiche sul diritto europeo. Oggi appare un arnese del passato. Ma è fondamentale per lo sviluppo armonioso del costituzionalismo multilivello.
Self-restraint significa attenzione ai limiti delle competenze che i singoli Stati hanno voluto attribuite all’Unione mediante i Trattati.
Self-restraint significa evitare la giurisprudenza creativa: perché creativo, nei limiti della Costituzione, può essere il legislatore, non il giudice.
Self-restraint significa limitare la disapplicazione di norme di legge ai casi di violazioni del diritto europeo manifeste e conclamate.
Self-restraint significa, in definitiva, recuperare il valore fondamentale del collegamento fra la norma che deve vincolare i pubblici poteri e la volontà popolare, da cui deriva la forza vincolante della norma.
Scusate la ripetizione, il richiamo alla sovranità del popolo è contenuto non a caso nel primo articolo di quella Costituzione che non ci viene chiesto di tenere in tasca, bensì di osservare nella sua forma e nella sua sostanza. Perdonatemi, dunque, se non ho tratto le conclusioni di questo interessante convegno.
Spero di aver apportato a esso un minuscolo contributo di riflessione.
Vi ringrazio.”.
Una relazione interessante, come abbiamo anticipato in apertura, totalmente priva – ed è un grande pregio – della banalità e della reticenza che solitamente affliggono le parole degli uomini pubblici in occasioni pubbliche.
Le lasciamo adesso lo spazio che merita, riservandoci in prosieguo di commentarne le proposizioni essenziali.
Una sola aggiunta, prima di concludere.
L’immagine che correda questo post ritrae Giove, magicamente allineato con le sue quattro lune, Io, Europa, Callisto e Ganimede.
Europa come luna di Giove: su questo rifletteremo.
